Divieto di indossare il burqa = difesa della dignità della donna?

Nella quotidiana e veloce occhiata ai titoli dei quotidiani online di stamattina, un articolo ha attirato la mia attenzione: "Fini difende il divieto di burqa "Giusto, opportuno e doveroso"". In sostanza, il Presidente della Camera appoggia la decisione del parlamento francese sostenendo che vietare il burqa nei luoghi pubblici equivale a difendere un valore presente anche nella nostra Costituzione, la dignità della donna. Sorvolando sull’indifendibilità della politica francese in materia di immigrazione (le dichiarazioni di Sarkozy non si possono accettare nel XXI secolo), come sempre, qui in Italia assistiamo alla fiera dell’ipocrisia.

Se la questione fosse stata posta essenzialmente in termini di sicurezza, sarebbe ragionevole parlarne. Ma ha senso oggi parlare di dignità della donna? Francamente, io non ne posso più di sentire questo luogo comune perennemente abusato e costantemente bistrattato. Se la donna avesse davvero pari dignità rispetto all’uomo, si parlerebbe di rispetto della dignità umana, senza distinzione di sesso, e ciò comporterebbe nell’ordine:
– l’abolizione della "volgarmente detta" festa della donna (finalmente! Non se ne può più di chiacchiere inutili: alla fine – soprattutto in Italia – la donna statisticamente guadagna di meno dell’uomo, professionalmente ha meno opportunità di carriera, ha accesso limitato alla politica, riceve scarsissima assistenza dal punto di vista sociale e quindi: o si diventa mamme o si continua a lavorare… Cosa c’è da festeggiare? Ci basta un 8 marzo all’anno in pizzeria con le amiche?)
– l’abolizione di un Ministero per le pari opportunità (in una società che si professa egualitaria e che non fa distinzioni di sesso, razza, religione, credo politico e orientamento sessuale, a che serve un ministero per le pari opportunità?)
– l’abolizione dell’abominevole idea di "quote rose" (passerebbe il principio che basta ottenere consensi ed avere un cervello funzionante per entrare in parlamento, a prescindere da ciò che si indossa sotto la cintola)
– l’immediata messa al bando del modello culturale maschilista, ovvero una rivoluzione culturale e sociale: come per magia, sparirebbero le varie letterine, le veline, i calendari di nudo artistico (?!?!), le bellone senza cervello e senza vestiti, che invadono le case degli italiani a tutte le ore del giorno e della notte; non assisteremmo ai siparietti di bavosi maschi che – si parli di calcio, di pesca subacquea, di cucina cinese, di medicina nucleare, di politica, di filosofia, scienza e letteratura – perdono qualsiasi contegno davanti a femmine che "basta che respirino" (ultimo episodio, ma non il più grave, Bruno Vespa che commenta il decollete, anzichè il romanzo, della Avallone al Premio Campiello); non dovremmo spiegare alle nostre bambine che fare la escort – accompagnatrice non significa aiutare i vecchietti ad attraversare la strada o portarli in gita alla Reggia di Caserta e che quella signora bionda che alle 20.30 è presente in tanti programmi TV, seri e presunti tali, a raccontare questioni di letto del nostro Primo Ministro, non era la sua arredatrice…

E poi dignità significa libertà: di scelta, innanzitutto. Abbiamo mai chiesto ad una donna di religione musulmana se il burqa lo indossa per scelta, per convinzione o per imposizione? Siamo così sicuri di poterci ergere a giudici e decidere che la liberazione della donna passa per il divieto (il concetto di divieto è l’antitesi di quello di libertà) di farle indossare un segno distintivo della propria cultura?

Proprio noi donne "occidentali", siamo sicure di poter insegnare qualcosa alle nostre sorelle islamiche in materia di rispetto della persona? Noi che non siamo capaci di liberare noi stesse? Noi che ogni giorno accettiamo il compromesso di centimetri quadrati in più di pelle scoperta in cambio di due minuti di visibilità? Noi che abbiamo un cervello e lo spegniamo all’occorrenza, quando dobbiamo per forza apparire oche e azzerare il quoziente intellettivo? Noi che etica e coscienza le nascondiamo in fondo ad un cassetto, insieme alle creme anticellulite, e barattiamo i nostri corpi al mercato della carne nuda?

Anche se le nostre madri e le nostre nonne hanno bruciato reggiseni in piazza ed urlato a squarciagola la propria sete di uguaglianza, noi figli e nipoti stiamo vanificando tutto. Non abbiamo capito la lezione, come possiamo insegnare qualcosa a qualcuno?


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2 Commenti

  1. vince_ditaranto

    Cinzia, ti avventuri in argomenti davvero spinosi e complessi.

    Devo dire che sono d’accordo con la tua analisi (sfogo??!!??), ed è interessante notare la colossale ipocrisia che regna nel mondo occidentale. 

    E’ vero, quando si parla di questi argomenti non si capisce mai di cosa si sta parlando ne tantomeno il motivo per il quale si usino metri di giudizio totalmente diversi a seconda del proprio comodo. 

