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Abbazia S. Michele: la chiesa.

 

La chiesa dell’Abbazia di S. Michele a Montescaglioso.  

La chiesa dell’abbazia così come la conosciamo è il risultato di una stratificazione complessa di manufatti ed impianti sviluppatasi tra il secolo XI ed il secolo XIX. Un documento proveniente dall’archivio dell’abbazia attesta la consacrazione e la dedicazione della chiesa abbaziale nel giorno 29 settembre del 1099, festa di S. Michele Arcangelo. Al suggestivo rito parteciparono, oltre 900 anni orsono, Librando Vescovo di Tricarico, Gerardo Vescovo di Potenza,  Guidone Vescovo di Gravina, Amuro Vescovo di Mottola e gli esponenti più in vista della nobiltà normanna della zona: il Conte Goffredo di Conversano con il figlio Roberto e la moglie Sichelgaitta e Riccardo Senescalco, Signore di Policoro. In chiesa era presente la famiglia comitale di Montescaglioso: Rodolfo Macabeo, Signore di Montescaglioso, con il fratello Guidelmo figli di Umfreda Macabeo e la moglie Emma, figlioadi Ruggero I Gran Conte di Sicilia e sorella di Ruggero II, primo normanno Re a cingere la corona di Sicilia e Napoli. Erano presenti, infine, alcuni signorotti locali a servizio dei Macabeo: Assegotto e Gilberto. L’evento conclude una lunga fase della storia dell’abbazia e ne apre un’altra.

       

I monaci si erano insediati a Montescaglioso intorno alla metà del sec. XI utilizzando una piccola chiesa forse preesistente o costruendone una sul sito dell’acropoli della città indigena. L’appoggio della feudalità normanna e la donazione di chiese e feudi nel territorio con le relative rendite aveva permesso alla comunità di raggiungere in pochi decenni una notevole ricchezza. Era stato possibile, quindi, ampliare le fabbriche monastiche e soprattutto erigere una nuova grande chiesa adeguata alla dimensione della comunità ed alle consuetudini liturgiche codificate dalla Regola e dalle tradizioni benedettine. La costruzione era stata avviata probabilmente dall’abate Simeone (1078 – 1099) che però era morto pochi mesi prima della consacrazione effettuata sotto il governo dell’abate Crescenzo (1099 – 1119). La chiesa, completata nel 1099, sostituiva una chiesa più antica della quale finora non si sono rintracciate resti e che non si può escludere fosse preesistente all’arrivo dei Benedettini. La chiesa normanna, sull’esempio di analoghi edifici lucani coevi appartenenti ad altri monasteri benedettini (S. Maria di Banzi, S. Eustacchio a Matera, S. Maria del Plano a Calvello e S. Maria del Casale a Pisticci) doveva essere a tre navate absidate precedute da un transetto sul modello della grande abbaziale eretta pochi decenni prima dall’abate Desiderio a Montecassino divenuta ben presto modello per le più importanti comunità monastiche italiane. La chiesa normanna era probabilmente preceduta da un nartece e in prossimità dell’ingresso aveva il campanile.

      

