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La regione chiusa con un fax

Oggi leggendo l’articolo di Giampaolo Visetti su Repubblica mi si è stretto il cuore. Lo condivido con voi:

La regione chiusa con un fax 

FERRANDINA – La remota Baviera pubblica del Sud chiude con un fax. I manager delle multinazionali, in Valbasento, da mesi non vengono più. Comunicano.

Poche righe, inviate da qualche ufficio lontano, per spiegare che la crisi del mercato Usa, che il crollo delle Borse, che il calo dei fondi pensione. Che la Cina e che l´India, eccetera. Pochi minuti, insomma, per abbassare i basculanti e appiccicare sul cancello l´avviso agli operai: “Da oggi a casa”.
Il cuore della nuova recessione italiana, che silenziosamente respinge il Meridione nella povertà del dopoguerra, è sepolto in Basilicata, da qualche parte, tra Ferrandina e Pisticci.

Il “polo della chimica”, voluto da Mattei e liquidato da Fanfani, è un deserto di capannoni pericolanti. Sconfinati parcheggi vuoti. Piazzali invasi da erbe seccate. Campi da tennis coperti da muschi e con la rete sfasciata tra i gelsi. Ciminiere spente. I vetri rotti rivelano stabilimenti fermi. Pochi custodi del nulla, abbandonati qui come cani, rossi e rabbiosi per il dolore e per la nostalgia dei loro olivi soffocati, minacciano chiunque si avvicini. Sulle colline di terra smossa sono appoggiati, quasi fossero concime, sacchi bianchi di amianto. Tra le fabbriche, riconvertite nel tempo alla meccanica, o a qualsiasi lavorazione avvelenata, si nascondono le case incompiute per i dirigenti mai trasferiti.
Le occupano famiglie operaie, cassintegrati decennali, neo disoccupati, giovani sposi precari. Si vergognano di vivere su al paese antico. Con “ottocento euri” al mese abitano le stanze di un fallimento, giù nel villaggio nuovo. Sotto le finestre, rivoli aromatici di trielina confluiscono nel letto prosciugato del Basento.
I maschi, troppo vecchi per rifare la valigia, sperano che sotto il cimitero dell´industria assistita si celi la necropoli di una bonifica eterna. Si consegnano all´inquinamento, condanna e salvezza estreme, ostili ai comitati che dopo anni denunciano la morte di centinaia di colleghi intossicati.

Tagliati, in pochi mesi, altri 1300 posti di lavoro. Nessuno si incatena ai macchinari, come un tempo, occupa strade dove non passa che qualche trattore, o fa lo sciopero della fame. Contro chi, se un padrone ignoto si fa chiamare globalizzazione? Michele Sirago, appena licenziato, mostra un passo di Carlo Levi, confinato da Mussolini pochi calanchi più in là: «Nessuno ha toccato questa terra se non come un conquistatore o un nemico o un visitatore incomprensivo. Le stagioni scorrono sulla fatica, oggi come tremila anni prima di Cristo: nessun messaggio umano o divino si è rivolto a questa povertà refrattaria».

L´indicazione però, mezzo secolo dopo, è chiara. L´industria politica fondata sullo Stato, o aggrappata ai favori di Colombo, crolla. La delocalizzazione straniera in Italia, chiude. La linea dell´economia e della ricerca abbandona i meridioni e si concentra nei nord dell´Occidente. Il lavoro operaio si trasferisce negli Orienti dell´Europa e dell´Asia. La Basilicata, simbolo della parodia clientelare dello sviluppo affidato a catastrofi e ricostruzioni, precipita nel vuoto della rinuncia alla propria vocazione.

«Ci vorrebbe un terremoto ogni dieci anni – dice lo storico Raffaele Giuralongo – perché il Sud ormai produce solo il cemento delle opere pubbliche. La recessione, qui, è una sentenza senza appello: essere l´impresentabile e irraggiungibile retrovia tossica della riconversione verde del Nord».
Non se ne parla, nell´ottimista tivù padanizzata.
Ma nel Paese che inizia a fare i conti con la spietatezza dei propri errori, c´è una terra dispersa già in caduta libera.

La Basilicata, venduta come modello della modernizzazione meridionale, è la regione italiana dove negli ultimi due anni ha chiuso il maggior numero di imprese. Detiene, in percentuale, il record dei posti di lavoro perduti. Segna l´esodo più massiccio di emigrati negli ultimi tre anni e il più drammatico crollo demografico del Sud. È l´unica regione dove sono negativi sia il saldo naturale sia quello migratorio. In pochi mesi hanno perduto il lavoro oltre 7 mila persone, strappando al Piemonte il primato dei giorni in cassa integrazione. In tre anni si è passati da un crescita del 3% ad un recessione dell´1%. In nessun luogo l´indebitamento delle famiglie è esploso del 50%. Le imprese in crisi, da gennaio, sono 152, seimila i lavoratori in mobilità, ottomila i posti a rischio entro la primavera.

La Fiat di Melfi, campione europeo di produttività, ventila per il prossimo anno sei mesi di stop: novemila, con l´indotto, gli operai che intravedono lo spettro dell´impossibilità di pagare il mutuo. Eppure, questa, è la regione più industrializzata del Meridione, quella che ospita lo stabilimento automobilistico più importante, quella dove lo Stato ha effettuato il più grande investimento degli ultimi trent´anni.

Naviga sul giacimento petrolifero di terra più ricco d´Europa, vanta il bacino idrico più generoso del continente, la diga più imponente. Sette distretti industriali, grazie al sisma del 1980, ospitano i gioielli dell´imprenditoria nazionale e straniera. Un tesoro di carburante, gas, acqua e motori, sfumato tra le mani di seicentomila abitanti rimasti poveri. «La Basilicata – dice il sociologo Davide Bubbico – ospita solo filiali, terminal produttivi, catene di montaggio.
Come il resto del Sud, non ha generato imprenditoria, un progetto economico interno.
Si fabbricano voti per la politica, non beni per il mercato.
Non ci sono teste. Per questo la somma esplosiva delle crisi spazza via le aziende con una velocità impressionante. Resta una massa di ricattabili depressi: vittime di un sistema incompatibile con il mondo ridisegnato dal tramonto di un´epoca».

In nessun altro luogo, come in questo follemente sacrificato territorio contadino, si avverte oggi il senso di abbandono disperato che rioccupa le periferie del Paese. I quotidiani locali aprono ogni giorno con il bollettino dei fallimenti e dei processi contro i truffatori di contributi. Da quattro mesi, per un viadotto pericolante, l´autostrada è interrotta prima di Potenza. L´interporto, dopo vent´anni di progetti, non si farà. Tramontato, dopo cinquant´anni di dibattiti, anche l´aeroporto. Trenitalia ha appena annunciato i tagli dei principali collegamento ferroviari.

In molti paesi, nonostante la distribuzione pubblica di computer, non arrivano Adsl, segnale telefonico, metano. I negozi, il pomeriggio, aprono dopo le 17. Le case non si vendono più e nel capoluogo è scoppiata la “guerra del pane” contro i gruppi di acquisto popolare che lo distribuiscono per un euro al chilo.
«Se non fosse per oleodotti, acquedotti e vagoni di rifiuti – dice l´economista Nino D´Agostino – saremmo già isolati. Ci stiamo trasformando in una discarica-serbatoio, popolata da cassintegrati, vecchi, badanti rumene ed emigranti».

