Musiche per la notte di San Giovanni

Alla memoria dell’ispettore scolastico

Dottor Giuseppe Matarazzo

 

 

Est mihi nonum superantis annum

 

di Orazio a

 

Sancte Johannes Baptiste

 

di Paolo Diacono?

 

 

MUSICA PER LA NOTTE

 

di

 

SAN GIOVANNI BATTISTA

 

Pietro Andrisani

 

 

Nei rituali degli Ordini con un cerimoniale ricco di contenuti simbolici, i giorni che danno inizio alle quattro stagioni dell’anno solare, coincidenti agli equinozi e ai solstizi, hanno sempre rappresentato date assai significative sotto il profilo scenografico, coreutico-musicale e, nel millennio passato, anche sotto quello pirotecnico. Inoltre, il 21 dicembre e il 21 giugno diedero principio al simbolismo greco-latino delle porte solstiziali dell’inverno e dell’estate rappresentate entrambe dalle due facce gianine.

All’inizio del IV secolo, in seguito alla libertà di culto accordato da Costantino il Grande ai Cristiani, il dio Giano viene convertito nei due Giovanni solstiziali: l’Evangelista che introduce alla fase luminosa del cielo (solstizio d’inverno); il Battista che conduce alla fase oscura (solstizio d’estate) cioè, al semestre in cui i giorni si susseguono con diminuzione progressiva della luce solare.

In ossequio al solstizio d’estate ed al Battista, il Medioevo cristiano celebrò ogni anno feste con riti paganeggianti assai concettosi, sempre ricchi di canti e di danze di grande fascino e richiamo popolare.

Per una serie di motivi, famoso resta l’inno a San Giovanni che i medievisti hanno attribuito a Paolo Diacono e che studi recenti dimostrano che quel canto ricalca, ritmicamente e melodicamente, una delle saffiche con musica di Quinto Orazio Flacco, precisamente, l’undicesima del IV libro: Est mihi nonum superantis annum, con la quale il poeta invita la fanciulla Fillide alla propria casa col pretesto di farle assaporare un suo novenario vino dei colli Albani.

Verso il 1040, il benedettino Guido d’Arezzo notò che le prime sillabe di ogni emistichio della prima strofa dell’inno a San Giovanni corrispondevano a sei gradi ascendenti dell’esacordo musicale e che l’uso di quelle sillabe poteva permettere agli scolari ed ai cantori di apprendere più agevolmente la teoria e la pratica musicale.

Realizzando tale progetto l’Aretino fa concludere l’era di elaborazione teorica del canto gregoriano e, nel medesimo tempo, mette a punto un sistema di notazione musicale moderna che, a distanza di un millennio, è ancora attuale.

Ecco come la prima saffica dell’inno a San Giovanni generò l’esacordo, ovvero, una formula mnemonica di sei note musicali da utilizzare per scrivere e leggere qualsiasi genere di musica di qualsiasi angolo del mondo conosciuto:

 

UT (DO) quéant láxis REsonáre fìbris

MIra gestòrum FAmuli tuorum

SOLve pollùti LAbii reátum,

Sáncte Joánnes (SI).

 

(Affinchè i fedeli possano cantare a gola spiegata

le meraviglie dei tuoi atti

il peccato del labbro impuro

o San Giovanni).

 

Est mihi nonum superantis annum

plenus Albani cadus; est in horto

Phylli, nectendis apium coronis;

est hederae vis.

(Orazio c. IV, 11)

 

(Serbo l’Albano vino, che a due lustri si appresta,

una ripiena bottiglia: nel giardino, vaga Fillide mia,

ho l’Appio verdeggiante da far corone e serbo

Edre cotante).

