La lista Matteotti, prima parte

A Monte per oltre un quindicennio nelle farmacie e nelle botteghe, nei capannelli di piazza e nelle cene fra amici, si discusse accanitamente della lista Matteotti mettendo a repentaglio consolidate amicizie, antichi sangiovanni e legami famigliari. Poi l’Italia fu trascinata in guerra e molti cominciarono a pensare che se ai tempi del delitto Matteotti avessero aperto gli occhi non si sarebbero trovati in quella situazione.

Per di più, a tenere acceso quel  fuoco, ogni  tanto in prefettura arrivava qualche lettera firmata Cardone – che all’anagrafe non esisteva – in cui si diceva che al Tizio non bisognava dare la licenza di commercio e al Caio il premio di famiglia numerosa perchè il nome suo –  o di un suo fratello, zio, cugino – compariva nella lista. Cardone  era il nome di penna dell’anonimo al servizio della fazione Andriulli-Lupo;  spesso alle sue esternazioni  rispondeva il gruppo Venezia-Parlati-Giannattelli  usando come scritturale un bambino. Tanto che il commissario Tornago si faceva per l’ennesima volta le curve di Monte per distribuire qualche diffida e guadagnarsi la sua brava trasferta.  Avrebbe dovuto calmare le acque, ma spesso finiva con l’intorbidarle ancora di più. D’altra parte, a dire del tenente Decunto nel “Cristo si è fermato a Eboli”: Ogni giorno partono da tutti i paesi di Lucania lettere anonime alla Prefettura. E la Prefettura non ne è malcontenta, anche se affetta il contrario […]. Così tengono in mano tutti, con la minaccia o con la speranza[1].

 

Nonostante tutto, a qualcuno la lista Matteotti portò fortuna, probabilmente gli salvò la vita; la sua domanda per andare a lavorare – che in qualche caso fu usata per selezionare i volontari  da mandare   a combattere in Africa o in Spagna – fu respinta. Sul momento gli sarà sembrato di averne patito un gran danno, ma forse, col senno di poi, avrà considerato che non bisogna calcolare e lamentarsi solo per il bene perduto, ma anche gioire per il male fortunosamente evitato.  

Tutto era cominciato la sera del 19 agosto 1924, precisamente alle 22, quando, nella piazza affollata per le festività di San Rocco, Vincenzo Parlati, studente ventitreenne, e Francesco Nobile, ingegnere venticinquenne,  raccogliendo l’appello del giornale “La Giustizia” per un monumento a Giacomo Matteotti avevano aperto una sottoscrizione fra amici e conoscenti . La questione era quanto mai calda poichè da appena tre giorni, il 16 agosto, era stato ritrovato il corpo del deputato socialista rapito e ucciso dai fascisti il 10 giugno. Fu perciò facile in una mezza oretta raccogliere il contributo di 87 persone di diversa età, condizione sociale e appartenenza politica, che avevano versato dai cinquanta centesimi alle cinque lire a testa. Ben presto però arrivarono i carabinieri che sequestrarono la somma raccolta (254,25 lire) e denunziarono i  giovani per colletta senza licenza.

I due sostennero che non si trattava di colletta, ma di una raccolta fra amici e, arrivati in giudizio, un  pretore coraggioso li assolse. Il servizievole procuratore del re invece appellò la sentenza, ma l’amnistia del 30 luglio 1925 che aveva dato un colpo di spugna sui misfatti fascisti di quegli anni, dovette essere applicata anche nei confronti di chi fascista non era.

La cosa sembrò essere finita lì, ma non per tanto l’episodio e i suoi protagonisti furono dimenticati.  

Nel giugno del 1927, ad esempio, il podestà Gianbattista Andriulli, intuendo che, a seguito del tramonto dell’astro del cognato Francesco D’Alessio, già sottosegretario alle finanze e segretario federale, anche la propria posizione si andava facendo difficile, scriveva al prefetto rivendicando l’azione da lui svolta nei mesi della crisi Matteotti e denigrando gli avversari di fazione :

Nel periodo quartarellista[2] egli gittò la divisa di ufficiale della Milizia dando precipitosamente le dimissioni per ragioni di…salute.

In quel periodo in cui come oggi la feccia venne a galla e proprio nel giorno in cui barbaramente fu trucidato l’On. Casalini, la locale Milizia, rimasta disorganizzata per la diserzione del Capo, non potè impedire che gli scalmanati venissero a dileggiarmi ed a cantare bandiera rossa sotto il mio balcone gridando “VIVA MATTEOTTI, ABBASSO CASALINI” e posteriormente che si facesse pubblicamente una larga sottoscrizione pro monumento Matteotti. (Casalini fu ucciso il 12 settembre, la sottoscrizione è del 19 agosto, ndr)

Io dovetti da me, senza forza pubblica, affrontare da solo la tempesta e l’atto inconsulto sarebbe rimasto indisturbato se io, in qualità di Sindaco di allora, non avessi sporto formale denuncia alla Questura che mi inviò qui un Commissario e la forza denunziando i sottoscrittori.