Il “distretto del salotto”, fuori Matera, è lo specchio dell´ignorato choc dell´economia meridionale. Tre aziende di divani imbottiti, fino a tre anni fa, offrivano lavoro a 14 mila persone ed esportavano in tutto il mondo. Una è fallita, due oscillano tra contributi, ammortizzatori sociali e delocalizzazioni. Restano 3 mila occupati, a casa per settimane.
Stabilimenti e magazzini sono sbarrati. «All´inizio – dice Corrado Asquino, ex dipendente di un´agenzia interinale – lottavamo con il sindacato per avere subito la liquidazione, invece della cassa integrazione. Uscivi dalla fabbrica e ti assumeva il laboratorio a fianco. In sei mesi sono spariti tutti». L´abisso della smobilitazione affiora però nella zona industriale di Potenza.
A Tito Scalo, da settembre, hanno chiuso le multinazionali più importanti. Tre nelle ultime quattro settimane. Americani e tedeschi se ne vanno: riportano il lavoro in patria, o nei Paesi dove la mano d´opera costa meno e i sindacati non esistono.
Centinaia di famiglie non arrivano più nemmeno alla seconda settimana. Le donne, fuori dai supermercati, vengono fermate con la bistecca sfilata dal vassoio e nascosta nel fazzoletto dentro la borsetta. Rimane il veleno nei terreni, su cui tornano greggi a pascolare, il business miserabile delle bonifiche a pagamento. Il Comune ha vietato l´uso dell´acqua per dissetare bestie e campi.
Sul cancello di un´industria abbandonata, un cartello dice “se il destino è contro di noi, peggio per lui”. Anche nella “Sinoro”, metafora della rapace industrializzazione lucana, rimangono solo i custodi asserragliati. È il più grande stabilimento cinese in Italia. Doveva trasformare l´oro in gioielli. Vent´anni di vita, venti milioni di euro pubblici scomparsi, tre fallimenti, tre nomi cambiati. Mai prodotto un orecchino, solo due corsi di formazione finanziati con 400 mila euro. Sei giorni fa, la grottesca richiesta italiana di risarcimento alla Cina. «Dobbiamo riconoscere – dice Antonio Mario Tamburro, rettore dell´Università della Basilicata – che abbiamo sbagliato tutto. Non è un caso se questa regione e il Meridione si risolvono in un elenco di occasioni perdute. La recessione mondiale travolge prima i territori più fragili, dove l´economia è una finzione. Invece di lamentarci dobbiamo riconoscere che il drenaggio del denaro pubblico non funziona più. E che la società del Sud implode per cinque ragioni: classe dirigente impreparata, industria nata vecchia, prodotti privi di innovazione, infrastrutture inesistenti, vocazione territoriale tradita». Le conseguenze, con la frenata occidentale, sono drammatiche. Nove giovani laureati su dieci lasciano la Basilicata entro sei mesi. Quattro maschi attivi su dieci, negli ultimi tre anni, sono emigrati. Otto immigrati extracomunitari su dieci, spina dorsale di ciò che resta dell´agricoltura, cambiano regione entro un anno. Una fuga senza precedenti, da una terra meravigliosa che si svuota nella distrazione assoluta del Paese. Nel Novecento se ne andavano poveri e analfabeti. Nel Duemila partono ricchi e laureati. Gli emigrati però, per la prima volta, trovano negli immigrati concorrenti più convenienti di loro. Il fallimento si nasconde lontano dalla culla. La stessa corsa all´energia, in Val d´Agri, tradisce più il profilo di uno scippo, che l´opportunità di un riscatto. Tra Viggiano e Sant´Arcangelo scorre l´80% del petrolio italiano, oltre il 10% del fabbisogno nazionale. Le compagnie pagano localmente le royalties più basse del pianeta: 7%, contro il 50% di Paesi arabi e America del Sud. Poche centinaia i posti di lavoro, legati alla manutenzione delle condotte verso Taranto.
Quantità di combustibile estratto e tassi di inquinamento sono affidati al monitoraggio degli stessi produttori. Regione e Comuni impiegano i proventi delle trivellazioni per tappare buchi e comperare consenso. La cassaforte delle risorse naturali italiane, che i paesani chiamano amaramente “Lucania saudita”, consumata per riprodurre il sistema del ricatto ai miserabili.
«Milioni di euro – dice l´economista Pietro Simonetti – per sagre, lampioni, convegni e centri per il recupero dell´arpa. Potremmo finanziare lo sviluppo, tagliare i costi locali dell´energia, abbattere i tassi dei mutui, riconvertire le imprese, rifondare un modello economico capace di unire il Meridione attorno alle sue risorse secolari. La politica non ha ancora compreso la dimensione della crisi reale che ci investe: salva l´Alitalia, si rianima sulla Rai, e non vede che il Sud è sull´orlo di una rabbiosa mobilitazione di massa».
Anche Melfi, epicentro industriale tra Bari e Napoli, per la prima volta trema. Dieci settimane di cassa integrazione, nella Sata – Fiat di Lavello, tra luglio e Natale. I parcheggi riservati ai 5480 operai sono vuoti. Deserti i capannoni delle venti aziende dell´indotto. I piazzali interni traboccano di auto da consegnare. I dipendenti, anche questa settimana, raccolgono olive e castagne, o pigiano l´uva. Nel bar del distributore di benzina si cerca di capire perché, se oggi fallisce una banca a New York, domani saltano gli stipendi a Venosa.
«Eravamo i giapponesi d´Europa – dice Libera Russo, impiegata – un esempio di qualità. Ma se fatica il Nord, alle prese con i tagli europei, difficile che qualcuno salvi questo Sud». Un annunciato effetto a catena. Le imprese lucane, aperte per consumare i fondi pubblici, impiegano solo braccia.
Sono qui perché anno ricevuto soldi, terra, uomini, sicurezza e assenza di diritti. La responsabilità, pur promessa, non è mai arrivata, come la ricerca e il portafoglio. «Il lavoro – dice Antonio Pepe, segretario regionale della Cgil – non si è trasformato in economia, l´industria non è diventata progetto. Per questo, ora che alla politica mancano i soldi per l´assistenza, l´occupazione si estingue». La gente si era illusa di aver compiuto il salto nel consumo. A garantirlo, marchi come Fiat, Barilla, Ferrero, Parmalat, Coca Cola, Panasonic, Natuzzi, Eni, Total, Shell, più le multinazionali della chimica e della meccanica mondiale. Un caso unico, a sud di Bologna. Invece, all´improvviso, il crollo secco che ridona al “Texas italiano” la sua identità di mediterraneo Meridione. «Il rischio – dice il vescovo di Potenza Agostino Superbo in un´assemblea di operai licenziati – è che una generazione senta perduta anche la propria dignità». Un appello estremo, subito ottimizzato in locale rissosità di partito. «Intanto – dice Anna Maria Dubla, presidente di “Ambiente e legalità” – i russi sono pronti a stoccare il gas nei pozzi esauriti della Valbasento e il governo federalista sfila alla Regione anche la competenza sulle concessioni petrolifere. La Basilicata, presa per fame, non può più dire di no. Confonde il futuro, vende anche l´ultima terra, chiude le fabbriche e si prepara ad essere discarica e ciminiera. Solo i disperati possono morire silenziosamente tra i rifiuti, o intossicati: il destino del Sud, che il Paese prontamente riconsegna, svuotato, a se stesso».
Pochi, si salvano. Qualche grande contadino, un pugno di magnifici artigiani, alcuni ineguagliabili pastori, non più di dieci vignaioli d´eccezione, un gruppo di ragazzi e di donne, come la scrittrice Mariolina Venezia, che si ostinano a credere nella cultura e nella natura. Fedele Agata, a 70 anni, a Ferrandina sta costruendo una sella di cuoio “per non perdere una capacità”. Il figlio spreme la “maiatica nera” nell´oleificio stretto tra le fabbriche fallite. Rino Botte, rientrato a Barile dopo una vita di gloria a Cremona, è ridisceso nelle cantine dell´Aglianico. Non c´è altro, oltre la “retorica dell´impossibile”, di mondiale. Botte invece fa, e se ci pensa si commuove, fino a piangere in pubblico. Pochi esempi, pigri ed eterni, soli. E nessuno che accetti di ascoltare la drammatica lezione dei maestri semplici.

ciffo:

View Comments (35)

  • Impressionante, ho visto ieri il servizio di La7, davvero ben fatto, un esempio di vero giornalismo, complimenti anche al nostro compaesano.  I nostri cari politici dovranno fare qualcosa per affrontare la prossima ondata di esuberi e fermare la NeoEmigrazione..

    (la storia si ripete, o bringand o emigrand)

    • bene lomfra, la tua ultima frase mi suggerisce questo,

      Carmine Crocco

      Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.