 

Unitamente all’undicesima ode del IV libro, nella biblioteca nazionale di Parigi sono custodite altri cinque carmi di Orazio, alcuni frammenti dell’Eneide di Virgilio, brani della Tebaide di Stazio e l’ottava Satira di Giovenale, tutti musicati con scrittura neumatica dell’ottavo o nono secolo. Epoca e luoghi che coincidono con quelli in cui si sviluppa il prodigioso movimento culturale carolingio sostenuto dall’opera illuminante dell’erudito monaco anglosassone Albino Flacco Alcuino (735 ca.-804 ca.).

Nel 786, chiamato in Francia da Carlo Magno per curare la riforma e l’organizzazione degli studi, l’Alcuino vi produce trattati di retorica, di grammatica, di matematica ed il De Musica con il quale, fra l’altro, divulga, nei conventi della chiesa cristiana d’Occidente la prassi degli otto modi di musica liturgica derivati dalle harmoniae di ascendenza pitagorica utilizzate dai greci Alceo, Saffo ma anche dai romani Catullo Tibullo e Orazio.

Come sono giunti alla corte dell’impero Carolingio i canti di Virgilio, di Stazio, di Giovenale, di Orazio musicati con scrittura neumatica? Tramandati, oralmente, di generazione in generazione? Mediante scritti? Attraverso traduzioni di testi romani o bizantini? La melodia dell’ode Est mihi nonum superantis annum sulla quale oggi viene decifrata la struttura metrico-melodica dell’inno a San Giovanni è da ritenersi opera di Orazio? Oltre ai versi, Orazio componeva la musica? Sicuramente si. Quei canti che, in massima parte riecheggiano metri e atteggiamenti ellenici dei cantautori di Lesbo venivano eseguiti a mò di arie o di romanze dal cantore venosino nei conviti del patriziato di quella Roma. Probabilmente si deve a queste esecuzioni di Orazio – ma anche di Catullo e di Tibullo – se ventuno secoli fa la pratica musicale potette essere lecita non più solo agli schiavi e ai liberti, ma anche ai liberi cittadini nella Roma dei Cesari. (Probabilmente tale moda permise a Nerone di esibirsi nei suoi teatri come cantautore).

Purtroppo, delle melodie oraziane che, senza dubbio dovevano costituire la più genuina espressione della musicalità latina del periodo aureo, oggi sopravvive solo il ricordo e l’incerta attribuzione delle sei melodie summenzionate. Alcune di esse, tuttavia, probabilmente sono state riciclate nel repertorio delle preghiere dei primi cristiani, indi, nelle raccolte di canti gregoriani delle Scholae cantorum operanti nei cenobi dell’Europa occidentale.

Constatazione blasfema?

Proviamo con qualche osservazione che convinca almeno in parte.

Certamente i canti di Orazio furono familiari all’apostolo Giovanni.

La solenne sentenza

 

Scagli la prima pietra su di lei chi è senza peccato!

 

che egli fa tuonare dall’autorevole voce di Cristo nel suo Vangelo nel capitolo dell’adultera, non ribadisce concetti di profonda solidarietà umana, relativi alla colpa ed al peccato, scolpiti in alcuni versi delle satire e delle epistole oraziane?

Meditiamo sul pensiero oraziano della terza satira del primo libro, quella consacrata all’amicizia, per intenderci, ma anche dell’epistola a Lollio Massimo, fermando, per un attimo, l’attenzione sui seguenti passi:

 

Nunc aliquis dicat mihi: quid tu?

nullane abes vitia?

Ora potresti dirmi: Dunque, tu,

non hai difetti, tu?

Vitiis nemo sine nascitur: optimus ille est

qui minimis urgetur.

Nessuno nasce senza difetti:

può ritenersi fortunato chi ne ha di più lievi.

…Aequum est / Peccatis veniam poscentem reddere rursus.

E’ giusto rendere venia, a nostra volta,

a chi ne chiede per i propri difetti (Sat. I, 3, vv. 19-20; 68-69; 74-75)

Iliacos muros peccatur et extra.