Quartiere generale per la sottoscrizione pro Matteotti fu la casa di un tale Parlati che, nel periodo bolscevico aveva ospitato non poche volte gli oratori bolscevichi che venivano a far propaganda su questa piazza. […]

Un tal Parlati che ha quattro figli bolscevichi, uno dei quali promosse e capeggiò qui la sottoscrizione pro Matteotti[3].[…]

Una cartolina di Matteotti 

E tuttavia non sarà l’Andriulli, che nel richiamare il passato dei suoi avversari del momento dimenticava che, per un certo periodo, aveva avuto ai suoi ordini la lega contadina e si era parlato di lui come di un possibile sindaco sostenuto dai socialisti, a risvegliare l’attenzione della questura sull’episodio, ma uno dei promotori della sottoscrizione Matteotti, l’ingegner Nobile. É a lui, infatti, che nel 1929, già capitano di complemento in congedo e stabilmente residente a Napoli dove ha messo famiglia, viene la malaugurata idea di diventare  ufficiale della milizia. Ed è da Napoli, dove tranquillamente risiedeva senza mai essere considerato elemento sospetto, che parte la rituale richiesta di informazioni alla questura della provincia di origine che a sua volta interpella le autorità del paese di nascita del soggetto. A Monte, come si è visto, il ricordo dell’episodio era ben vivo e fu così che, oltre a non potersi fregiare dei gradi di ufficiale della MVSN, l’ingegnere fu espulso dal PNF per  quel suo peccato di gioventù.

Così riaperta, la pratica fu tenuta attiva per l’intero ventennio e periodicamente la questura riferiva non solo dei due soggetti – ripetendo puntualmente che nè prima, nè dopo quell’episodio avevano svolto alcuna azione sovversiva – ma anche dei rispettivi fratelli. E così sappiamo che nel 1932 Francesco Nobile sta sempre a Napoli e serba buona condotta, che un suo fratello, Rocco, pure lui ingegnere, vive a Taranto e che un terzo fratello vive alle loro spalle. Così come apprendiamo che Vincenzo Parlati si è laureato con qualche anno di ritardo in fisica e vive del patrimonio famigliare in attesa di una sistemazione, mentre un fratello è imbarcato come radio telegrafista a Trieste, un altro è bancario a Genova e un terzo insegna a Napoli.

Su tutti  gli altri nomi della lista non più una parola da parte degli organi di polizia; almeno in apparenza la loro partecipazione alla sottoscrizione non sembrava meritevole di attenzione oltre Montevetere. Nessuno di loro, ad esempio, risulta fra i montesi – e i nati a Monte – schedati dal Casellario Politico Centrale in epoca fascista  – i tanti fascicoli su nostri paesani aperti dopo, specialmente negli anni cinquanta, non sono ancora consultabili – che conserva invece memoria di:

 Vito Leonardo Avena, contadino, socialista, ammonito;

 Michele Buonora, anarchico, ciabattino, emigrato iscritto alla rubrica di frontiera  

Francesco Ciannella, antifascista, pastore, ammonito;

Mario D’Amato Cantorio, antifascista, applicato, ammonito, iscritto alla rubrica di frontiera;

Antonio di Grazio, antifascista, contadino, confinato in quanto Testimone di Geova,

Francesco Garbellano, socialista, sarto, emigrato in USA iscritto alla rubrica frontiera;

Giuseppe Garulli, socialista, insegnante, radiato;

Giovanni Longano, antifascista, capomastro meccanico, iscritto alla rubrica di frontiera;

Emanuele Russo, anarchico[4].

Alla loro memoria dedico queste pagine, ma ritengo opportuno sviluppare qualche considerazione anche sui “sovversivi” occasionali della lista Matteotti. 


[1] C. Levi, Cristo si è fermato a Eboli, Torino 1945, pag. 24.

[2] Così, dalla contrada Quartarella,  nell’agro di Roma, dove erano stati trovati i resti di Matteotti, furono sprezzantemente definiti quanti si erano levati in quei mesi contro il fascismo venendo accusati perciò di sciacallaggio.

[3] Archivio di Stato di Matera, Gabinetto Prefettura, Ricovero 1990, busta 92, Lettera al Prefetto del Podesta di Montescaglioso del 23-6-1927

[4] http://nostos.maas.ccr.it/cpc





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