      « ...E
      intorno a noi il timore e la complicità di un popolo. Quel popolo che
      disprezzato da regi funzionari ed infidi piemontesi sentiva forte sulla
      pelle che a noi era negato ogni diritto, anche la dignità di uomini. E
      chi poteva vendicarli se non noi, accomunati dallo stesso destino?
      Cafoni anche noi, non più disposti a chinare il capo. Calpestati, come
      l'erba dagli zoccoli dei cavalli, calpestati ci vendicammo. Molti,
      molti si illusero di poterci usare per le rivoluzioni. Le loro
      rivoluzioni. Ma libertà non è cambiare padrone. Non è parola vana ed
      astratta. È dire senza timore, È MIO, e sentire forte il possesso di
      qualcosa, a cominciare dall'anima. È vivere di ciò che si ama. Vento
      forte ed impetuoso, in ogni generazione rinasce. Così è stato, e così
      sempre sarà... »

      e se tornassero?

  • Un giornalista con un curriculum di tutto rispetto, in uno speciale sulla nostra regione sul più importante quotidiano nazionale (della stessa area politica del governo lucano) definisce in bancarotta la Basilicata.
    Vero?
    Secondo me non del tutto. La situazione è gravissima ma per fare un esempio credo che non siamo nelle stesse condizioni di Alitalia... magari siamo come la FIAT di qualche anno fa.
    Siamo messi malissimo ma molto meglio di altre regioni perché abbiamo potenzialità che altre regioni del sud sognano. Nonostante tutto inorridisco nel leggere i soliti commenti dei dirigenti lucani che definiscono superficiale l'articolo.
    Certo i numeri ISTAT, come riportato da Hank, delineano un quadro a tinte meno fosche ma non vorrei che per l'ennesima volta ci si aggrappi a questi numeri per evitare la presa di coscienza dell'assoluta necessità di un cambio di rotta.
    Istat o no, è evidente che stanno chiudendo un sacco di fabbriche, che siamo sempre più isolati, che i controllori si confondono con i controllati, che i fiumi di soldi non hanno portato i risultati che avrebbero potuto, che a breve perderemo i fondi europei, che i nostri cervelli sono in fuga...

    Concordo con corvo che se non troviamo almeno l'accordo nel dire che siamo messi male non potremo mai ripartire.
    Questo articolo ha ringalluzzito i tifosi di destra come rokko77 che propone come la soluzione di tutti i mali semplicemente il votare dall'altra parte.... fosse così semplice!
    Certo l'alternanza dei governi può solo fare bene (questo vale dappertutto) ma se non capiamo che è da noi che deve partire il cambiamento otterremo solo di spostare il fenomeno del clientelismo e dell'assistenzialismo da sinistra a destra.

    • Felice non fare affatto battute stupide perchè quando si parla di regione basilicata lo dico veramente col sangue agli occhi!non si tratta di destra o sinistra ma di uno schifo che non hai idea e forse per tanti ci voleva l'articolo della repubblica per aprire gli occhi ma per me che la vivo da azienda questa situazione è ben piu grave perchè quando vedi che tutte le aziende con le quali hai condiviso rapporti di lavoro sono scomparse negli ultimi cinque anni è vero che ti viene una rabbia che non hai idea perchè purtroppo devi combattere con la mentalità cosi ottusa di tanta gente che crede ancora che è giusto leccare il c... a sti politici che hanno fatto davvero terra bruciata alla faccia di appena 600000 LUCANI!


      • Home / Lucania / CON LE DIMISSIONI DI VINCENZO FOLINO SI APRE LA CRISI ALLA REGIONE BASILICATA

        CON LE DIMISSIONI DI VINCENZO FOLINO SI APRE LA CRISI ALLA REGIONE BASILICATA

        27, Novembre 2008

        La notizia circolava sin dalla prima
        mattinata e nonostante i tentativi di mediazione e la lettera del
        capogruppo del PD Erminio Restaino con la quale si invitava IDV a fare
        un passo indietro facendo dimettere il proprio rappresentante nella
        Giunta regionale della Basilicata, in tarda serata con l’onestà che lo
        contraddistingue l’ass. regionale Vincenzo Folino ha
        rassegnato le proprie dimissione con la lettera che di seguito
        pubblichiamo inviata al Governatore Vito De Filippo. La mossa di Folino
        oltre che di coerenza e di coraggio serve di fatto per aprire la crisi
        ed arrivare ad un serio chiarimento tra un centro-sinistra sempre più
        scollato e sconquassato. Da settimane il De Filippo bis è paralizzato
        nella sua attività amministrativa impegnato con i suoi componenti a
        presienzare a manifestazioni di associazioni culturali nate nel giro di
        pochi giorni per sancire una disunità in un PD che sembra rompersi
        prima del tempo. La polemica tra petali della ex Margherita (Falotico,
        De Filippo) che non hanno digerito alcune uscite e dichiarazioni
        dell’ex Governatore Bubbico (PD) che accusava di immobilismo e
        incapacità l’attuale presidente hanno fatto  saltare la tensione negli
        ambienti dell’asse che conta nel PD lucano (Folino-Lacorazza-Bubbico) 
        dopo la sortita del capogruppo del senato di IDV Bellisario che ha
        finito per indurre Folino a prendere la decisione che appare al momento
        senza ritorno. Una crisi che si apre proprio alla vigilia del dibattito
        in Consiglio Regionale convocato per martedì prossimo proprio
        sull’azione della paralizzata Giunta De Filippo che sembra non essersi
        resa conto della gravità del momento e delle tante vertenze aperte in
        regione. Alla fine chi rischia più di tutti sono i tanti lavoratori
        della aziende lucane in crisi che avevano fino a poche ore fà un loro
        attento e astuto difensore nella persona di Vincenzo Folino che ha
        sempre condotto con coerenza  battaglie per salvaguardare posti di
        lavoro e favorire le scelte meno dolorose anche scagliandosi contro le
        controparti e la classe imprenditoriale. Ora con le dimissioni di
        Folino ed i chiarimenti necessari che saranno avanzati da più parti si
        apre una strada senza ritorno per il povero Governatore Lucano Vito De
        Filippo che si è aperto la strada da solo per non essere ricandidato
        alle prossime elezioni del 2010. Ma di qui a quanto sarà le giornate
        saranno tante ed i problemi per i lucani rischiano di acuirsi. Per cui
        alla classe politica lucana tutta di maggioranza e di opposizione si
        impone maggiore serietà e rigore la gente vi guarda ed è sempre più
        infastidita. Non sono mai stato troppo generoso nei riguardi del PD
        lucano ed in particolare di quella parte degli ex Ds che hanno
        preferito fare un matrimonio con una parte degli ex
        democristiani, senza un serio progetto politico ma solo d’affari per la
        gestione delle Istituzioni, ma avverto l’onestà di riconoscere a
        Vincenzo Folino serietà e capacità nel saper guidare una transitoria
        fase politica nel suo partito e di essersi distinto nella gestione
        amministrativa difronte ad una Giunta fin troppo indecisionista.

         

        GIANLUIGI LAGUARDIA

         

        LA LETTERA DI DIMISSIONI DELL’ASS. FOLINO AL PRESIDENTE DE FILIPPO

        Caro Presidente,

         

        come un po’ tutti abbiamo
        sottolineato più volte nell’ultimo periodo, la crisi dell’apparato
        produttivo regionale è fortemente collegata alla crisi dei mercati
        finanziari internazionali, oltre che ad una congiuntura economica
        sfavorevole che colpisce particolarmente l’economia lucana,
        attraversata da processi di sviluppo con produzioni a basso valore
        aggiunto, da terminali di catene produttive che sono oggetto di
        gigantesche ristrutturazioni e filiere locali da tempo stressate dai
        rapporti di cambio e dalla concorrenza dei paesi asiatici. Di questo ho
        parlato anche nella recente riunione del Consiglio regionale, cercando
        di indicare le azioni messe in atto dal Dipartimento Attività
        produttive e dal governo regionale per fronteggiare questa situazione
        sempre più difficile.