Si commettono colpe entro ma anche fuori le mura di Ilio (Epi. I, 2, 16)

 

Dopo questa digressione su Giovanni Evangelista, guardiano della porta solstiziale d’inverno, torniamo al Giovanni Precursore, come veniva chiamato nei canti eseguiti dal popolo napoletano nella zona della via Marina (San Gioviovanni a Mare) di Napoli, e sul suo mare prospiciente, la notte che celebrava la nascita del custode della porta solstiziale d’estate. La notte fra il 23 e il 24 giugno quel mare era coperto da barche galleggianti dalle quali partivano rituali fuochi pirotecnici. Va detto per inciso che, durante il Rinascimento, a Napoli in seguito ad una moda inaugurata nel 1496 da Federico III d’Aragona, signore di Montescaglioso (a cui non fu estraneo Jacopo Sannazaro), anche le installazioni delle cariche delle Accademie avvenivano in tale data. La nomina dell’eletto del Popolo, ossia, del sindaco, si faceva coincidere coi festeggiamenti popolareggianti dei solstizi. Perciò quasi tutte le musiche e le danze del rituale per San Giovanni Precursore rimarcano un carattere decisamente folcloristico.

Così canta la prima strofa di una delle tante canzoni tradizionali proprie di quella festa:

Maria Ro’, fatte cchiù bella,

ca dimane è San Giuvanne:

faje dimane diciott’anne

e te vonno maretà.

Tiene ancora chella vesta

Ca t’è fatta ‘o mese ‘abbrile?

Chella sciarpa signurile

Ca te steva nu bisciù?

E ndranghete ndranghete!

E nfrunchete nfrù.

 

Tuttavia nel Liber usualis sono elencati ventiquattro canti in stile aulico la cui scrittura risale al periodo che va tra l’ottavo e il dodicesimo secolo e che fino al Concilio Vaticano II, hanno ornato il rituale Giovanneo della Chiesa cattolica durante le celebrazioni per l’anniversario della nascita del figlio degli anziani Elisabetta e Zaccaria.

Fra i cento e più compositori moderni che hanno dato vita a suggestivi affreschi sonori per le celebrazioni della nascita del Battista in questa sede ricordiamo una triade di fama universale: Hugo Emil Alfvén (Stoccolma, 1872-Falum, 1960), Felix Mendelssohn-Bartoldy (Amburgo, 1809-Lipsia, 1847) e Modesto Mussorgski (Parevo-Pskov, 1839-Pietroburgo, 1881), autori, rispettivamente, dell’azione coreografica Veglia di una notte di mezza estate; delle musiche di scena Sogno di una notte di mezza estate; e del poema sinfonico La notte di San Giovanni su monte Calvo.

 

In questi lavori musicali i tre compositori si adoperano per celebrare degnamente il rinnovamento delle forze della vita della Flora, della Fauna e della Pietra celebrando il passaggio della acerba innocenza dalla gaia pubescenza simboleggianti l’aspetto magico, prodigioso e sognante della Primavera, alla maturità fisiologica, alle considerazioni razionali e meditate che si configurano, emblematicamente, nella pienezza dell’Estate.

 

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Nel 1903, lo svedese Hugo Emil Alfven compose una Rapsodia dal titolo VEGLIA DI UNA NOTTE DI MEZZA ESTATE, azione coreografica dedicata al solstizio d’estate o alla notte di San Giovanni Battista.

Questo tema, ancora oggi, è molto sentito nella penisola scandinava specialmente dalle ragazze che, la notte tra il 23 e il 24 giugno, fino all’alba, cantano e danzano musiche appropriate per conquistare un vantaggioso partito matrimoniale.

Ecco una versione ritmica in italiano su alcuni brani di questa Rapsodia:

 

MIDSOMMARVAKA

(LA NUIT DE SAINT-JEAN)

 

Rapsodia Svedese

 

Quando la neve si discioglie al Sol

Su, nel Nord, su, nel Nord,

La Primavera, nella Svezia, allor / si festeggerà.

