Celebrazione della Vittoria e fascismo, terza parte

L’enormità della cosa risalta ancora di più se si considera che nell’autunno del 1920 per le elezioni amministrative – che dopo una lunga serie di commissari – portano alla nomina a sindaco del farmacista Gregorio D’Alessio, un fratello di Francesco, gli elettori erano stati appena 1100.

Un altro aspetto sorprendente nelle elezioni del ’21 è nel fatto che nel proprio paese “l’illustre figlio”, che aveva battuto in lungo e in largo le piazze di tutti i comuni lucani dove aveva aderenze, ed erano tanti, non aveva avuto bisogno di fare comizi né di far distribuire sovvenzioni per l’acquisto di voti che il governo elargì in quei mesi a favore dei propri candidati spacciandoli per contributi alla lotta antimalarica o a sostegno delle associazioni combattentistiche. Montescaglioso non li avrà, era una conquista già fatta, meglio occuparsi di quelle ancora da fare.

Ciò non significa che anche qui una parte dell’elettorato non fosse stata propiziata, ci aveva pensato, come meglio si vedrà, il sindaco dosando i benefici a secondo dell’influenza di ogni elettore, dell’ampiezza e coesione del nucleo famigliare, degli orientamenti precedenti. Una cosa scientifica. A spese dell’erario.

Ai montesi altri, agli irriducibili, si è già detto, andarono solo, in persona di quanti il primo maggio avevano cercato di opporsi all’assalto della camera del lavoro, un po’ di bastonate e qualche mesetto in gattabuia.

Della particolarità montese parlerà, paradossalmente, anche il Giornale di Basilicata, la più importante testata regionale diventata amica del governo in carica, così come in passato era stata filonittiana, e, in seguito, sarà prontamente allineata al fascismo:

Montalbano Jonico, Montescaglioso e Grassano, ecco la triplice che non garba agli avventurieri esaltatori dell’astro ormai tramontato (Nitti, ndr). Queste tre cittadine che seppero nobilmente affermarsi italiane, condannando all’unanimità la lista radico-clerico-comunista, vanno invece nominate, a titolo di gloria, perché vollero respingere con coscienza lucana l’oro col quale si sperava di comprarle. Missionari con portafogli ben gonfi vennero qui, come ad un mercato, ma i vili furono costretti a salvarsi con la fuga per tema di meritata punizione.

Non era la prima volta che questo giornale, pur costretto a un difficile equilibrismo fra l’esigenza di magnificare gli aiuti che arrivavano dal governo grazie ai candidati governativi – con titoli, uno dei tanti, come questo:  Il Comm. Faudella ottiene 300 mila lire per la lotta contro la malaria – e quella di screditare i nittiani accusandoli, come si è già visto, di corrompere l’elettorato dava spazio alle boutades dei ministeriali sull’oro nittiano. E, naturalmente, quelli che più strepitavano a tale riguardo erano proprio i campioni del mercimonio attuato dal governo per comprare il voto dei lucani. Da Decio Canzio Garibaldi, il capo delle squadre che terrorizzarono le piazze, che in un comizio a Potenza sostenne che i nittiani avrebbero fatto “la lotta all’americana, cioè valendosi, su larghissima scala, dei mezzi di corruzione”[1], allo stesso Pietro Faudella – proprio colui che distribuiva le provviste governative che, parlando a Matera, ebbe a dire che non si sapeva quanto denaro Nitti e i suoi avrebbero speso, ma si sapeva da dove veniva. Dall’obolo di San Pietro![2] Questa rivelazione, e altre simili, provenendo dall’uomo del Viminale avevano il timbro dell’ufficialità e quindi riscuotevano un certo credito.

In realtà Nitti per quella campagna elettorale spese, di tasca propria, sessantamila lire. Lo ha ricostruito una sua biografia di grande rigore scientifico. La stessa che riporta anche una dichiarazione di Giustino Fortunato sulla corruzione: “I ministeriali si lasciarono dietro di mille miglia i nittiani”.[3] Dello stesso tenore un’altra testimonianza non sospettabile di parzialità, quella di un commissario di PS che, dopo essersi dilungato sulle croci da cavaliere e sulle commende distribuite in passato dal partito Nitti, affermerà che gli altri dovettero “ per conquistare la massa, triplicare i favori a beneficio degli elettori.”

Andò tutto agli elettori il denaro che lo stato liberale offrì a chi doveva dargli il colpo di grazia?

