I tuoni di Monte Cupo 6

Segue dal Capitolo 5: Del Luponario

Una serata come tante altre. Rocco con Tonino e Saverio avevano trascorso alcune ore insieme nella locanda di Paolone tra un bicchiere di vino e una chiacchierata sui fatti di paese. Verso le undici nel locale erano rimasti solo loro tre. Era ora di chiusura e Paolone li invitò a uscire per chiudere il locale. Decisero di rientrare a casa e stavano percorrendo insieme il corso del paese prima di separarsi e andare ognuno per la propria strada. In giro non c’era anima viva sia per l’ora tarda sia per il freddo che sembrava ancora più intenso a causa di una insistente tramontana che scorreva giù per il corso come un fiume invisibile e impetuoso. Erano sotto l’orologio della torre quando questo scandì undici rintocchi cadenzati seguiti da altri due con una tonalità diversa. Si stavano attardando con le ultime battute e risate quando nel silenzio udirono un terrificante verso provenire da una stradina che girava dietro la torre dell’orologio. Non era facile capire di cosa si trattasse perché a tratti il verso sembrava un lamento umano, a tratti un ululato, altre volte una specie di ringhio sordo. Subito dopo si udì un abbaiare e latrato di cani che si sovrapponeva al verso creando un effetto agghiacciante. Subito i due amici pensarono al luponario. Ne avevano sentito parlare sin da quando erano bambini. Qualcuno in paese aveva addirittura giurato di averlo incontrato e di esserne scampato per miracolo. Fu la prima cosa a cui i due pensarono. Salutarono in tutta fretta Rocco e scapparono verso le rispettive abitazioni. Rocco rimase sul posto ad ascoltare. Il verso si interrompeva per qualche secondo e poi riprendeva seguendo un suo ritmo misterioso. L’effetto che ne scaturiva era realmente inquietante. Stava per andare a casa anche lui, ma la curiosità fu più forte della paura e decise di andare a vedere di cosa si trattasse. Una certa agitazione lo pervase mentre si addentrava nelle stradine semibuie. Il vento gelido si insinuava nel dedalo delle anguste stradine e sibilava aggiungendo ulteriore inquietudine nell’animo del giovane. Se fosse scappato avrebbe senz’altro potuto pensare anch’egli a un fenomeno perlomeno misterioso, ma non poteva accettare il fatto senza indagare. E se per caso si fosse trattato veramente del terribile luponario? Stava forse per incontrarlo? No, non era possibile, qualunque cosa fosse aveva una spiegazione razionale. Ad ogni buon conto si fermò a raccogliere un robusto bastone da una piccola catasta di legna al lato di una porta, ormai deciso ad andare fino in fondo. Per la verità poteva anche trattarsi solo di un cane o forse anche di un lupo. Nei boschi circostanti il paese se ne intravedevano e, specie d’inverno, qualcuno raggiungeva le mura del paese, ma in paese nessuno ne aveva mai visto uno. Stava per girare l’angolo oltre il quale proveniva il verso. Ebbe un attimo di esitazione, ma doveva andare avanti. Si affacciò e non vide niente. La stradina stretta fra le due fila di case, a malapena illuminata da un lampione ad olio che oscillava mosso dal vento e spostava le ombre ora su un muro ora su quello opposto, era deserta. Ci furono alcuni secondi di silenzio. Porte e finestre sbarrate come non mai. Si fece avanti, qualche passo e, improvviso, udì il verso sopra la sua testa, il sangue gli si gelò nelle vene. Anche i cani ripresero a latrare. Era lì, qualunque cosa fosse era lì. Alzò il braccio con il bastone pronto a colpire. Guardò in alto e vide una figura massiccia, quasi gigantesca, appoggiata a un balconcino al primo piano di un’abitazione. Alla luce traballante del lampione non vide subito di chi o cosa si trattasse, ma era una figura umana, enorme, che ansimava ed emetteva terribili rantoli. Ne fu impressionato ma, a meno che l’essere non saltasse giù dal balcone, poteva dirsi a distanza quasi rassicurante. Mentre cercava di capire di cosa si trattasse sul balconcino arrivò una seconda figura, decisamente più piccola, sembrava una donna, con una lampada in una mano e un mantello nell’altra mano, che disse con apprensione:

   «Copriti, sennò ti viene un altro accidente».

Passandogli vicino illuminò la prima figura e si intravide un uomo, enorme, ma un uomo, in preda a una crisi di asma. L’inspirare e il respirare gli procuravano uno sforzo terribile; a ciò si aggiungeva lo spavento per quanto gli stava accadendo e questo gli faceva emettere lamenti terrificanti. Rocco riconobbe l’uomo, si trattava di un tizio originario della provincia di Bari, ma che qui aveva trovato moglie e si era fermato. Di corporatura molto robusta, lavorava come facchino ora per il mulino ora per il trappeto del paese. La scoperta lo rassicurò e si spiegò come nascono le leggende di paese. Se non fosse andato a vedere, anche lui avrebbe potuto pensare all’esistenza del mezzo uomo e mezzo lupo.


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