Referendum. Perché sì

Gli spettacoli di malapolitica che si sono susseguiti a ritmo incalzante negli ultimi anni hanno prodotto in me, come in tanti altri della mia generazione con un qualche passato di militanza, un crescente senso di impotente ostilità verso la politica e successivamente rassegnazione al peggio e distacco. In breve: facciano quello che vogliono, ma non a mio nome.

E su questa posizione pensavo di astenermi, o votare scheda nulla, all’imminente referendum di revisione costituzionale. Poi ci ho pensato meglio ed ho cambiato idea.

Gli storici penseranno a dipanare l’aggrovigliata matassa di eventi che ha portato al governo l’ex sindaco di Firenze – un sindaco non memorabile a confronto con vari altri che hanno cambiato sensibilmente le città da loro amministrate –  che si era imposto all’opinione pubblica con un programma di rottamazione del vecchio gruppo dirigente del PD. Un programma ardito, ma non originale, dal momento che a buttare nel fango l’aureola di tanti suoi esponenti stava già pensando Berlusconi e i suoi lanzichenecchi e a smerdare l’intero olimpo politico nazionale senza riguardi per nessuno stava provvedendo Beppe Grillo. Non sembrava vero, ma il popolo di sinistra, un popolo cresciuto nella presunzione di essere antropologicamente diverso dagli altri – una presunzione avvalorata da quella che era stata fino agli anni settanta la propria storia e poi sopravvissuta ancora per un ventennio – dovette prendere atto di fatti che dimostravano che anche i propri re e reucci erano nudi. Qualcuno si consolò dicendo che quello che era stato il PCI, era stato inquinato dall’assorbimento di una parte della vecchia DC dopo il suo tracollo. Qualcun altro sostenne che il vecchio PCI nelle successive reincarnazioni s’era portato appresso le proprie tare – centralismo, settarismo, cooptazione cioè selezione dei nuovi dirigenti fatta dai vecchi – e quelle della DC, soprattutto correntismo e clientelismo.

In questa situazione, auspice il crollo economico-finanziario del nostro paese cui aveva portato anche il discredito personale e politico di Berlusconi e l’intervento dell’Unione Europea mentre imperversava la più grave crisi finanziaria mai conosciuta nella storia del capitalismo, dopo i governi tecnici di Monti – che nell’estate del 2011 aveva salvato l’Italia dalla bancarotta – e Letta ci siamo ritrovati con Renzi.

Il personaggio potrà non essere un mostro di simpatia, ma il suo governo ha ridato, anche agli occhi del mondo,  un minimo di stabilità al nostro paese e propiziato un avvio al ritorno della normalità.

Oggi questo governo chiama ad esprimerci sulla revisione della nostra Costituzione, nata dalle ceneri della dittatura fascista e, perciò, particolarmente attenta a creare un sistema di pesi e contrappesi per evitare il ritorno di governi autoritari. Una preoccupazione sacrosanta per quegli anni, assai meno, a mio avviso, ai giorni nostri. Nel mondo occidentale odierno un ritorno di dittature come quella fascista è del tutto improbabile e quindi il mantenimento di due camere, che ritarda enormemente l’iter legislativo, non ha più senso. Il pericolo per la democrazia può venire oggi, pur in un sistema bicamerale, da governi legittimamente eletti sull’onda di movimenti populistici. Lo abbiamo visto in Italia con Berlusconi e rischiamo di vederlo nuovamente con Grillo. Lo si è visto nel Regno Unito e negli S.U. con Trump dove alla miscela di risentimenti verso la politica tradizionale si è aggiunto l’isolazionismo e la xenofobia.

Per governare meglio e premunirsi così dall’affermarsi di movimenti che in nome dell’antipolitica si ispirano a un qualche guru, e solo a lui rispondono, è necessario che l’azione del governo non sia impacciata da veti e controveti legittimati più dalla forma che dalla sostanza e da una burocrazia onnipotente, inamovibile e spesso più corrotta dello stesso ceto politico.

Voterò sì perché temo gli scenari che si aprirebbero con la caduta di questo governo. La panchina della nostra politica non mi pare che abbia qualche Maradona pronto a scendere in campi. Si andrebbe a un’avventura grillina, nella migliore delle ipotesi, con un manipolo di tribuni sprovvisti di ogni esperienza. Un’avventura pericolosa poiché non è vero che chiunque, per quanto onesto, saprebbe governare, così come non è vero che chiunque potrebbe, per quanto animato dalle migliori intenzioni, fare il chirurgo, il giudice, l’ingegnere o una qualunque professione che richieda attitudine, passione per il proprio lavoro e lunghi e seri studi.

Voterò sì perché credo che, come qualunque altra cosa, anche la nostra Costituzione abbia bisogno di adattarsi ai tempi nuovi e infinitamente più mutevoli di quelli in cui è stata elaborata e perché temo che un eventuale dopo-Renzi riconsegni il nostro paese alla speculazione internazionale.


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