mercoledì 24 Aprile 2024

I tuoni di Monte Cupo 7

Dal Capitolo 3: ROCCO PADRE DI NGESCO

Circa venti anni prima, nei primi anni di matrimonio con sua moglie Domenica, avevano avuto per vicini una famiglia le cui condizioni economiche erano disperate. Il padre, operaio a giornata, riusciva a portare ben poco a casa per sfamare la famiglia. In più di una occasione Domenica aveva portato loro della minestra calda e del pane perché la famiglia mangiasse. Vito, il più piccolo dei figli, aveva circa tre anni. Sempre scalzo e con i pantaloni sfilacciati, una camisella sotto le piccole bretelle, quando non sopportava ulteriormente i morsi della fame aveva preso l’abitudine di andare a casa dei Giudice dove Domenica gli dava sempre qualcosa da mangiare. Ormai passava più tempo in casa Giudice che a casa sua. Era diventato amico di gioco di Ngesco, di cui era pressappoco coetaneo, ma aveva un’indole indipendente, appariva e scompariva come uno spiritello dispettoso. Era continuamente in movimento, correva e saltava come se avesse il diavolo in corpo. Il piccolo Vito era un bambino molto sveglio e incredibilmente maturo per la sua età. Crebbe e diventò un giovane svelto di mano e di cervello ma poco incline a subire l’autorità sia in famiglia che nelle rare occasioni di lavoro che gli capitavano. Le uniche persone che rispettava e di cui riconosceva una certa autorità erano Rocco e la moglie Domenica e per questo motivo, quando servivano braccia in campagna, Rocco lo portava con sé a giornata. Per il suo carattere difficile e ribelle nessun altro gli dava lavoro. Quando Vito ebbe l’età per diventare soldato, ricevette la chiamata al servizio militare. Lui non rispose alla chiamata perché mal digeriva ogni forma di autorità e di disciplina. Un giorno due militari della Guardia Nazionale si presentarono a casa sua per prelevarlo e portarlo in caserma, da dove sarebbe poi stato spedito al servizio di leva. Lo presero che era ancora a letto. Lo fecero vestire e, messolo in mezzo, lo stavano accompagnando in caserma. Il ragazzo chiese di allacciarsi le scarpe e si piegò nel gesto di farlo quando con uno scatto afferrò le caviglie dei due militari e li rovesciò per terra mentre lui se la diede a gambe. Da quel giorno Vito si diede alla macchia e visse nei boschi intorno al paese. Cominciò a vivere di furtarelli e piccole rapine. In paese cominciarono a definirlo un brigante e gli appiopparono il nome di Ciuffo Nero per via di un riccio di capelli neri che gli spuntava dal cappello e gli ornava la fronte. Poco alla volta a lui si unirono altri giovani scapestrati del paese e dei centri vicini e ne venne fuori una banda che cominciò a imperversare nei boschi e nelle campagne limitrofe. Era da circa venti anni che non si vedevano briganti nella zona, da quando nel 1865 era stato ucciso il brigante Coppolone e la sua banda si era consegnata alla Guardia Nazionale. Come spesso accade in questi casi i personaggi e le loro gesta vengono subito circondati da un alone di leggenda. Si disse che rubavano ai ricchi proprietari ma rispettavano la povera gente e che le loro azioni erano comunque regolate da un codice d’onore. In realtà, da quando si era costituita la banda di Ciuffo Nero, nel paese e in quelli limitrofi si erano moltiplicate le rapine, i rapimenti e gli omicidi. In più di una occasione i fuorilegge si erano scontrati con le guarnigioni della Guardia Nazionale inviate a sradicare la mala pianta del brigantaggio, ma queste, per la scarsa conoscenza del territorio e della reale forza della banda, erano state sempre sconfitte e avevano accusato numerosi caduti.

   Ciuffo Nero incontrò diverse volte Rocco mentre questo era nei campi a lavorare, ma mai quando era in compagnia dei figli o di altri operai. Il sentimento di rispetto e di riconoscenza verso Rocco non mutò e anzi si poteva dire accresciuto man mano che Vito acquisiva consapevolezza del fatto che lui e la sua famiglia dovevano molto alla famiglia Giudice. Ogni volta che lo incontrava ripeteva a Rocco la solita raccomandazione:

   «Se un giorno voi o la vostra famiglia aveste bisogno di me non esitate a farmelo sapere. Recatevi a Lama dei Mille» una contrada del paese completamente boscosa «nei pressi del Fosso Ombrato. A levante c’è un grande carrubo con il tronco vuoto. Lasciateci dentro il vostro coltello. Mi farò vivo io».


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