        Le vicende degli ultimi mesi,
        però, mi portano a considerare che questa situazione si intreccia
        sempre di più con una crisi di progetto, di governo e di coesione della
        Basilicata, una Regione che in passato ha saputo fare del proprio
        protagonismo sul governo delle risorse naturali una bandiera, e che
        oggi, invece, osserva smarrita come proprio intorno a questo tema
        sorgano contraddizioni e disagi, più che la consapevolezza dell’utilità
        che l’uso sostenibile di queste risorse rappresenta per la collettività.

        In questi anni il governo
        nazionale ha messo in atto, anche con il mancato finanziamento delle
        grandi opere viarie previste dalla cosiddetta legge Obiettivo, un’opera
        di marginalizzazione della Basilicata, mentre la nostra Regione ha
        raggiunto l’accordo con la Total senza richiamare in maniera stringente
        alle proprie responsabilità il governo nazionale, che a differenza di
        quanto avvenne dieci anni fa, in occasione dell’accordo con l’Eni, non
        ha minimamente contribuito allo sviluppo del nostro territorio con
        proprie risorse aggiuntive. Salvo poi prevedere, con gli ultimi
        provvedimenti all’esame del Parlamento, la totale estromissione delle
        Regioni dalle decisioni in questa materia. Ma questa è storia recente.


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        Ho richiamato queste
        circostanze perché ritengo che l’attuale momento economico e sociale
        richiede una più forte concertazione e convergenza fra le forze sociali
        ed imprenditoriali, e fra queste e le istituzioni del territorio. La
        crisi richiede scelte strategiche, ma soprattutto autorevolezza e
        credibilità. E richiede, in particolare, quella “capacità di governo”
        che a giudizio di vasta parte dell’opinione pubblica risulta essere
        molto limitata. Purtroppo i governi regionali di questa legislatura
        hanno presentato un deficit di determinazione e di qualità di fronte
        allo scenario che si veniva delineando, in particolare nella capacità
        di costruire un progetto ed una visione nuova della nostra regione,
        attraverso una adeguata e più evoluta programmazione regionale.

        Ed inoltre, devo
        responsabilmente ammetterlo, nell’ultimo periodo non c’è stato il
        “cambio di passo” che da più parti era stato auspicato. A questo si
        aggiungono l’estrema disarticolazione e la persistente litigiosità del
        centrosinistra lucano, che mutuando comportamenti e situazioni del
        centrosinistra a livello nazionale finisce per togliere forza e
        credibilità anche alle cose buone che il governo regionale ha fatto in
        questi mesi.

        Ci sono pezzi della politica
        che hanno alimentato la confusione e il disorientamento dell’opinione
        pubblica lucana, utilizzando fatti e accadimenti di altra natura, e la
        concitazione mediatica che ne è scaturita, evitando il confronto
        politico limpido nelle sedi deputate ergendosi talvolta, senza averne
        titolo, a custodi della morale pubblica. E non si può neanche più
        parlare di “fuoco amico”, perché a pagarne le conseguenze, specialmente
        in questa crisi, sono la Basilicata e i suoi cittadini.

        E’ per tutte queste ragioni che
        ritengo necessario, in coscienza, di assumere la mia parte di
        responsabilità per l’inadeguatezza dell’azione del governo regionale.
        Rassegno pertanto le mie dimissioni dall’incarico di vicepresidente ed
        assessore alle Attività produttive.

        Lavorerò in Consiglio
        regionale, con la dovuta attenzione agli interessi della Basilicata e
        dei ceti sociali, a cui mi sento più legato per la mia lunga esperienza
        politica.

        Vincenzo Folino


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        Commenti

        6 Rispote to “CON LE DIMISSIONI DI VINCENZO FOLINO SI APRE LA CRISI ALLA REGIONE BASILICATA”

        1. astronik on
          Novembre 27th, 2008 23:01

          Effesss!
          Ora è crisi vera!
          Per la Basilicata la vedo grigia…… La crisi della globalizzazione si farà sentire ancora di più fra i deboli…….

        2. Lorenzo Zolfo on
          Novembre 27th, 2008 23:25

          Chi
          difenderà i poveri lavoratori della Basilicata? Sempre i primi a
          pagare? In questa Regione ricca di petrolio, acqua e risorse naturali?
          Questa crisi possibile dei nostri governanti regionali è segno di lotte
          di potere, di correnti politiche, di combutte nascoste, ma alla gente
          questo interessa poco, interessa le sorti della Regione Basilicata,
          sempre più abbandonata e con tanti lavoratori lasciati in balia della
          crisi del lavoro.
          penso ai tanti soldi che la Regione ha dato alla Fiat che non garantisce più neanche il lavoro quotidiano!
          Che vergogna! Invito la gente lucana ad aprire gli occhi e non credere più a niente.

        3. Alessandro on
          Novembre 27th, 2008 23:34

          Siamo
          una delle regioni più povere d’Italia, abbiamo tante urgenze, ci stanno
          rubando il petrolio, ci mancano le infrastrutture, abbiamo da risolvere
          i problemi che causerà il federalismo, c’è una crisi internazionale dei
          mercati e della finanza unica nella storia e il nostro consiglio
          regionale si prende il lusso di aprire una crisi! Qui ci sarebbe da
          lavorare notte e giorno per risolvere tutti questi problemi e piuttosto
          che assumersi come LUCANI le loro responsabilità fanno le macchiette!

          Non andremo mai da nessuna parte con questa classe dirigente!

        4. vito on
          Novembre 28th, 2008 01:00

          Gianluigi e la sindrome di Stoccolma : e ti pareva che non diventava buono anche Folino !

        5. leonardo di giacomo on
          Novembre 28th, 2008 09:17

          Non meravigliamoci piu’ di tanto se si apre una crisi a livello regionale. I detrattori
          della nostra politica regionale, ben noti a molti,hanno di che
          commentare da oggi in poi,se, anche un’onestissimo lavoratore come
          Vincenzo Folino apre un dibattito serio, a fronte delle tante
          immobilita’ palpabili da tempo ormai nella nostra comunita’ regionale!
          E’ il distinguersi di chi ha prodotto impegno vero,sano, appassionato,
          difronte ad arrivismi politici che nulla vedevano o vedono, nei
          problemi locali e regionali vie alternative,se non l’attaccamento alla
          poltrona, con apparentamenti inconsulsi ed antiproduttivi! E’ questo il
          vero coraggio di chi instancabilmente ha prodotto sforzi insulsi per un
          cambiamento ed un riordinamento delle classi lavoratrici lucane,ormai
          allo sbando,in una crisi senza ritorno! Riflettiamo tutti! Auguri ad un
          uomo genuino,Vincenzo Folino,da cui tanti avremmo bisogno d’imparare!

        6. Algo on
          Novembre 28th, 2008 10:16

          FINALMENTE !!!!!!
          A casa questa classe politica sinistra e “di sinistra” piena di vecchi forchettoni, affaristi e ex.. qualcosa.
          Lucani aprite gli occhi, mandiamo a casa questa classe di raccomandati, impreparati, maneggioni.
          La Basilicata con solo 600.000 abitanti e con risorse minerarie,
          industriali, agricole e ambientali è riuscita a diventare una regione
          povera.
          Vergogna a loro e quanti di noi continuano a votare questi signori
          sperando in un aiuto, nel posto per il figlio e in altre povere miserie
          del genere.
          Serietà, Serietà e serietà, l’unica ricetta per la nostra bella regione.
          P.s. Complimenti al giornalista dell’articolo per lo splendido esempio
          di giornalismo indipendente “in tarda serata con l’onestà che lo
          contraddistingue l’ass. regionale Vincenzo Folino ha rassegnato le
          proprie dimissione “.
          Saluti

        domanda: ma una volta, non erano i comandanti gli ultimi ad abbandonare la nave?