    E’ interessante un articolo di Giulia Innocenzi sul Fatto Quotidiano  che riprende un po i discorsi fatti da te, ipotizzando appunto che la difesa della dignità della donna dovrebbe partire prima di tutto dalla lotta al velinismo nostrano e poi allargarsi ad altri aspetti se vogliamo, egoisticamente parlando, anche lontani dal nostro modo di vivere. Ovviamente sembra l’ennesima scusa per fare la guerra "idiota" all’Islam.

    Io ho la mia opinione, dobbiamo decidere nella nostra coscienza e come opinione pubblica (che dovrebbe essere forte da influenzare la politica e non il contrario) se la lotta per i diritti civili di popoli diversi dal nostro deve essere fatta oppure no, e deciderlo una volta per tutte.

    Io credo che le libertà sono tali se chi le anela se le guadagna da se…anche con enormi sacrifici, perchè solo così sono impresse nella memoria collettiva di un popolo: se vengono regalate o facilitate dall’esterno, potrebbero generare scenari di facciata che non solo non cambiano le cose di fatto ma umiliano ancor di più chi crede di esserle guadagnate (forse è così in Italia?).

    La domanda è: l’Occidente deve o no intervenire nell’autodeterminazione dei diritti dei popoli che NOI riteniamo (erroneamente??!!) essere indietro? Non si può chiedere la grazia per icondannati a morte, caso recente in cui si interviene….e poi non intervenire nella questione burqua. O lotti con loro o non lo fai!!! Anche la pena di morte per alcuni paesi è un’aspetto (ahimè inconcepibile!!) della loro cultura: molti lo accettano magari, chi lo sa!

    Volete la mia? Che se lo tolgano da sole il Burqa se vogliono! Ovviamente non si può pretendere che gli Stati occidentali accettino tale situazione per questioni di sicurezza…..ma non per altro non certo per difenderne la dignità, Cinzia su questo punto hai perfettamente ragione. Credi davvero che loro si vogliano davvero ribellare alla loro situazione "subalterna"? A volte, quando vedo i negozi di grandi firme, dove i capi costano almeno 10.000 euro,  pieni SOLO di donne con il velo, mi viene il dubbio che forse forse a molte di loro non è che interessi più di tanto!!!     

  2. yuri

    Ciao….

    La questione complessa,che parte da un pezzo di stoffa (intendo il velo che copre parte della testa),è sintomo di ipocrisia dilagante nel mondo "occidentale":attraverso i mezzi di comunicazione si assiste all’affermarsi di una cultura che ormai tende a giudicare solo ed esclusivamente le immagini,che si "spogliano" di quei luoghi comuni non tanto distanti nel tempo e che fanno pensare ad una società più libera in base al fatto che certi tabù sembrano superati.

    Associare il burqa alla sicurezza è ipocrita,perchè si cela dietro questi discorsi il senso xenofobo di molti Stati europei (ultimo caso,le elezioni in Svezia,che hanno visto l’ingresso in parlamento del partito ultranazionalista).Rivendicare dei diritti a favore delle donne,abolendo il burqa(ma il discorso vale per qualsiasi tipo di velo indossato dalle donne di cultura islamica e non) e non considerando la cultura dello stesso,risulta ancora più ipocrita,perchè nasconde tutte quelle disparità di trattamento che le donne subiscono in tutte le parti del mondo.Se ci fosse memoria storica,forse ci ricorderemmo di quando le nostre nonne andavano in giro col "Tuccuàtièdd" e non erano nè un pericolo nè un segno di disparità sociale,che invece riguardava altri argomenti come il fatto che la donna non potesse uscire di casa,per esempio, o accedere all’istruzione.

    D’accordo con Cinzia sul fatto che una festa della donna non ha valore,un ministero delle pari opportunità è un segno di disparità sociale (se esiste vuol dire che pari opportunità non ci sono);le "quote rosa":nella condizione culturale italiana purtroppo le vedo,per ora,come un male necessario (affermazione fatta da molte Donne) a far sì che le donne per prime acquistino consapevolezza del loro ruolo marginale,ma il risultato purtroppo è quello di ritrovarsi donne di scarso valore tipo Moratti,Carfagna o Gelmini oppure ragazze passate direttamente da un concorso di bellezza o una camera da letto ad un seggio in parlamento.

    Il modello maschilista,che fa della donna un oggetto da esibire senza veli a qualsiasi ora ed in ogni contesto:sia un TG o un varietà, dilaga sui mezzi di comunicazione:è la cultura che si cerca di inculcare e purtroppo,anche grazie a quelle donne che si prestano volentieri ad assumere un ruolo degradante per la propria dignità,questo è il pezzo di stoffa che vogliono(politici,mezzi di comunicazione gestiti da grandi imprenditori) farci indossare dal collo in sù.

    Il rammarico è che piano piano stiamo perdendo la libertà "di scegliere" perchè,con questioni come quelle sul burqa,si sta cercando di eliminare qualsiasi cultura non corrispondente i canoni imposti dalla fine della guerra fredda,periodo in cui non si osava troppo per paura che qualcuno potesse scegliere l’altra parte.

    Ciao…

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