Proposte d’ascolto: la musica dell’attesa

Damiano D'AmbrosioDamiano D’AmbrosioScritta nel linguaggio delle scienze matematiche, la musica – sono stati in tanti a notarlo -è la più misteriosa e contradditoria delle arti poiché nasce dal “sentire” profondo di chi la crea e si rivolge alla parte irrazionale di chi l’ascolta.

Quando poi il tema, l’oggetto musicale , si ispira alle tradizioni popolari, le cose si complicano ulteriormente e il mistero si infittisce.

Come si vedrà in seguito, l’autore di cui qui si parla immagina la musica popolare come un corso d’acqua che in certi tratti scorre in superficie e in altri si nasconde sottoterra.

A me, pensando al difficile rapporto del nostro territorio con la propria cultura – musica compresa- e ascoltando “Il canto dei Sassi” di Damiano D’Ambrosio, è venuto da pensare – o meglio: da sperare – che possa avere la vitalità che Eugenio Montale attribuisce all’anguilla:

che risale in profondo, sotto la piena avversa,
di ramo in ramo e poi
di capello in capello, assottigliati,
sempre più addentro, sempre più nel cuore
del macigno, filtrando
tra gorielli di melma finché un giorno
una luce scoccata dai castagni
ne accende il guizzo in pozze d’acquamorta

Questo richiamo, forse ingenuo e un po’ retorico – il fatto è che è difficile parlare del valore delle nostre cose senza fare riferimenti illustri dal momento che “le nostre cose” non hanno mercato – mi è stato suggerito dall’ascolto dell’ultimo lavoro del compositore montese.

Molti sanno chi è Damiano D’Ambrosio, gli altri potranno farsene un’idea leggendo le brevi note biografiche riportate in seguito.

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Chi volesse può scaricare l’mp3 a questo indirizzo (tasto destro del mouse -> salva destinazione….):
https://www.montescaglioso.net/contenuti/PastoraleECupaCupa.mp3

 
 
 

Nel rivisitare i dieci pezzi del folklore di Matera – ma alcuni erano diffusi anche in provincia – contenuti nel cd realizzato utilizzando software musicali, D’Ambrosio tira fuori dall’orto botanico dei suoni canti d’amore e di lavoro dal linguaggio fra l’arcaico e il classico e una ninna-nanna dal testo inquietante.

Quanta serenità poteva dare al bambino che si voleva far addormentare la storia del lupo che s’era mangiato la pecorella, che se l’era mangiata con tutta la lana, povera piccolina senz’attane ? Ma così andavano le cose quando l’infanzia era un pianeta ancora da scoprire e i bambini erano trattati come piccoli uomini e preparati senza tanti complimenti alla vita che li attendeva

Per i canti d’amore si pensi ai versi di Ierta Chilonna (l’alta colonna alla quale l’innamorato paragona la sua donna): Alta Colonna mia, Alta Colonna,/ tu fai morire l’amante di passione/

tra fronde e fiori, come una sposa/ tu, donna mia, dormi e riposa.

Nella riscrittura che D’Ambrosio ha fatto di questi brani mancano le parole, ma la densità e la suggestione del frammento da testo arcaico è recuperata attraverso atmosfere che calano l’ascoltatore nel tempo immobile in cui sono stati immersi i nostri nonni fino a quando queste musiche sono state la colonna sonora della vita quotidiana dei nostri paesi.

Da profano, definirei questa, musica dell’attesa.

Un’attesa che nasce dall’accanito sforzo di ricordare e ricostruire una cultura, una mentalità e un modo di sentire che ci ha fatto ciò che siamo senza dirci perché e senza lasciarci, per così dire, le istruzioni per l’uso. Quasi un lungo già vissuto, già visto, già sentito.

Un’attesa irreale che si consuma in un clima che vorrebbe essere sereno, ma come dubitando della possibilità e della giustezza delle sue aspirazioni, all’improvviso si rompe in fughe nel panico e nell’accensioni di sentimenti ostili. C’è perciò anche nei momenti più arcadici una controllata tensione; come il timore di un tradimento, di un fulmine a ciel sereno, della presenza di fantasmi meridiani nella canicola densa della controra.