Non lo sapremo mai. Risulta invece che Francesco D’Alessio ricevette per spese elettorali trecentocinquantamila lire.[4] L’equivalente di oltre 330.000 di euro attuali. Una cifra di tutto rispetto considerando che in quegli anni un chilo di pane costava una lira e quaranta centesimi nelle grandi città e un quotidiano si comprava a venti centesimi. 

Ed effettivamente qualche spesa dovette farla. Uno dei malviventi  che erano stati al suo soldo, ebbe poi a rilasciare una dichiarazione che arricchì il folto dossier che il gruppo Nitti presentò alla Giunta delle elezioni  ottenendo l’attribuzione di un deputato in più. Questa testimonianza è interessante anche, a ben guardare, per ciò di cui non si parla. Mentre infatti nel Potentino sono i finti fascisti di Garibaldi a darsi alla caccia degli avversari, a Matera e nel Materano non si sente il bisogno di nascondere le violenze sotto la camicia nera. Lo abbiamo già visto per Montescaglioso. Eppure proprio a Matera era sorta nel dicembre del 1920 una sezione fascista, la prima della regione, ma tre mesi dopo, abbattuta l’amministrazione socialista cittadina e rivolto un accorato appello all’onorevole De Ruggieri, e solo a lui, ad unirsi a loro -“A voi che dell’ordine siete un alfiere, a voi che sapete le più belle battaglie combattute e vinte per il popolo nostro, a voi diciamo: siate con noi, combattete con noi…”-  era entrata in sonno. [5]Quindi i protagonisti della narrazione che adesso segue su quanto accadde a Matera, non sono fascisti con tessera, ma mazzieri di vecchio stampo:

Fin dal 15 aprile corrente anno (1921, ndr.) fummo assoldati dal dott. Pietro Salinari in qualità di mazzieri per conto del Deputato D’Alessio. Dopo pochi giorni eravamo già una settantina ed avevamo la nostra sede in un locale di proprietà del Comune […]Eravamo divisi in squadre; ogni squadra aveva il rispettivo capo squadra. Eravamo poi pagati dal cantiniere Emanuele Calculli che ci forniva anche il vino da bere. Gli ordini che avemmo dal primo giorno dal dottor Salinari erano che dovevamo insultare e intimidire gli elettori Nittiani; non dovevamo permettere che essi potessero tenere alcun comizio; impedire ad ogni costo che parlassero agli elettori i candidati De Ruggieri e Latronico menando magari “mazzate da cani”.

Nonostante le intimidazioni, gli insulti e le mazzate distribuite imparzialmente fra i nittiani e i popolari che avevano nel prof. Emanuele Festa il loro candidato -a Matera i socialisti erano stati già messi fuori combattimento a gennaio dai fascisti, quelli veri, e dai questurini, pure, purtroppo, quelli veri -, la notte del 13 maggio, inaspettatamente, verso le due di notte “con un’automobile velocissima arrivò l’onorevole De Ruggieri, il quale con la sua macchina infilò il portone”.

La mossa – come dire? – del coniglio di De Ruggieri fu così inopinata da sorprendere tutti. Ma come, dopo essersi allontanato dal collegio, vi ritornava proprio nelle ultime e più infuocate giornate di caccia agli avversari? E cosa sperava ancora dopo essere stato abbandonato alla sua sorte persino dai cognati Lacava, gli impresari della sua carriera politica, che, dati i tempi, si preparavano già a puntare sui ministeriali?

Ad ogni modo i poveri sgherri si presero il loro bravo cicchetto. Ciò, commenta infatti il testimone, urtò D’Alessio e Salinari che ci fece le rimostranze per la poca buona vigilanza da noi fatta. Sicché la notte seguente Nicola D’Alessio e il fratello di costui, l’onorevole in persona, travestito (sic!), comandavano ciascuno una squadra di persone armate di mazze, pugnale e rivoltelle e circondammo la casa di Latronico e di dettero ordine di sparare sull’automobile di Latronico nel caso che esso arrivasse. 