         

         

         

         

         


  • ITALIA MAGICA: IL PETROLIO PUGLIESE (idrocarburi, petrodollari, federalismo e giochi di prestigio parlamentari) C’era una volta l’Italia del dopoguerra; dai sentimenti puliti, povera ma bella, di De Gasperi e di Mattei, di Peppone e di Don Camillo. Quell’Italia, si mise in testa, sognava, di poter fare cose impensabili in campo imprenditoriale ed industriale; due su tutte: la creazione di un polo siderurgico a Taranto e la concorrenza, nel settore dell’industria degli idrocarburi, ad americani, inglesi e francesi. È accertato, ormai, che Mattei, in particolare per le sue note e strane idee sulle royalties e per la sua idea di strizzare l’occhio al movimento indipendentista algerino, per quel sogno ci rimise l’osso del collo. Ad ogni modo, per quell’Italia dalla voglia di fare e di crescere, le “quote di prodotto” ovvero le royalties valevano, sul territorio nazionale, dal 2,50% fino al 22%, in rapporto alle quantità giornaliere estratte, in virtù suppongo di due obiettivi: incentivare la ricerca nel territorio italiano, ritenuto carente di grossi giacimenti, e rispettare il criterio della progressività sancito dalla Costituzione. Ad un certo punto, si trovò un sacco di metano in valbasento, in Basilicata, ma anche, se non ricordo male, dalle parti di Gela in Sicilia, ed alla fine, passò l’idea di utilizzare quelle risorse per far decollare dei poli industriali in loco. Idea, questa, contrapposta, per quanto riguarda la Basilicata, a quella di convogliare il metano “in Puglia”, a “Taranto”, città per la quale si prospettava uno sviluppo industriale grandioso, a scapito della sua valorizzazione quale polo turistico quasi senza eguali nel Mediterraneo. Trovato il metano e compiuta la scelta “localistica” del suo impiego, probabilmente si pose il problema del finanziamento e degli investimenti industriali; forse fu per questo che si stimò di fare un grosso regalo, con l’unificazione, al ribasso, delle tariffe, all’E.N.I. di Mattei, peraltro, come si sa, assai attento alle necessità della politica e dei partiti: nel 1967, il Parlamento italiano sancì che il valore delle royalties dovesse essere del 9% per gli idrocarburi estratti in terraferma e per quelli estratti in mare dell’8% e del 4%, rispettivamente, per gli idrocarburi liquidi e per quelli gassosi. Il peccatuccio, in verità, non appare assai grave: in fondo, il percettore unico delle quote di prodotto, all’epoca, era lo Stato, mentre l’E.N.I. non era altro che un suo attivo braccio operativo, assai rappresentativo anche in politica estera. Poi, i pozzi di valbasento si esaurirono e, con essi, si esaurì anche, in gran parte, il sogno industriale lucano, incentrato com’era sulla “chimica”. Nel frattempo, negli anni ’70 (1972 e 1977), si ebbe in Italia un grande cambiamento nell’organizzazione istituzionale: nacquero le Regioni, a cui si pensò anche di assegnare potestà legislativa in talune materie; si moltiplicarono a dismisura i centri di potere politico-amministrativo, la relativa classe politico-amministrativa (i cui meccanismi di selezione, per ovvietà di cose, risultarono molto affievoliti) e, con essi, le centrali di spesa pubblica ed i corrispondenti apparati (fattori questi di gran peso, ancorché taciuti, della successiva decuplicazione del debito pubblico italiano nel corso degli anni ’80). Nel tempo, altresì, si è andata sempre più accentuando un’idea federalista dell’organizzazione istituzionale italiana, a scapito di quell’idea virtuosa di decentramento dei poteri che fu già cara, nel ’48, ai Padri costituenti. Approdiamo, così, agli albori degli anni ’90. In Basilicata si comincia a sentir odore (o puzza, a seconda delle particolari sensibilità olfattive) di PETROLIO! A mano a mano che si approfondisce la ricerca, l’odore, o la puzza, aumenta! Qui di petrolio se ne trova veramente tanto! Quantità inimmaginabili! Qualcuno si sarà chiesto: COME LA METTIAMO ADESSO COL FEDERALISMO? Possono solo 600 mila pidocchiosi cittadini lucani beneficiare, “federalisticamente” e da soli, di una ricchezza così grande? Ma vuoi vedere che questi smettono la coppola per turbante? (Domanda retorica quest’ultima: un mio carissimo amico sindaco ebbe a dichiararmi, senza tentennamenti, che lui optava per il cappello texano!). Ecco, dunque, che, indossato il cappello pensatore e fatti due calcoli, nel 1996 (Decreto Legislativo 25 novembre 1996, n. 625) vien fuori la risposta: a) Prima di tutto, alle royalties, bisogna dare una bella sforbiciata, diciamo di un bel 22%, dal 9% al 7%, altrimenti quelle poveracce di multinazionali che ci lavorano sopra rischiano di fallire… b) Poi bisogna statuire che un terzo di quella immensa ricchezza deve appartenere alla Stato italiano (quale primo ed eroico esempio di sussidiarietà, mutualità e solidarietà nazionale), insieme ovviamente a gran parte degli introiti derivanti dalla tassazione degli utili d’impresa, dall’I.V.A. dalle accise, ecc. c) il 15%, poi, si deve corrispondere ai comuni interessati (quali? quelli soli interessati dalle mere attività estrattive? Tutti quelli interessati dal generale processo produttivo (estrazione, trasporto, veicolamento, stoccaggio, lavorazione e trasformazione)? La regione Basilicata ha deciso per i primi. d) Il 55%, infine, alle Regioni interessate. Come sarebbe a dire alle regioni interessate? Dico tra me e me, il petrolio non si trova in Basilicata? Le trivelle, i pozzi, l’attività estrattiva non insistono in territorio lucano? Si, ma, in primo luogo, la legge ha valenza generale e non viene fatta solo perché si è trovato un mare di petrolio in Basilicata (di questa mia tendenza a pensar male, mi vergogno un po’, giuro!), eppoi il petrolio lucano, passando per il territorio di diversi altri comuni, viene veicolato a Taranto, dove viene stoccato, lavorato e trasformato…, e quindi, il petrolio lucano, via via, acquista connotati, per una certa parte, anche pugliesi! Tarantini? No, pugliesi! Il principio, d’altronde, è semplice: che valore avrebbero gli idrocarburi lucani senza che mamma Puglia non li stoccasse e lavorasse? A Taranto piuttosto che a Bari, che differenza fa? Beata regione Puglia! Dev’essere bello riscuotere le royalties sul petrolio iracheno, libico, algerino, lavorato nelle raffinerie tarantine! Ma no, ma no! Mica i mediorientali e i nordafricani sono cafoni come i basilischi?! Eppoi, mia madre mi ha sempre insegnato che “le bocche son sorelle”! Sono o no la Basilicata e la Puglia regioni sorelle, ancorché federate? Certo che si! E vabbè che un’utile tratta ferroviaria (Metaponto – Matera – Foggia), in predicato già dai tempi miserandi del fascismo, non s’è mai realizzata per l’ostracismo professato dai parlamentari pugliesi, ma vogliamo serbar rancore? Che siamo bambini? Anzi, son così sorelle che le percentuali stabilite per gli idrocarburi estratti in terraferma non dovettero apparire equilibrate agli occhi del legislatore del ’96; occorreva pertanto fare qualcosa di ulteriore… stabilire qualche correttivo, inventarsi qualche gioco di prestigio… Ah se ci fosse un Mandrake in parlamento, o qualcuno che vagamente gli assomigliasse…, non tanto nei connotati fisici: capello brizzolato, viso affilato, occhi vivaci, intelligenti, penetranti, baffetto sottile, alla francese…, ma, piuttosto, nella capacità di inventiva, nei colpi di genio e, soprattutto, … nei giochi di prestigio! Il prestigiatore, per miracolo, si dev’essere materializzato; ne è prova il secondo comma dell’art. 22 del citato decreto legislativo 25 novembre 1996, n. 625, che così recita: “Nel caso di giacimenti antistanti la costa di due regioni, la quota di spettanza regionale e' ripartita nella misura del 50% alla regione ove ha sede l'eventuale centrale di trattamento, e per la restante parte in modo proporzionale al numero di piattaforme fisse e strutture fisse assimilabili installate nel mare ad esse adiacente e in base alla situazione esistente al 31 dicembre dell'anno cui si riferiscono le aliquote.”; sarebbe a dire che, ove interpretato nonchè applicato alla luce della razio normativa introdotta dalla legge stessa (vedi art. vedi art. 20, secondo comma), se la regione Basilicata (si noti: regione Basilicata e non regione Puglia) desse il proprio assenso all’impianto di piattaforme estrattive al largo della propria costa jonica (Metaponto-Bernalda, Pisticci, Scanzano Jonico, Policoro, ecc.), dove si sa con certezza dell’insistenza di golosi giacimenti, una quota NON INFERIORE al 50% (diconsi CINQUANTAPERCENTO!!!) della quota regionale (a sua volta pari al 55% della quota totale) delle relative royalties sarebbero destinate alla Regione Puglia, salvo che non si ritenga di ricorrere al parere della Commissione di cui al comma 3° dello stesso art. 22 D.Lgs. 625/’96! Alla regione Basilicata andrebbe una quota da determinarsi, lo Stato beneficerebbe del 45% delle quote di prodotto totali pagate. Ecco, dunque, elevata, ope legis, la Puglia a regione petrolifera! Ecco snidato il petrolio pugliese! Non è questa una vera “mandrakata”? un colpo di prestigio da maestri? D'altronde, quando il petrolio finirà, così come è finito il metano di Pisticci e Ferrandina, quegli spocchiosi dei Basilischi potranno sempre organizzare un mucchio di percorsi guidati tra i musei della “passata civiltà del petrolio”; a bonifiche del territorio effettuate, s’intende. Per intanto, fra tanta sbandierata o ventilata ricchezza, pare che la popolazione lucana sia in fase di decremento… Non avrà ragione il mio caro ed esagitato amico “Tonino”, elaboratore funambolico di apocalittiche teorie e pianificazioni paracriminali che vedrebbero volutamente svuotata la Basilicata dei propri residui abitanti, al fine di potervi insediare, senza resistenza alcuna, discariche di ogni tipo (nucleari, speciali, ecc,) e di poter disporre senza colpo ferire delle sue ricchezze? Non voglio crederci, ma comincio, viceversa, a credere nella negatività di un destino crudele… e, parafrasando un vecchio detto, un po’ cafone ma assai efficace, comincio seriamente a temere che “quando, in Basilicata, la merda acquisterà valore, gli ultimi lucani nasceranno senza culo!”. Nunzio Dibiase

