I tuoni di Monte Cupo 10

Dal cap. 7: Rumori di guerra – 1915

   Le settimane passavano e la data del matrimonio si avvicinava. Ma da qualche giorno c’era inquietudine a casa dei Giudice. Si sentiva sempre più spesso parlare della guerra tra l’Austria, la Germania e l’Ungheria con altri stati europei. Per il momento l’Italia ne era fuori ma fino a quando? C’era un accordo con gli austriaci, prima o poi anche l’Italia sarebbe potuta entrata in guerra. Le notizie si facevano sempre più preoccupanti. Ngesco e Anna, così come tanti altri genitori con figli adulti, non vivevano giorni tranquilli. In paese i bene informati escludevano che l’Italia potesse entrare in guerra perché sia i socialisti che i cattolici erano contrari. Altri invece ne facevano una questione di giorni. Anche a casa Giudice se ne discuteva. Inutile dire che Anna e Ngesco erano assolutamente contrari a una ipotesi interventista dell’Italia. Anna, ogni volta che se ne parlava, scoppiava in lacrime. Aveva due figli che, in caso di guerra, sarebbero stati subito chiamati alle armi. Era maggio e ormai si parlava sempre meno del matrimonio di Donato e sempre più della guerra. A metà mese sembrò prevalere l’ottimismo. L’Italia aveva rotto il patto con gli austriaci ma non molti sapevano che ne era stato contemporaneamente firmato un altro a Londra con altre nazioni europee. In paese ormai erano quasi sicuri di averla scampata bella. I soliti bene informati erano convinti che la maggioranza giolittiana del Parlamento non avrebbe mai accettato il conflitto. In casa Giudice si ricominciò a parlare del matrimonio. Mancava ormai poco. Donato aveva trovato la casa e ordinato nuovamente i mobili al falegname. Pina aveva quasi completato il corredo di lino e cotone che insieme a sua madre e alle zie preparava da anni. Una sera, quasi fine maggio, Ngesco e i figli tornavano dal lavoro. Luigino era nel cortile come al solito a giocare con Ciulìn. Appena li vide arrivare corse loro incontro:

   «Mamma sta piangendo» disse con voce triste.

   «Cosa è successo?» gli chiese il padre.

   «Non lo so. Non me lo ha detto».

   Ngesco affidò anche il suo mulo ai figli per farlo sistemare nella stalla ed entrò in casa.

   «Cosa è successo?» chiese ad Anna.

   «È scoppiata la guerra».

   «Ma come… dicevano che non ci saremmo entrati! Chi te lo ha detto?» incalzò Ngesco.

   «Lo sanno tutti in paese. I carabinieri hanno ricevuto l’ordine di reclutare i giovani e gli uomini fino a quarantacinque anni».

   Ngesco uscì immediatamente e si diresse verso la caserma dei carabinieri. C’era molta gente fuori ad aspettare di sapere qualcosa. In quel momento dalla caserma uscì uno dei militari e, rivolgendosi alla piccola folla, disse:

   «Andate a casa. È inutile che stiate qui ad aspettare. Fino a questo momento non possiamo dirvi niente. Aspettiamo maggiori istruzioni da Matera. Tornate alle vostre case».

   Ngesco cercò informazioni dagli altri che erano lì ma non apprese molto di più di quanto già sapeva. Con il cuore che batteva a mille tornò verso casa. Gli sembrava che il mondo gli stesse crollando addosso e forse era così. I figli sarebbero partiti per la guerra. Solo a pensarla, quella parola, ne avvertiva la drammaticità. La sua famiglia, il suo mondo ne veniva sconvolto. E non osava pensare al peggio. Solo qualche giorno prima si vedeva da lì a un anno già nonno con un nipotino tra le braccia. Ora si sentiva scippato dei suoi due figli. Arrivò davanti al cortile di casa che neanche se n’era accorto.

   Dal lato opposto della stradina c’era un muretto in pietra che correva lungo la strada e proteggeva i passanti dal pendio della collina sulla quale era adagiato il paese. Il muretto dava sulla valle del Bradano e il panorama spaziava fino alle montagne del Materano. Era una bella serata. La temperatura mite, il cielo stellato e la grande luna che illuminava la vallata e le colline sul lato opposto. Su un albero poco distante un’upupa annunciava l’estate con il suo inconfondibile verso. Nell’aria si diffondeva l’odore denso e dolciastro dei fiori dell’albero del “pane cotto”. Lo chiamavano così perché i bambini ne mangiavano i fiori carnosi. Ngesco si fermò sul muretto. Si intravedevano le fioche luci dei paesi dall’altro lato della valle. Sotto il muretto in pietra centinaia di piccole lucine si accendevano e si spegnevano disordinatamente nel buio, le lucciole di maggio sono un miracolo della natura. Nulla faceva presagire il dramma che avrebbe sconvolto il paese e la nazione intera. Alzò lo sguardo alla volta stellata e ne rimase incantato. In quel momento vide Dio. Lo stesso Dio di suo padre, di sua sorella Giulia, di don Filippo. Quel Dio di cui si era dimenticato e che da troppo tempo non aveva più cercato. Sapeva che c’era da qualche parte ma non ne era mai stato completamente sicuro. Quella sera era lì. Bello, meraviglioso, immenso. Ne avvertì la potenza e la gloria, ne fu invaso.

   «Proteggi i miei ragazzi» gli disse.

Inspiegabilmente, per il momento che stava vivendo, fu pervaso da un senso di pace come gli era capitato qualche volta quando da bambino si addormentava tra le braccia della madre. I pugni stretti si aprirono, i muscoli della fronte e del mento si rilassarono. Le mascelle serrate si socchiusero. Gli sembrò di sentire una risposta alla sua invocazione. Non udiva alcuna voce né poteva distinguere delle parole ma i suoi sensi percepivano una radiazione di serenità. Pochi minuti prima aveva visto l’inferno ora assaporava il paradiso. Perché? In quella sera di maggio, alla luce argentea della luna, il creato gli aveva mostrato il Creatore. Lo aveva forse cercato? Un Dio immensamente più grande delle cose umane, sia pure drammatiche come quelle stavano accadendo nel mondo in quel periodo. Sentì come tutto fosse infinitamente piccolo e insignificante al suo cospetto, persino la guerra.


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