Lettera a Indro Montanelli

Caro Montanelli,

ai tempi in cui lei scriveva sulle colonne del Corriere, del Giornale e della Voce io non la conoscevo, ero forse troppo giovane e comunque non pronto per capire gli scritti di un Giornalista come lei, un Giornalista con la G maiuscola. La sua maniera di analizzare la realtà sempre in modo preciso, quasi cinico e sicuramente indipendente ha ispirato e guidato molti. Molti ma comunque pochi. In anni in cui l’Italia tutta sembrava ubriaca lei è stato uno dei pochi uomini di cultura (so che a lei questa definizione non piacerebbe) a cercare di scuotere le coscienze; nel frattempo la maggioranza dei suoi colleghi cercava solo di vendere copie o di accondiscendere al volere del padrone, mentre gli intellettuali abdicavano o si vendevano al miglior offerente.

Ho letto molti suoi scritti negli ultimi anni, nonostante non ho potuto godere delle riflessioni in tempo reale sui fatti che accadevano ho potuto altresì provare un senso di meraviglia e stupore per le lungimiranti parole che lei ha scritto quasi vent’anni fa.

Le sferzate che lei lanciava durante la prima Repubblica e nei primi anni dell’epopea berlusconiana sono a dir poco profetiche. Leggendole ora davvero non riesco a capire come tante cose non si siano sapute leggere allora, perfino i migliori (o comunque quelli in buona fede) non avevano capito quando stesse cambiando nel profondo la società italiana. Il degrado della moralità delle classi dirigenti, la perdita quasi totale del senso dello Stato e delle istituzioni era solo la punta dell’iceberg; sotto c’era qualcosa di più profondo, di orrendo, che pervadeva ogni aspetto della vita privata e pubblica del cittadino. Un senso di “fregare le regole” e ottenere libertinaggio a 360 gradi montavano nel tessuto sociale del popolo italiano, sentimenti covati per tanti anni e amplificati dagli ultimi 30 anni di partitocrazia. Sentimenti che lei capiva fossero molto pericolosi da cavalcare, proprio perchè avrebbero portato inevitabilmente alla (auto)distruzione.

Lei aveva già visto il pericolo, un pericolo che si materializzava con la “discesa in campo” del Cavaliere Silvio Berlusconi, un’uomo che lei conosceva bene e che lei sapeva avrebbe soffiato su questi sentimenti bassi dell’italiano medio per proprio tornaconto. Lei sapeva bene quanto fosse pericoloso tirar fuori il peggio che c’è in ogni italiano, quel ragionare con la pancia che già una volta aveva portato la Nazione alla sciagurata esperienza fascista. Purtroppo i suoi moniti furono inascoltati.

In questa nuova fase di transizione per la Nazione sarei curioso di leggere un suo articolo, di leggere considerazioni e visioni su quello che sta accadendo a questa travagliata Nazione. Magari se fosse ancora su questa terra molti l’ascolterebbero, magari i cosiddetti intellettuali avrebbero fatto con lei fronte comune per difendere la libertà dei cittadini. Magari sarebbe stato di nuovo inascoltato perchè, come si dice, i contemporanei hanno un solo difetto, ovvero quello di essere contemporanei: lei faceva parte di quella ristretta cerchia di persone che leggendo la storia passata sanno intravedere il futuro.

L’avrei davvero voluto leggere un editoriale su “Il Giornale”, il suo Giornale, dove ci avrebbe raccontato quello che vedeva nel prossimo (incerto) futuro per l’Italia……perchè quello che è successo negli ultimi anni lei l’aveva già capito.

Un suo lettore, 

Vincenzo D   


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