L’ULTIMO PRIORE

Era l’anno della grande speranza. Nel mese di luglio dell’Anno del Signore 1294, al trono di Pietro era salito un uomo giusto e santo, anch’egli di nome Pietro e veniva dalle montagne del Morrone.

In gioventù aveva vestito il saio di Benedetto e si nutriva di preghiere e santità. A ispirare i cardinali suoi elettori, più che il Santo Spirito, poté Carlo II D’Angiò, Re di Napoli, che anelava alla sistemazione della questione siciliana con Giacomo l’Aragonese.  

Il novello pontefice assunse il nome di Celestino V e fu salutato con giubilo da tutta la Cristianità che in lui riponeva grande aspettazione. Dal Granducato di Polonia al Regno d’Ungheria, dalla Francia alla Castiglia, popoli e regnanti acclamarono il papa eremita.

Ma fu anche l’anno della grande delusione perché dopo solo cinque mesi il maligno insinuò il timore nel vecchio cuore anacoreta di Celestino. Di notte si aggirava tra le sue stanze e gli sussurrava, con ingannevole voce d’angelo, di abdicare al trono pontificio, poiché questo era il volere di Dio. Lo stesso demonio che poi gli sarebbe succeduto e che veniva da Anagni. Celestino, cuore semplice e ingenuo, lasciò il santo soglio e fece ritorno alla sua grotta.

Ah, che magnifica illusione, la sposa di Cristo affidata all’uomo degno e santo che rifuggiva fasti e bagordi e ristabiliva la Chiesa degli apostoli, sobria e virtuosa. Meravigliosa chimera che durò un batter di ciglia, il tempo di un sospiro, un breve sussulto nel cuore ansioso del mondo. Ma l’uomo era debole e le sue spalle troppo vecchie e snervate per reggere il peso di tanta santità. Il richiamo del suo eremo e il silenzio della preghiera erano troppo forti, ma sopra ogni cosa poté il bisbiglio malefico del demonio, così Celestino abbandonò la sposa di Cristo tra lupi e briganti. Il suo successore gli aveva già scritto la legge, perché mai prima di allora un papa aveva lasciato, sua sponte, il suo ministero se non richiamato da Dio stesso. Solo Clemente I, all’epoca in cui la Chiesa era ancora troppo giovane e indifesa, lasciò da vivo, ma per volontà di Traiano che lo scacciò in terra di Tauride come un volgare malfattore. 

L’Anagnino salì al soglio di Pietro dopo appena dieci giorni dall’abdicazione e fu grande sventura per il mondo, meglio sarebbe stato se il glorioso trono fosse rimasto vacante.

Ma non voglio qui anticipare i fatti che sconvolsero la Cristianità a Occidente; andrò per gradi a presentarti i personaggi e gli avvenimenti che segneranno quegli anni che saranno ricordati nei secoli tra i più bui nella storia della Chiesa. Qui voglio solo ricordarti che al nuovo papa non bastò l’abdicazione di Celestino perché ne ordinò la prigionia nella torre di Fumone e il suo assassinio; egli, infatti, temeva che i cardinali Colonna e i loro alleati potessero convincere il povero eremita a proclamarsi Antipapa.

Questo io attesto davanti agli uomini e all’Onnipotente.

 

Dal Cap. 1: Il tempo.


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