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Donne al confino

Mi sarebbe piaciuto farla a Monte questa mostra, l’ho proposta e riproposta con il cappello in mano, ma non è stato possibile.

La si può vedere a Matera presso l’associazione L’Atrio, in via san Biagio 29, fino all’8 dicembre.

Eccone una recensione fatta dalla Gazzetta del Mezzogiorno di oggi

Donne confinate in Basilicata
volto sconosciuto del fascismo

di CARMELA COSENTINO 

Un fenomeno da sempre analizzato a metà. Eppure il confino istituito dal Regime fascista non colpì solo gli uomini. Riflettendo, si potrebbe parlare anche qui di violenza di genere, perché si colpì la donna per il solo fatto di essere tale. Processi “farsa”, basati su segnalazioni senza fondamento alcuno, accuse di attentato alla stirpe, di magia. Bastava puntare il dito per essere condannate per un reato non commesso o comunque assurdo. Di storie come queste lo storico Cristoforo Magistro ne ha rinvenute 800 tra i fascicoli conservati nell’Archivio di Stato di Matera. Uno lavoro certosino che lo ha impegnato per circa 5 anni, ma che oggi ci permette di ricostruire e conoscere le vicende e i volti delle tante donne confinate in Lucania.

Nel territorio italiano tra il 1926 ed il 1943, funzionarono 262 colonie di confino alcune di queste si trovavano ad Accettura, Montalbano Jonico, Aliano, Ferrandina, Miglionico e Marconia dove sorse uno dei più grandi campi di internamento italiani, una struttura che serviva per il recupero degli antifascisti attraverso il lavoro e per questo fu chiamato Colonia Confinaria di Lavoro che accolse circa duemila persone. Insomma fu un fenomeno di larga portata che colpì anche le donne, catturate, incarcerate, processate e mandate al confino, con l’accusa di aver tenuto comportamenti “sconvenienti o immorali”, come le prostitute, ma anche per il diverso credo religioso e per l’appartenenza a un minoranza etnica.

Tra i casi interessanti rinvenuti in Archivio, quello di Giulia accusata di stregoneria. Il 15 agosto del 1940 a Corleto Perticara, nel potentino, venne denunciata la scomparsa di un bambino di 5 anni, il cui corpo senza vita fu ritrovato alcuni giorni dopo in campagna, ucciso da una bastonata in testa e violentato. I sospetti ricadono su un pastore, un contadino e sulla sua amante, Giulia zia del bambino. Stando alle accuse, i tre avrebbero ucciso il piccolo per sacrificarlo, propiziando il ritrovamento di un tesoro. Incarcerati e liberati dopo due anni per insufficienza di prove, saranno mandati al confino perché la loro liberazione fu male accolta dalla popolazione. Giulia, dichiaratasi più volte innocente, sarà mandata a Tursi per 5 anni. Rimasta senza sussidi né lavoro, affamata e scalza, sarà liberata nel 1945 dalla Croce Rossa Internazionale cui il marito, prigioniero in Africa, aveva esposto la vicenda.

Non mancarono casi di donne punite per impedire la propaganda ostile al regime fascista come per le 23 donne di Muggia condannate a 5 anni di confino per aver protestato in piazza.Tutto questo racconta la mostra “Confinate in Lucania” organizzata dall’Associazione culturale L’Atrio, allestita negli spazi di via San Biagio fino all’8 dicembre e arricchita da un’esposizione dei lavori realizzati dagli studenti del Liceo Artistico “Carlo Levi” di Matera.

Cristoforo Magistro:

View Comments (3)

  • Un altro lavoro importantissimo per ripristinare la verità storica e per svelare i fatti volutamente o involontariamente nascosti e dimenticati che interessano la nostra povera e martoriata Basilicata.  Il prof. Magistro, come sempre, dà prova della serietà e dello spessore del proprio lavoro che, come ha scritto, avrebbe voluto esporlo a Montescaglioso. Niente da fare, ai nostri amministratori non interessa, forse perchè impegnati a dispensare risposte a chissà quali problemi.

    Intanto abbiamo perso un'altra occasione. Quando Montescaglioso meriterà amministratori capaci e sensibili a problematiche lontane dal familismo amorale e dal clientelismo?

    Filippo

  • Cristoforo ci ha ormai abituati a questo tipo di mostre/ricerche, il suo lavoro è sempre degno di nota.

    Purtroppo però ci siamo anche abituati (ahimè!) al nostro assessore alla cultura.

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