Ogni fanciulla dai capelli d’or

Danzerà, canterà;

Mentre una dolce rapsodia d’amor / l’accompagnerà.

Saluteranno tutte in cor

Quell’incantevole splendor:

La Primavera porta sempre

Un desiderio in fondo al cuor.

Nei verdi boschi torneran

Gli innamorati a passeggiar.

Sotto gli abeti, quanti baci

Risveglierà l’amor.

Tornano le rondini nel ciel

A volteggiar, volteggiar

Sotto un bel Sol;

L’aria è dolce e il ruscello canta

Mentre va…dove va?

Va verso il mar…

Belle ragazze di Stoccolma, a voi

Fa piacer riveder

Un po’ di Sole nell’azzurro ciel / dopo tanto gel.

La Primavera rifiorir saprà

Nuovi fior, nuovi amor.

Dunque, cantate, con giocondità,

Inneggiando al Sol. 

Vieni Primavera, portaci fiori,

Portaci un Sole fulgido;

Vieni Primavera,

Portaci gioie e serenità.

 

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Nel dream shakespeariano Mendelssohn, delinea quello spazio ove i due mondi dell’irreale e della concretezza, dell’istintivo e del riflessivo, del disordine e dell’ordine, della dissonanza e della consonanza s’incontrano, si uniscono e si fondono come in un ideale comparatico di forze opposte.

 

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Il poema sinfonico di Mussorgski, invece, è permeato di spirito satanico, agitato da vibranti sussulti fino a quando i lontani rintocchi di una campana di una chiesa di campagna annunciano l’alba e mandano in dissolvenza le tenebre con la loro infernale popolazione.

In questa sede ci interessa particolarmente approfondire l’ultimo dei tre titoli:

 

La Notte di San Giovanni su Monte Calvo.

 

Da un passo della lettera che il 5 luglio del 1867, dalla sua fattoria di Minkino, Mussorgski invia all’amico Nicolaj Rimky-Korsakov (Tikhvin, Novgorod, 1844-Ljubensk, Pietroburgo, 1908), apprendiamo che quel 23 giugno, dopo dodici giorni di incessante lavoro, con l’aiuto del Grande Architetto, aveva terminato di comporre il poema sinfonico LA NOTTE DI SAN GIOVANNI SUL MONTE CALVO. Il lavoro era stato suddiviso in sei parti cui aveva apporto le seguenti didascalie:

1)                Raduno delle streghe e loro conversazioni e pettegolezzi;

2)                Corteo di Satana;

3)                Omaggio scatenato a Satana;

4)                Il Sabba;

5)                Risveglio.

6)                La Luce mattutina.

Alcuni anni dopo Mussorgki volle inserire questo superbo quadro sinfonico in un’opera comica che stava componendo, La fiera di Sorocinski, il cui testo era stato desunto da Nicolaj Gogol (1809-1852).

In questa versione Mussorgski diede alla partitura de La notte di San Giovanni sul Monte Calvo una nuova versione che prevedeva il coro e le danze.
Nel nuovo adattamento s’immagina che il protagonista dell’opera, Gritzko, la notte prima di ottenere la mano della donna che adora, si ubriachi, cada addormentato e sogni.
Nel sogno egli assiste al raduno delle streghe coi demoni che, secondo le credenze popolari ucraine, avviene ogni anno durante la notte di San Giovanni Battista sul monte Calvo, a poca distanza da Kiev. Diavoli e streghe si danno convegno con Satana in persona, che, da quelle parti è chiamato Cernobog.

Poiché questi personaggi sono perversi esseri sovrumani, Mussorgski fa loro intonare frasi senza senso, per noi mortali, come se appartenessero ad un linguaggio a noi sconosciuto.

1)                            Il primo tema musicale annuncia la sortita dei Diavoli e delle Streghe.

Ecco il loro dialogo:

Diavoli                                                                Streghe

Sagana! Pegemot! Astarot!                                  Sagana, va, Sagana!