La chiesa, nel corso dei secoli, aveva conosciuto numerose trasformazioni e rimaneggiamenti. Nel 1484, al momento dell’annessione a S. Giustina da Padova, era una delle poche parti del monastero ancora efficiente.  Nel 1590 i monaci avviano il rifacimento della chiesa che sarà concluso solo nel 1650 con la costruzione della cupola. Ma non tutta la chiesa medievale scomparve con la nuova costruzione. I monaci infatti conservarono numerosi settori del perimetro esterno, in parte venuto alla luce nei lavori di restauro degli anni novanta, svuotandola dall’interno e addossando, sempre dall’interno, alle mura superstiti, i grandi archi delle cappelle laterali sulle quali impostarono la grande volta dell’unica navata. Questa terza chiesa abbaziale rispetta in pieno i canoni della riforma tridentina e le consuetudini della congregazione cassinese fondata nei primi decenni del secolo XV. Nella nuova chiesa sono presenti grandi cappelle laterali, un ampio transetto per le cerimonie più solenni ed il grande spazio del coro quadrangolare per le liturgie proprie della comunità. L’apparato decorativo era formato da affreschi e da cornici, trabeazioni e lesene in tufo. Numerosi gli affreschi dei quali una minima parte è ancora visibile nelle cappelle laterali: una grande scena dell’Annunziazione e la Madonna in trono con S. Michele (sec.XVI); un sorta di polittico affrescato con S. Giorgio, S. Teresa (sec. XVII); frammenti di affreschi andati persi dei quali sono supersiti teste di angeli e di monaci ed infine l’affresco forse più antico, una Madonna con Bambino dipinta nell’androne dell’ingresso, ma oggi occultato da uno scialbo di calce.

    

Agli inizi del secolo XVIII, ancora una volta i monaci decidono di adeguare la chiesa ai propri tempi e realizzano un nuovo grandioso apparato decorativo in stucchi occultando le decorazioni cinquecentesche in tufo. Acquistano un nuovo altare maggiore commissionato ad un esperto marmoraro napoletano e numerosi dipinti su tela da collocare nel coro e nel transetto. Nel 1784 la comunità si trasferisce a Lecce attuando una scelta preparata da anni. Nel 1776, infatti, i monaci avevano già venduto i preziosi altari in marmo della chiesa capitalizzando la liquidità necessaria ad acquistare il nuovo monastero di Lecce individuato nell’ex collegio dei Padri Gesuiti con l’annessa chiesa del Gesù ove trasferiscono gran parte delle opere d’arte che si conservavano nella chiesa di Montescaglioso. Altre opere appartenute alla abbaziale caveosana saranno vendute a chiese di Matera dove ancora oggi è possibile ammirarle: l’altare maggiore nella Cattedrale; un acquasantiera ed alcuni altari nella chiesa di S. Giuseppe; altri altari nella chiesa del Carmine. L’organo fu venduto alla Chiesa Madre di Pomarico. Il coro in legno ed alcune tele furono trasferite a Lecce. Oggi la grande chiesa benedettina, la quarta a partire dal secolo XI, si presenta in una elegante e luminosa veste barocca ma spoglia di arredi e dipinti. Parte delle tele sono a Lecce, qualche affresco è stato riportato alla luce altri attendono ancora un adeguato intervento di restauro. La chiesa, però, nasconde ben altri misteri. Nell’androne le tracce di un nartece duecentesco con un affresco di sec. XV nascosto dalla calce. L’alzato del perimetro murario medievale venuto alla luce negli anni novanta, è sicuramente, collegato a strutture presenti nel sottosuolo risalenti alla stessa epoca a loro volta impiantate sui resti dell’abitato indigeno di sec. VII a.C così come dimostrato dagli ultimi scavi archeologici. Davanti al campanile sono stati rintracciati i resti di una fossa di fusione per campane. Sotto l’attuale livello di calpestio si conservano camere sepolcrali o cripte, una delle quali rintracciate nel 1991 con le sepolture dei monaci perfettamente intatte. Insomma una complessa stratificazione capace, con adeguate ricerche di restituire una parte significativa della storia di Montescaglioso e della Basilicata.

     

Per visitare l’abbazia di S. Michele Arcangelo  contattare il n. 334.8360098; fax 0835.201016 (Infopoint turistico del Centro di Educazione Ambientale di Montescaglioso nell’Abbazia). Orari: mattina 10,00 – 13,00; pomeriggio 15,00 – 17,00 (autunno – inverno) / 19,00 (primavera – estate).

Testi Francesco Caputo. foto F. Caputo ed Angelo Lospinuso (CEA Montescaglioso).    

CEA:
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