    http://www.circolopoliticopitagora.it

  • Ogni volta che la grande stampa si occupa della Basilicata provo sensazioni contrastanti di piacere, per l’attenzione che la regione suscita, e d’irritazione per la superficialità con cui, a mio parere, è spesso presentata.
    D’altra parte devo anche dire che man mano che accumulo conoscenze sul suo passato aumenta la mia confusione sul suo presente. Lo si noterà anche dalle considerazioni piuttosto ondivaghe e interlocutorie che cercherò qui di sviluppare.
    L’articolo di Visetti per “Repubblica” fornisce un quadro indubbiamente impressionante nei suoi riferimenti di lungo periodo al fallimento dell’industrializzazione assistita nella regione e agli effetti micidiali provocati sul poco che di tale industria rimane dalla crisi in atto. Una crisi reale, dalle dimensioni ancora imprevedibili e resistente alle cure finora somministrate, e tuttavia anche – comincia ad ammetterlo persino qualche consigliere d’amministrazione – presa a pretesto da qualcuno per avere aiuti di stato e mani libere nel licenziare.
    E’ comprensibile che in un clima del genere la crisi sia “usata” soprattutto in territori come il nostro e che i matrimoni di convenienza che si erano finora celebrati fra industrie e regione siano sciolti unilateralmente e brutalmente. Forse su questo sindacato e autorità politiche dovrebbero spendersi ad occhi spalancati, ma non deve essere facile spuntarla con controparti come la Fiat e le imprese petrolifere.
    Se è vero, come dice Visetti, che molti dipendenti delle industrie lucane sono stati messi in cassa integrazione, ho qualche dubbio sul fatto che siano più dei cassintegrati in Piemonte. Non ne ho invece nessuno sul fatto che il disagio cui vanno incontro sia notevolmente minore dei loro colleghi piemontesi o lombardi poiché gli ottocento “euri” al mese della Lucania valgono qualcosa in più che in Piemonte in termini di potere d’acquisto. Forse un 30% per generi alimentari e un 40% in più per affitto, riscaldamento e trasporto. E in Lucania credo che si abbiano maggiori possibilità di arrotondare l’assegno rispetto a chi abita nei grandi centri.
    Non si tratta di consolarsi pensando a chi sta peggio, ma per essere credibili non bisogna, come spesso si fa, esagerare.
    Non so se siano più veritieri i dati riportati da Visetti o quelli citati da Hank, ma nessuno meglio di chi nella regione ci vive è in grado di sapere come stanno veramente le cose.
    Si direbbe dai commenti qui apparsi che le cose non vadano per niente bene.
    Mi sembra tuttavia di capire che le valutazioni negative si riferiscano più a fatti di costume (clientelismo, trasversalità e mediocrità del ceto politico) e ad aspettative tradite (ciò che il petrolio non ha dato) che a fatti strutturali, più alla delusione per il mancato arrivo dei miglioramenti attesi e fatti sperare che a un sostanziale peggioramento.
    Il nodo della questione mi pare che stia quindi nella contraddizione fra la ricchezza delle risorse e la mancata e diffusa ricaduta sulla regione prima di tutto in termini di occupazione. Mi sembra che si sia ormai tutti d’accordo sul fatto che l’assistenzialismo non dà sviluppo e che l’eccesso di assistenzialismo – con il suo corollario di subordinazione al potere politico – è forse la maggiore causa della situazione presente. A questo aggiungerei uno spirito imprenditoriale non scarso ma inadeguato ad affrontare gli attuali mercati. Non ho competenze in materia e sicuramente dirò qualche stupidaggine, ma non capisco perché le mozzarelle, i formaggi, l’olio e il pane e il vino lucani non arrivino – buoni come quelli che si comprano in paese - a prezzi da cristiani nelle grandi città. Eppure su questi prodotti i costi di trasporto dovrebbero incidere meno che per le arance e le cime di rapa che invece arrivano.
    Ma torniamo al petrolio. Non senza prima aver segnalato un articolo del settimanale “Internazionale” in edicola che riprende un articolo di Guy Dinmore per il “Financial Times” e pure si occupa in modo critico, ma senza toni folkloristici, della nostra regione con l’articolo “Al sud si scontrano petrolio e ambiente”. Anche qui si parla di disoccupazione giovanile, di “sindaci corrotti (che) sprecano i proventi delle concessioni”, della sfiducia della gente nelle istituzioni, di “una classe politica che ha creato false speranze evitando di illustrare il vero impatto delle operazioni di trivellazione”, ma si accenna anche al parere di chi sostiene che le attività estrattive “sulla biodiversità e l’ambiente saranno minime e non necessariamente negative”.
    Si fa anche riferimento al minor costo – da tre a otto dollari per barile – che l’Eni incontra nei giacimenti lucani rispetto a quelli necessari alle estrazioni nei deserti arabi o nelle pianure ghiacciate della Russia e alle royalties del sette per cento del prezzo di mercato che rimane alla regione. Senza però dire se si tratta di un prezzo giusto o, come molti sostengono, troppo basso.
    A quest’ultimo riguardo mi piacerebbe capire una volta per tutte come stanno le cose.

