Madre dolore

Il 23 febbraio del 1865 due contadini di Ginosa denunciano al sindaco la morte di Rocco Chirichigno, trentatreenne capo brigante di Montescaglioso, conosciuto anche con il soprannome di Coppolone. Nell’atto manca l’indicazione del giorno e dell’ora dell’evento, ma proprio l’ora insolita in cui la dichiarazione è fatta, le dieci di sera, induce a pensare che i due, scoperto casualmente il cadavere nelle campagne, si fossero affrettati a farne denuncia.   

Si capisce il motivo: Chirichigno non era un qualunque scassapagliai, ma il capo riconosciuto di una banda di consistenza variabile, di notevole mobilità sul territorio e di buone capacità nello stringere alleanze con altre bande. Era anche considerato il meno sanguinario dei capi banda della regione e, in effetti, nel suo ricco curriculum criminale non si riscontrano episodi di violenza per la violenza.

Con la sua morte si chiude il ciclo apertosi con i torbidi antiunitari del 2 febbraio 1861 a Montescaglioso che aveva causato un certo numero di arresti – seguiti poi dalla rivolta dei detenuti nel carcere locale – e, come nel caso Chirichigno, la fuga nelle campagne dei ricercati per sfuggire all’arresto.

Ma non si vuole qui fare la storia delle origini del brigantaggio quanto, piuttosto, una piccola cronaca su alcuni aspetti della sua fine.

Si diceva della morte solitaria di Chirichigno; analoga sorte toccò a molti dei suoi gregari e ai pochi sopravvissuti non restò altra scelta che consegnarsi per essere giudicati dal tribunale di guerra.

Soltanto nel 1872, anche per meglio definire i processi ancora in corso, le autorità sentirono il bisogno di fare un “censimento” conoscitivo della sorte toccata a tutti gli accusati di brigantaggio. E a tale scopo se ne sentirono anche i parenti sottoponendoli a testimonianza. Tutti questi, per la sola parentela con qualche brigante, avevano subito arresti e persecuzioni; si capisce quindi perché alcuni avessero poi accolto la notizia della loro morte come una liberazione.

In quei casi si avranno perciò deposizioni di questo tipo: ” Anni addietro, non ricordo precisamente quando, sentii dire pubblicamente che mio nipote Domenico Batta (Batti, ndr) era stato preso verso Melfi. Io che non ho voluto mai saperne nulla di lui, non mi interessai di altro, tanto più che non si potevano avere notizie precise dell’accaduto. Certo è che non se n’è inteso più parlare”. Più neutra la dichiarazione della matrigna che, dopo aver detto di aver saputo della sua morte, aggiunge: ” Non ho appreso però né in qual luogo, né in qual modo, né quando precisamente sia morto il detto Domenico Batta. Certo che non ha dato più notizie di lui e nessuno crede che sia tuttora vivente.”

In qualche altra testimonianza però al fastidio e all’indifferenza che alla morte fisica aggiunge la condanna all’oblio, subentra la comprensibile rabbia dell’io l’avevo detto da profeta inascoltato. ” Per mia sventura – dirà Ignazio Scocuzza – ho avuto quattro nipoti che presero parte al brigantaggio, cioè Vito Leonardo, Antonio, Michele e Rocco Scocuzza. Più volte io sono stato arrestato per colpa loro […]”.

É pero solo nelle parole della madre, che neppure la trasposizione nel linguaggio burocratico riesce a nascondere, che il dolore riaffiora in tutta la sua nuda essenza. Dice Porfida, all’epoca settantenne:

Io ho perduto tutti i cinque figli maschi che avevo i quali sciaguratamente avevano preso parte al brigantaggio. Quattro ne perirono, fra i quali Rocco (Scocuzza), e l’ultimo, cioè Vito Leonardo si trova detenuto a Portoferraio.                                                   

  

 

Telemaco Signorini, Bagno penale a Portoferraio, 1894, il primo detenuto a destra raffigura Carmine Donatelli detto Crocco

 

 

Quando avvennero questi fatti io era arrestata in Toscana, epperò nulla ne compresi di preciso.            
Il dolore non mi ha permesso nemmeno di prendere minuto conto della morte dei miei figli, sentii dire che Rocco cessò di vivere verso Castellaneta, ma nessun’altra particolarità conosco.

Non sappiamo se Vito Leonardo uscirà vivo dalla Torre della Linguella, a Portoferraio, nell’isola d’Elba, che ospitava anche Carmine Donatelli detto Crocco ed accoglierà in seguito per dieci anni l’aspirante regicida Giovanni Passanante e ancora, nel 1933, Sandro Pertini.

                                                         

Giovanni Passanante arriva a Portoferraio, Torre della Linguella chiamata poi anche Torre di Passanante

 

 

 

 

 

 

 

Qui il fratello Antonio vi spirerà, a cinque anni dalla sua costituzione, il 21 settembre del 1870 per cause non dichiarate nell’atto di morte.

Aveva ventinove anni.   


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