Sagana! Aksafot! Sabatana!                                Pegemot! Astarot! Sagana!

Penemos! Tenemos!                                             Aksafot! Sabatan! Tenemos!

Allegremos! Sagana, va!                                               Allegremos! Sagana, va!

 

2) Una volta giunti sul monte i Diavoli e le Streghe accerchiano Gritzko addormentato intonando il seguente canto:

Ragazzo, ama con costanza.

Dormi profondamente!

Ragazzo, chi ami, tu?

Con chi vorresti farti una bevuta?

Tsop, tsop, Kopotsàm

Va, Sagana!

Il ragazzo è brillo! Tsop, tsop, Kopotsàm!

 

3) Seguono alcuni istanti di silenzio.

Poi, Cernobog appare esultante fra acute lingue di fiamme.

Intona:

Bene, abbiamo passato un bel po’ di tempo all’inferno!

E’ bello respirare un poco d’aria fresca!

Sagana, va! Che piacere guardare il cielo!

Questa notte è nostra fino all’alba!

All’opera, amici miei!

Intanto le streghe riprendono a cantare: 

Sagana, va! Sagan! Satan!

 

4)     Quindi, i diavoli e le streghe si prostrano a Cernobog per venerarlo esprimendosi nel loro solito linguaggio:

Tsop! Kopotsàm, sagana!

Guts, tenemos, ciur!Guts, tenemor!

Allegromos, Sabbat!

Aksafat, Sabatam, sabbat!

Sagana, tciup, tciup.

Lusingato da tanta riverenza, Cernobog ribatte:

Ei, ragazzi, divertitevi! Basta con l’adorarmi!

Questa notte è vostra, fino all’alba!

Allegria, siate felici. Sagana!

 

5)     A questo punto l’orchestra esegue un ampio episodio nel quale i tre temi musicali già esposti (A, B e C) si sovrappongono, s’intrecciano creando l’atmosfera opportuna per celebrare lo scatenato Sabba, nel quale diavoli e streghe si cimentano in una danza vorticosa e sfrenatamente licenziosa.

Nel tumulto si ascoltano, ogni tanto, le solite indecifrabili esclamazioni:

Tsop, tsop, kop, koptsàm!

Sabat, sabat, sagana!

Qui, l’atmosfera orgiastica giunge al culmine di grande intensità emotiva sottolineata sempre da alonati colpi di gong, da terrificanti rulli di timpani e di tamburi.

 

6) Finalmente, alcuni lontani rintocchi di campana annunciano che l’alba è vicina e la Luce prende il sopravvento sulle tenebre sottolineata dalla musica infernale in dissolvenza.

Diavoli e streghe, sbigottiti, si smarriscono intonando, in modo lamentoso:

Satana, aiutaci! Maledizione!

Il seguente tema musicale, già enunciato in precedenza, e affidato ai violini con sordina, avvisa che i malèfici stanno perdendo il loro vigore.

E, per loro sventura, in lontananza, si ode un canto sacro:

Gloria a Dio nell’alto dei cieli

Dio onnipotente, resta con noi!

 

Infine, un tema di squisito sapore agreste affidato prima al clarinetto, poi al flauto, segna il definitivo ritorno della Luce e del Bene.

L’opera si conclude quando il giovane Gritzko risvegliandosi esclama:

Gran Dio, cosa ho sognato!?

 

Nella nota versione orchestrale di Nicolai Rimski-Korsakov il programma dell’opera prevede le seguenti didascalie:

Suoni sotterranei di voci soprannaturali;

Apparizione degli spiriti dell’oscurità seguiti da quelli di Satana;

Glorificazione di Satana e celebrazione della Messa nera;

Il sabba delle streghe;

Al culmine dell’orgia, la campana della chiesa di un villaggio suona e disperde gli spiriti dell’oscurità;

L’alba. 


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