    L’ex governatore Bubbico in un’intervista – che oggi devo citare a memoria perché non mi è più riuscito di rintracciarla sul sito del PD lucano - a “Il quotidiano della Basilicata” di qualche giorno fa, ribadiva in sostanza la bontà dell’accordo fatto con le società petrolifere mettendo in risalto che il prezzo da corrispondere alla regione ha una parte fissa valutata sulla base del petrolio a 40 dollari e una variabile rapportata agli aumenti. Lo stesso Bubbico sostiene che i benefici dell’industria estrattiva sul territorio si vedranno pienamente fra una ventina d’anni. Francamente vent’anni mi sembrano tanti, con una ventina si va a sfiorare l’eternità; a maggior ragione in presenza di “una crisi, per l’insieme degli accadimenti, che man mano ha incrinato l’autorevolezza della politica” (Lacorazza, 29-11-2008)
    Sarà forse il caso di provare a fare con le popolazioni valutazioni più precise del come e del quando questi benefici potranno arrivare. In fondo, non trattandosi di nespole, non credo che si debba aspettare che maturino con la stagione. Anche in considerazione di ciò che il governo regionale sta vivendo in queste ore e delle minacce d’asportazione federalista in materia di risorse petrolifere arrivate a Potenza dal governo centrale.
    Sempre sul sito regionale del PD leggo che il 15 e il 20 dicembre prossimi si terranno, in luogo e ora ancora da definire, un’assemblea territoriale per l’area bradanica e della montagna Materana e un’altra per l’area metapontina.
    Possono essere queste, soprattutto per i giovani, un’occasione per chiedere spiegazioni, criticare, proporre e rendersi conto della complessità dei problemi. Con passione, impegno e a viso aperto.

    • Perché superficiale?
      Se è vero che è sbagliato esagerare è altrettanto pericoloso sminuire i fenomeni. Si rischia di non fare quello che è necessario: tabula rasa.
      Che l'ISTAT dica che nel 2007 i livelli di occupazione non erano malaccio non significa poi molto se pensiamo che in 12 mesi la situazione italiana e mondiale è cambiata radicalmente.
      Anche l'assessore Folino prima di dimettersi ha definito superficiale l'articolo.... come a dire... le cose non stanno così male... salvo poi dimettersi e sostanzialmente ammettere con i suoi attacchi che le cose stanno malissimo e che non c'è stato l'auspicato cambio di passo. Un articolo così superficiale è riuscito a far dimettere l'intera giunta?
      Figuriamoci se fosse stato corretto.
      Prendiamo coscienza che questa classe dirigente ha fallito e che ci vogliono persone e metodologie nuove. Senza questa presa di coscienza dubito che le cose potranno cambiare. Certo potremmo fare il gioco della settimana enigmistica andando a cercare quello che di buono è stato fatto ma si rischia di rimandare ancora di anni un cambio di rotta necessario.
      Altra cosa... che le royalties pagate siano una somma adeguata oppure no conta davvero se poi chi controlla QUANTO viene estratto coincide con chi estrae? Io potrei affittare casa mia per un milione di euro al giorno ma se poi chi la occupa a fine anno mi dice che ci è stato solo poche ore.... Non è scandaloso che questo sia accaduto per anni?
      Concordo con te sulle aspettative tradite ma non mi trovi d'accordo sul non considerare assistenzialismo e clientelismo come un fatto strutturale... più strutturale di quello in Basilicata non trovo.

  • Ieri sera LA7 ha trasmesso un servizio dedicato alla nostra regione. Il titolo "Amaro lucano" è esplicativo. Come ha fatto Cristoforo anche questa trasmissione (REALITY) ha proposto il doppio binario PIEMONTE - LUCANIA per parlare di crisi economica. Posto solo la parte riguardante la Basilicata. Guardatevi il video... tra l'altro viene intervistato anche un nostro compaesano.

    • Posso permettermi di mandare aff... prima gli americani e poi i dipendenti di quest azienda potentina?Un azienda che ha clienti che chiamano e vogliono il prodotto potentino che chiude solo perchè dall'america la vogliono chiudere e hanno clientela sai che vuol dire?che i potentini che ci lavorano hanno un opportunità tra le mani che è quella di accaparrarsi clientela e rilevare l azienda creando una cooperativa di produzione e lavoro sulle ceneri di questa azienda subordinata!dico una cazzata?che ne pensate?se qualcuno conosce uno di questi dipendenti qui puo inoltrare questa mia proposta?a volte per aiutarsi bisogna diffondere le idee di ognuno senza cercare il proprio tornaconto e sinceramente a me farebbe piacere che potesse realizzarsi questo mio desiderio!è una proposta io la lancio!e chiedo l aiuto di tutti!

  • Ciao Montenettiani,

    l’articolo di Repubblica è ben più che uno schiaffo è un bel pugno nello stomaco. Chiunque ama anche un minimo la propria terra trova difficoltà ad arrivare fino in fondo all'articolotanto è duro.

    E’ una situazione desolante che penso che anche i più ben informati e pessimisti non avrebbero minimamente immaginato fino a qualche tempo fa.

    Penso che il giornalista in alcuni tratti abbia anche esagerato per rendere quasi romanzesco il racconto. Però non possiamo indignarci davanti al racconto, cercare qualche cifra sbagliata per smentirlo, tacciare il giornalista di razzismo, il senso dell’articolo rimane ed è indiscutibile.

    Ignorarlo significherebbe ancora una volta rimane indifferenti, mentre andiamo a fondo.

    Capire e rendersi conto della situazione, analizzare le cause e fare critiche ed autocritiche è l’unica possibilità e il primo passo per una risalita.

    Due cosa proprio non mi quadrano:

    -Come mai abbiamo le royalities più basse del Pianeta Terra?

    -Come è questa storia dei russi che vogliono mettere le loro scorie nei pozzi prosciugati della Valbasento? Se ne sapete di più fatelo sapere anche a noi.

    Grazie

    Ciao

  • Ciao Rocco, infatti se continui a veder il video sentirai gli operai dire quello che hai proposto...l'idea di rilevare l'azienda creando una cooperativa, magari con qualche aiuto regionale...la cosa è sicuramente allettante, ma non facile..l'azienda davvero paradossalmente sta chiudendo pur essendo in attivo, ma come poi dice il responsabile nel video, non è facile penetrare in quel tipo di mercato partendo dalla Basilicata..non è scontato che rilevando l'attività si riesca poi ad andar avanti con gli attuali risultati..e poi si dice anche che spostando l'azienda dalla Basilicata a Milano per esempio, si abbatterebbero i costi di produzione dell 7-8% (per via del trasporto sia delle materie prime che vengono importate che dell'esportazione del prodotto finito) ...ancora una volta paghiamo la mancanza di collegamenti con il resto del Paese, anzi direi dell'Europa...è tristissimo tutto ciò, speriamo di REAGIRE...FORZA LUCANIA!

    • Infatti ho sentito il seguito ma sempre il problema è che sta la mentalità sballata dove ci vuole ok si l aiuto regionale ma attenzione, nel video parlava il manager dell'azienda, penso che se sia in gamba nn debba avere problemi a penetrare nel mercato, se poi è un pupazzo messo li beh allora il problema è ben altro e cioè che ad essere comandati da altri siamo tutti bravi ma ad assumerci una responsabilità non tanto.diciamo che è il vero problema di cui soffre la basilicata.

  • La mia sensazione di superficialità non era riferita tanto all’articolo di Visetti, ma a un genere di giornalismo che spesso si occupa della regione facendo suonare in modo sempre più stonato le corde del meridionalismo piagnone.
    Nello specifico è gravemente inesatta l’affermazione secondo la quale i cassintegrati lucani sarebbero più di quelli del Piemonte.
    Da lettore di giornali io ho appreso dall’ufficio studi della Cisl che nel 2007 le ore di cassa integrazione per i Piemonte sono state nel 2007 di dodici volte superiori a quelle della Basilicata e nel 2008 (mesi da gennaio ad agosto) di 7,89 volte. Lo stesso studio precisa che “Su scala regionale il maggiore incremento della CIG, (sempre nel periodo Gennaio-Agosto 2008) è presente nella Regione Marche con un +148,28%, dovuto in particolare al comparto metalmeccanico e calzaturiero. Diversamente al passato, quando il maggiore incremento nell’utilizzo della CIG si registrava nelle regioni del Mezzogiorno, in
    questa fase sono investite anche le regioni del centro-nord, quali: Lombardia +14,14%, Veneto +46,41%, Friuli + 63,55%, Emilia Romagna + 43,17%.
    Nel Piemonte non deve trarre in inganno la riduzione delle ore autorizzate nella misura dell’11,92%, registrata negli 8 mesi in questione; ciò è dovuto al fatto che non sono ancora considerate le ore utilizzate dalla Fiat e dalle aziende dell’indotto e componentistica a cavallo del periodo feriale.”
    (http://www.cisl.it/sito.nsf?Open?OpenDatabase&CNt=HOME;MNt=PrimoPiano;PT=PaginaInterna;DOC=HOME^PrimoPiano)

    Sbagliare è umanissimo, sparare cifre così palesemente infondate significa trattarci da idioti. Un giornalista serio i dati che la gente qualunque ha conosciuto due giorni fa avrebbe dovuto studiarseli prima di dare i numeri.