Se protagonista di questa riscrittura è l’attesa, sullo sfondo scorre -ora lento ora a guizzi scoordinati- il tempo, un tempo che passa anche quando si sta ad aspettare non si sa cosa, un tempo che scorre su se stesso.

Nella tessitura fatta da Damiano D’ambrosio della musica popolare, il rapporto con la musica colta non sempre emerge chiaramente. Alcuni leit-motiv folklorici sono chiaramente incastonati nella nuova struttura, altri sono stati radicalmente reinterpretati.

A esempio dell’operazione di elegante restauro del primo tipo, si propone qui l’ascolto di “Pastorale e cupa cupa”. Per gli altri si rinvia all’ascolto completo del “Canto dei Sassi”.

Ne vale la pena, a mio avviso.

Così come vale la pena di leggere ciò che lo stesso Damiano D’Ambrosio ha scritto su questo suo lavoro eseguito per la prima volta dal vivo il 29 settembre in occasione del .Womens Fiction Festival di Matera dove ha riscosso lusinghieri apprezzamenti.

IL CANTO DEI SASSI

Cartoline sinfoniche da Matera

Quando penso al canto popolare, immagino un fiume carsico, lento e poderoso, di cui ignoriamo le origini precise, ma che scorre tranquillamente, accompagnando e sospingendo inesorabilmente verso il mare le fatiche e le speranze, le pene d’amore, le sofferenze e i dolori come anche le gioie e i giochi infantili delle comunità umane.

Capita a volte che esso ricompaia in superficie riflettendo i colori del cielo e della vegetazione circostante come anche gli acquerelli disegnati dalle nuvole che lo sovrastano, per poi ritornare sotterraneo a continuare il suo affascinante ciclo.

Sono queste le fonti che irrigano da secoli, insieme al canto gregoriano (altro fiume silenzioso ma “colto”), tutta la letteratura musicale occidentale.

“Il Canto dei Sassi”, libera assonanza a “Il Canto della Terra” di Gustav Mahler, è una partitura che prende in considerazione alcune melodie della cultura contadina e artigiana materana, in cui campeggiano i grandi temi della nascita e della morte, del lavoro e delle condizioni della donna, dei rapporti sociali fra contadini, artigiani e borghesia, e le rielabora usando i colori sobri di una orchestra fondamentalmente classica, rinviando solo allusivamente ai testi della tradizione.

Ho cercato di utilizzare gli elementi melodici delle fonti come mi sembrava più opportuno: sezionandoli, ricombinandoli e riarmonizzandoli, scegliendo di volta in volta il colore adatto ad esprimere ora la malinconica ripetitività delle nenie che raccontano di pecorelle mangiate da lupi e di sonno che non vuol venire, ora la vivace allegria delle cerimonie nuziali o del gioco dell’altalena.

Ho cercato di contrapporre in uno stesso brano l’atmosfera triste e pensierosa di una antica pastorale al ritmo festoso di una “cupa cupa”; ho provato a ricreare la sensazione di immobilità sospesa del nibbio nel cielo terso della calura estiva, o la tristezza del contadino sommerso dalla fatica sull’aia mentre canta dei tradimenti d’amore, oppure la contemplazione passionale della bellezza femminile, come nella Tricchiesca o in Ierta Chilonna.

Vorrei essere riuscito a far riaffiorare ancora una volta il fiume sotterraneo.

Sarebbe utile che non restasse a lungo sommerso.

Damiano D’Ambrosio

Damiano D’Ambrosio è un compositore lucano nato a Montescaglioso (MT), vive a Roma e insegna Composizione nel Conservatorio “Cherubini” di Firenze.

Ha studiato Composizione con Raffaele Gervasio, diplomandosi anche in Musica corale e Direzione di coro, oltre che in Strumentazione per banda. Ha lavorato per il Teatro ed è autore di numerose partiture orchestrali e cameristiche.

Ha inciso per l’etichetta “Fabbrica della Pace Nobile” due CD: Sono Vita senza confini, Canti del Buddha e Serenata per la cucina italiana.


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