IL PROFUMO DELLE GINESTRE CAP PRIMO

IL PROFUMO DELLE GINESTRE

Parte prima

I miei ricordi dai primi passi al terremoto dell’80

 

 

 

Capitolo primo

Sono le serate come questa che affacciandomi alla finestra e vedendo il paesaggio avvolto di una folte nebbia mi riporta alla mente la collina sulla quale sorge un piccolo paese che dall’alto domina le valli attraversate a destra dal fiume bradano e a sinistra dalla gravina e che tagliando in due il paesaggio murgioso delle terre confinanti tra Puglia e Basilicata si snoda tortuoso e profondo verso il mar ionio.

In uno dei quartieri più antichi di questo piccolo comune ebbi vita e li trascorsi i miei anni fino a quando spinto dalla necessità di assicurare alla mia famiglia un minimo di tranquillità economica dovetti prendere la cosiddetta valigia per cercare lavoro in lontane terre del nord dove ancora vivo con la speranza di poter un giorno fare ritorno nelle terre che da fanciullo imparai ad amare.

Era la seconda metà degli anni cinquanta e il mio che era un quartiere abitato per lo più da famiglie contadine era il posto dove era possibile parcheggiare per la notte i traini pronti per rimettersi in moto alle prime luci del giorno e portare nei campi gli uomini e le donne addette alle coltivazioni della terra. Il buio avvolgeva l’intero quartiere e a noi bimbi non pareva vero di essere padroni indiscussi della sera e di quei traini tutti nostri dove poter fare mille giochi e dove soprattutto poterci nascondere per i primi approcci amorosi con le ragazzine del quartiere. Niente di veramente importante, ma per noi era la cosa più fantastica che potesse succederci, visto la totale assenza di qualunque discussione sull’argomento da parte delle nostre famiglie e anche dei ragazzi più grandi che evitavano in tutti i modi di parlare di sesso con noi più piccoli. Quindi dovettimo scoprire ed imparare da soli la nostra sessualità e nascosti sotto i teloni dei traini cominciare le nostre prime masturbazioni collettive e i primi approcci con le nostre coetanee.

Prima dell’alba il silenzio della notte veniva di colpo interrotto da mille rumori. Voci di donna che chiamavano i vicini e si davano appuntamento per partire, i muli che venivano attaccati ai traini, scalpitio di zoccoli di cavalli e ragli di asini.

Il paese si era svegliato, quello che per alcune ore era sembrato un paese di fantasmi di colpo si era riempito di vita, ognuno pronto a riprendere il proprio lavoro nei campi, sia uomini che donne ognuno sapeva che un’altra giornata di duro lavoro li aspettava pur di portare a casa quel minimo indispensabile che servisse alla propria casa.

Di giorno in paese restavamo solo noi ragazzi e gli anziani che dovevano prendersi cura di noi quando tornavamo da scuola. Del resto anche il loro compito non era poi meno impegnativo dato che oltre a dover sopportare delle vere e propri pesti quali eravamo dovevano anche accudire la casa, rammendare i vestiti e preparare la minestra per la sera.

A parlare di questo sento quasi il profumo come se non avessi mai smesso di mangiare quella zuppa di pane raffermo ricoperto di fave e sedano cotti al pigniatello sul fuoco del camino e che si mangiava in un piatto grande posto al centro del tavolo e dove tutti dovevamo conquistarci un spazio per poter accedere alla nostra razione. Sembra quasi di assistere al film di Totò miseria e nobiltà, solo che nel nostro caso si trattava veramente di miseria, la miseria data dal non avere nulla, la totale povertà, niente acqua corrente, niente luce, solo una candela accesa per mangiare e poi subito spenta per non consumarla presto, niente fognatura, niente di niente, e pure tanta nobiltà, la nobiltà di sapere che quel piatto era il frutto di tanto sudore, di un qualcosa guadagnato onestamente e che volentieri si divideva con tutti come tanti fratelli.


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