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Tra grotte e catacombe, il fondamentale ruolo degli archeologi in Basilicata

Il territorio della Basilicata ha visto nei secoli un susseguirsi di popolazioni: dagli autoctoni lucani ai greci, passando per i romani, i longobardi e i bizantini, senza dimenticare arabi e normanni. Non sorprende quindi sapere che la Basilicata è ricca di siti archeologici risalenti fino al IX secolo a.C.; se oggi possiamo ammirare le bellezze rinvenute da questi scavi è grazie allo sforzo di archeologi che secoli dopo secoli si sono susseguiti studiando con passione l’eredità che queste popolazioni hanno lasciato in Basilicata.


Gli archeologi lucani di ieri e di oggi


L’amore per le epoche antiche è ancora forte oggi e viene alimentato da film, libri e giochi. Se alcuni di questi, come i film come il Gladiatore della o romanzi di Valerio Massimo Manfredi editi da Mondadori, raccontano della vita degli abitanti di antica Grecia e antica Roma, altri sono addirittura dedicati alla ricerca stessa dei manufatti lasciati da queste popolazioni. Ne sono un esempio le avventure di Indiana Jones o quelle di Lara Croft, il cui universo espanso è arrivato a inglobare anche il mondo dei fumetti, editi in Italia dalla Panini Comics, del gioco online con la slot machine Lara Croft: Temples and Tombs, che campeggia nella prima pagina del casinò online Betway Casinò ed è ambientata durante una delle avventure di Lara a caccia di tesori in un’antica tomba, e del grande schermo, con ben tre pellicole cinematografiche prodotte da Paramount Pictures e Warner Bros. Quello degli archeologi è infatti un fascino che unisce intelletto e avventura: è facile immaginare questi esploratori alle prese con le liane di qualche foresta mentre raccolgono informazioni per il loro prossimo libro.

Gli archeologi lucani erano, e sono, armati di cazzuola trowel invece che di frusta, ma hanno donato enormi contributi allo sviluppo dell’archeologia in Basilicata e nel resto d’Italia. Esempio ne è Massimo Osanna, che dal 2016 ricopre il ruolo di direttore del Parco Archeologico di Pompei, dopo anni di esperienza come insegnante presso l’Università Federico II di Napoli e ruoli ricoperti all’estero in Francia e in Germania. È invece rimasto nella terra natia Salvatore Pagliuca, direttore a Muro Lucano del Parco Archeologico di Grumentum e del Museo dell’Alta Val d’Agri e che, oltre a pubblicare saggi con la casa editrice Libria, organizza anche mostre culturali come quella fotografica dedicata a Henri Cartier-Bresson. Se si deve parlare di archeologi lucani, non ci si può dimenticare di Domenico Ridola, a cui è intitolato il Museo Archeologico Nazionale di Matera. Originario di Ferrandina, a partire dagli anni ‘70 dell’Ottocento Ridola dedicò i suoi studi al periodo preistorico, portando alla luce i ritrovamenti del sito di Serra d’Alto, della Grotta dei Pipistrelli e della Grotta Funeraria.

 

L’interesse degli archeologi per la Basilicata

Non sono solo gli archeologi lucani a interessarsi della Basilicata: sono infatti diversi i professionisti provenienti dal resto d’Italia e persino stranieri ad aver dedicato anni allo studio dell’archeologia del territorio. Primo su tutti spicca il rumeno Dinu Adameșteanu, specializzato in etruscologia e antichità italiche. Dopo aver portato avanti studi in Sicilia a partire dal 1939, Adameșteanu divenne per più di dieci anni sopraintendente della Basilicata prendendo parte agli scavi di Heraclea, Metaponto e Policoro, siti in cui promosse anche la fondazione di diversi musei. Vistala grande eredità da egli lasciata alla Basilicata, proprio ad Adameșteanu nel 2004 venne dedicato il Museo Archeologico Nazionale della Basilicata. Era invece veneto l’archeologo Cesare Colafemmina, che, dopo aver concluso gli studi a Roma, si trasferì per lavorare come docente in Puglia.

Sebbene i suoi studi si siano concentrati principalmente sul territorio pugliese, si deve proprio a Colafemmina la scoperta e lo studio della maggior parte dell’area delle catacombe ebraiche di Venosa e le successive pubblicazioni di volumi come Apulia cristiana. Venosa: Studi e scoperte da Ecumenica Editrice nel 1973. Storico dell’arte che collaborò a lungo con archeologi e con l’Archivio storico per la Calabria e la Lucania fu invece Angelo Lipinsky, di origine tedesca ma nato a Roma, che dedicò i suoi anni allo studio dei gioielli e delle pietre preziose del periodo bizantino e medievale. I suoi saggi e quelli di molti altri archeologi ed esperti come Mario Napoli, Francesco Panvini Rosati ed Elisa Lissi Caronna sono racchiusi negli Atti del Convegno di Studi di archeologia, Storia dell’Arte e del Folklore Oppido lucano: 5-8 aprile 1970, volume curato da Pietro Borraro ed edito da Congedo Editore che racchiude al suo interno contributi relativi all’area archeologica di Oppido Lucano e della Basilicata in generale.

 

Pur privi delle vite avventurose che possono avere gli archeologi protagonisti di film e giochi, i professionisti nel campo dell’archeologia in Basilicata sono stati di fondamentale importanza per portare alla luce siti ora celebri in tutta Italia, divulgare le scoperte grazie alla stesura di volumi ancora oggi disponibili e dirigere alcuni dei musei più importanti a livello nazionale.

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