Verso le due della notte l’onorevole D’Alessio dette ordine ad uno della squadra di salire sulla casa di Latronico, bussare e farsi aprire con una scusa qualunque per spiare chi c’era. […]  Così salì sopra certo D’Alconzo Vincenzo al quale poco dopo venne aperto ed entrò in casa Latronico. Dopo poco D’Alconzo scese e riferì all’onorevole che in casa vi era solo il fratello di Latronico. Allora l’on. D’Alessio si irritò e rimproverò il D’Alconzo con le seguenti parole: Tu sei un fesso, non sai fare un cazzo. Non è possibile che stia solo![6]


Si può dubitare, o sorridere, di qualche particolare di questa colorita descrizione e chiedersi, ad esempio, da cosa si sarà travestito il corpulento onorevole, ma questo era il personaggio. Un personaggio che ben rappresentava i suoi tempi e ancora meglio anticipava i nostri. Alla lunga saranno gli eccessi a perderlo, ma ne verrebbe fuori una storia troppo lunga e complessa per essere raccontata qui.

Ed eccessi , come si è visto, ci furono  anche nelle elezioni del 1921, ufficialmente le ultime liberamente tenutesi in regime liberale, nei fatti le più turbolente e insanguinate della nostra storia unitaria. Per tutta la durata della campagna elettorale, i candidati governativi  insistettero sull’importanza nazionale del responso che la regione avrebbe dato in quella occasione con appelli come questo:

Elettori di Basilicata! Tutta la Nazione guarda alla lotta elettorale che si svolge nella nostra circoscrizione elettorale e ne segue con ansia le vicende[7].

Un primo spoglio delle schede sembrò dare loro la vittoria, sia pure di stretta misura: alla governativa Lista Bandiera con 35.892 voti erano andati cinque deputati; alla nittiana Lista Stella, con 35.302 voti, quattro.

Senonchè propri  i risultati di Francesco D’Alessio a Montescaglioso, Pietro Faudella a Montalbano Jonico e Pasquale Materi a Grassano, le tre cittadine che, a dire del Giornale di Basilicata, non si erano vendute, apparvero sospetti e furono sottoposti al vaglio della Giunta parlamentare per le elezioni. Dopo complesse discussioni, che videro battersi a favore dei tre niente meno che Alfredo Rocco, il futuro padre del codice penale, pur con molti dubbi, furono considerati validi i voti di Ferrandina e annullati, per brogli, i 3114 voti di Montescaglioso e Grassano. Conseguentemente alla lista nittiana andò un deputato in più (Nicola Salomone) e alla Bandiera uno in meno , il grassanese Pasquale Materi. La convalida dell”elezione di D’Alessio e Faudella, arrivò solo nel luglio del 1922[8]. Nell’attesa del responso della Giunta, molte amministrazioni, fra cui quella di Montescaglioso, vissero nell’incertezza per oltre un anno.   

 


[1] Potenza è antinittiana, Giornale di Basilicata del 16-17 aprile 1921.

[2] Le trionfali accoglienze di Matera al prof. Faudella e agli on. D’Alessio e Materi, Giornale di Basilicata del 7-8 maggio

[3] Nitti, di F. Barbagallo, Torino 1984, pag. 422.

[4] Faziosità del gerarca D’Alessio contro il nipote di Pasquale Grippo, in Giustizia! del 1 marzo 1945.

[5] Archivio di Stato di Matera, Carte De Ruggieri, lettera di Michele Maglione, segretario della sezione di Matera dei Fasci Italiani Italiani di Combattimento del 6febbraio 1921.

[6] Ecce homo!, in Rinascita, trimensile delle democrazie in Basilicata, del 24 ottobre 1945. Questa testata per oltre un anno pubblicherà una ricca documentazione su D’Alessio ignorando totalmente le gesta degli altri gerarchi. All’epoca di questa campagna si ispirava  al Partito d’Azione ed era diretta da Salvatore Pagliuca che nell’aprile del 1948 sarà eletto deputato per la Democrazia Cristiana.

[7] La grande anima lucana, nel nome d’Italia, per la lista patriottica!, in Giornale di Basilicata del 12-13 maggio 1921,

[8] La relazione della Giunta e la discussione alla Camera sull’elezione di Potenza, in Giornale di Basilicata del 1-2 luglio 1922.

[9] Movimento elettorale, in La Basilicata del 30 giugno 1919

[10] Archivio di Stato di Matera, Gabinetto Prefettura, ricovero 1990, Ricorso contro il R. Commissario di Montescaglioso, del 4 luglio 1919

[11]Ib., Montescaglioso, denuncia contro il Regio Commissario inoltrata dal prof. Francesco D’Alessio. del 6 luglio 1919.

[12] Da Montescaglioso. Per l’avv. Dalessio. I favoritismi del R. Commissario, in La Basilicata del 3 luglio 1919.


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