    Certo questa è una ben magra consolazione, così come non sarà consolante considerare nella gravissima situazione del momento che mediamente un cassintegrato dalle nostre parti se la passa meno peggio di chi vive lo stesso dramma a Torino o a Milano e che la posizione sociale e reddituale complessiva di quella che una volta si chiamava classe operaia è diversa dal sud al nord, ma quando si prendono le misure dei fenomeni bisogna prenderle tutte.
    Quanto al peso che l’articolo di Visetti può aver avuto sulle dimissioni di Folino e sulla crisi dell’intera giunta regionale, ho qualche dubbio su una così istantanea relazione di causa ed effetto fra i due fatti. La mia impressione è che sulla vita politica regionale pesino poteri e intrecci di interessi (Fiat, società petrolifere, ecc.) - ai quali in determinati momenti la stampa può fare da megafono - che cercano e riescono in qualche misura a condizionarla.
    Credo che per questi ambienti debba risultare intollerabile che una popolazione di soli 600 mila abitanti e guidata da un ceto politico complessivamente mediocre non subisca totalmente e passivamente le loro volontà. Per questo diffido delle campagne di stampa che alimentano il nostro compiacimento su quanto stiamo malmessi.
    Dopo aver letto Gomorra di Saviano che documenta come e a quali costi si sia affermato nella vicina Campania una mala-imprenditoria capace di tessere reticoli relazionali con l’intero sistema-mondo, mi chiedo come abbia fatto la Basilicata a non esserne totalmente contagiata.
    Se dovessi studiare la storia regionale degli ultimi trent’anni andrei a verificare queste ipotesi, forse spiegherebbero molte cose. Forse anche la miseria o la grandezza di una certa trasversalità fra forze politiche che chi segue la politica come se fosse un campionato di calcio vorrebbe più antagonistiche e alternative. Se così fosse, se la trasversalità si fosse resa necessaria per far fronte comune contro chi vorrebbe pilotare dall’esterno, bisognerebbe però dirlo. Se si vuole che la gente non abbia l’anello al naso quando legge i giornali, non si può pensare che se lo rimetta quando ascolta chi l’amministra. Ma si tratta, sottolineo, soltanto di ipotesi.

    Felice chiede cosa c’è di più “strutturale” dell’assistenzialismo e del clientelismo. Colpa mia che non mi sono spiegato meglio. Nell’accezione marxiana del termine, per struttura s’intendono i “rapporti in cui gli uomini entrano nell’attività di produzione, cioè i rapporti economici fra le classi sociali (ad esempio borghesia e proletariato industriale e agricolo), e inoltre i fattori materiali (strumenti, macchinari), ma anche le conoscenze tecnologiche che intervengono nel processo produttivo” (Struttura e sovrastruttura, da Encarta).
    Nell’articolo di Visetti ci si riferisce ad esempio alla struttura in tal senso quando si cita il sociologo che afferma che “La Basilicata ospita solo filiali, terminali produttivi, catene di montaggio.
    Come il resto del Sud, non ha generato imprenditoria, un progetto economico interno.”
    Purtroppo, con la crisi in atto, sembra che neanche le aziende a tecnologia avanzata siano al sicuro dai licenziamenti. A Torino, per dirne una, sono stati licenziati oltre trecento ingegneri dalla Motorola.
    Per quanto riguarda l’ultimo aspetto segnalato da Felice e cioè il mancato controllo da parte della Regione della quantità di petrolio estratto giornalmente dalle compagnie, penso anch’io che, se così fosse, sarebbe grave.
    Ma stanno così le cose?

    • Se le cose stanno davvero così non so dirtelo con certezza assoluta, magari avessimo modo di accedere in trasparenza a informazioni così importanti.
      Ho riportato quanto affermato da diversi giornalisti (tra cui il solito Vulpio):
      Il numero dei barili? Un mistero
      La radicale Zamparini, eletta proprio in Basilicata nelle file del PD, ha presentato un'interrogazione scritta a riguardo che tutt'oggi non ha ancora avuto nessuna risposta:
      Interrogazione a risposta scritta 4-01191
      Speriamo che il ministro ci illumini.
      Per chi non l'avesse visto posto anche il videodocumento prodotto da RAINEWS24 sulle OMBRE LUCANE di cui si parla - tra le altre cose - anche di petrolio.

    • Dopo il danno la beffa, da lucanianews24.it

      SU “IL MONDO” L’IMPEGNO DI ENI PER LA BASILICATA: STRANO MA VERO…

      6, Dicembre 2008

      Caro direttore,
      sarà sfuggita ai più, soprattutto ai politici lucani impegnati come
      sono a risolvere la crisi in Regione, quella paginetta del settimanale
      economico “Il mondo” (numero 49 del 5 Dicembre) che merita una segnalazione all’Ordine dei Giornalisti.
      Focus energia Italia è il titolo del dossier. Quello sulla Basilicata e
      sulla Val d’Agri è realizzato “in collaborazione con Eni”. E non si
      capisce se quella collaborazione nasconda una marketta, una pubblicità.
      Di certo non è un servizio giornalistico. Una pubblicità dunque? Lo si
      dica chiaramente.
      L’Eni si vanta di di aver distribuito royalties per un valore di
      466milioni di euro nel 2007. Pari al 7% del valore della produzione. La
      stessa società ha fatto ricorso alle più moderne tecnologie per ridurre
      l’impatto ambientale.

      Fosse un vero articolo giornalistico, per completezza di informazione
      si dovrebbe dire che in altri Paesi royalties pari al 7% della
      produzione sono considerate BRICIOLE. Alcuni Stati sono arrivati a
      chiedere il 50% in royalties. Questi si vantano di dare il 7%! E che
      dire del fatto che la produzione è quella dichiarata dalla stessa
      società e non monitorata dalla Regione che non ha strumenti per il
      monitoraggio?
      Moderne tecnologie per ridurre l’impatto ambientale? All’ARPAB tutto
      questo non risulta. Non è forse vero che il miele della Val d’Agri sa
      di petrolio? Omertà totale sul rapporto. Non se ne parla, non si dice,
      non si conosce.
      Questa strana commistione fra “Il mondo” e l’Eni, questa “collaborazione” merita una segnalazione all’ordine dei giornalisti.

      Cordiali saluti.

      Domenico Gianturco

       

       Caro Cristoforo, come vedi nessuno smentisce le affermazioni sui dati delle estrazioni e sull'impatto ambientale, inoltre i dati sono solo quelli forniti dall' Eni che non è proprio imparziale.

       

  • Dando uno sguardo al rapporto ISTAT 2008 sulla povertà mi è tornato in mente questo post in cui hank sottolineava che i dati statistici erano in controtendenza rispetto alle sensazioni di noi tutti.
    Purtroppo anche i recenti dati statistici hanno messo a nudo il mito della Basilica isola felice... siamo i più poveri d'Italia con percentuali simili solo a quelle della Sicilia :(

  • Il servizio di sky è davvero sconcertante, petrolio e gas: valore stimato 50 miliardi di dollari, popolazione 600.000 abitanti (stime in calo nei prossimi 20 anni).

    Cifre enormi di cui noi lucani non recepiamo nulla, nessuno sconto sulla benzina, nessun investimento in infrastrutture, nessuna detassazione per favorire lo svilupparsi delle imprese lucane, nessuna collaborazione tra università e settore petrolchimico, NULLA di NULLA.

    Perchè la politica lucana non si occupa di questo? Rokko 77 dice, giustamente indignato, che la gente si ostina a votare lì (e con lì penso si riferisca a chi governa questa regione da 60 anni) ma perchè anche l' opposizione del governo di Potenza tace?

     

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