Omicidio risolto grazie al trojan». Aperto il dibattimento per la morte di Grieco, il pm elenca le prove dell’accusa

«Senza non avremmo mai trovato il corpo». No alle richieste di rito abbreviato dei 3 imputati per il delitto di Montescaglioso

POTENZA – E’ stato il silenzio inusuale captato dal trojan inoculato nel cellulare della vittima, il 52enne di Montescaglioso Antonio Grieco, a condurre gli investigatori al ritrovamento del suo corpo. Senza «non sarebbe mai stato trovato».

E’ quanto ha dichiarato ieri mattina il pm antimafia Annagloria Piccininni di fronte ai giudici della Corte d’assise di Potenza, subito dopo l’inizio del dibattimento nel processo per l’omicidio del “professore”, così era soprannominato Grieco a Montescaglioso, a carico del 57enne Giuseppe D’Elia e del 43enne Carmelo Andriulli, montesi entrambi, e del 53enne Antonio Armandi di Pomarico (in carcere tutti e tre).

Piccininni ha preso la parola per illustrare le fonti di prova che intende sottoporre alla Corte. A partire dalle annotazioni degli investigatori della Squadra mobile di Matera che da settimane monitoravano gli affari di Grieco e il 27 maggio dell’anno scorso avevano deciso di seguirlo a distanza mentre andava a quell’incontro con D’Elia in un boschetto a ridosso dell’abitato di Montescaglioso. Lì dove avrebbe dovuto incontrare un fornitore non meglio precisato per l’acquisto di «4 mitragliatori».

«Questo è stato un omicidio che è sostanzialmente avvenuto in diretta», ha spiegato il pm. «La vittima aveva un captatore informatico, quello che viene chiamato usualmente un trojan, che al momento in cui è avvenuto del delitto si ferma. Ed è da lì che scattano le ricerche perché si comprende che è successo qualcosa, che le cose non sono andate come ci si aspettava. Quindi a poche ore dall’uccisione di Grieco si sono attivate le ricerche ed è stato trovato. Altrimenti non sarebbe mai stato trovato. Questo è poco ma sicuro. Lì dove era stato gettato il corpo essendo in un bosco frequentato da animali selvatici sarebbe stato il classico caso di morte bianca».

Dopo l’accusa anche le difese dei tre imputati (l’avvocato Shara Zolla per D’Elia, e i colleghi Nicola Buccico e Vincenzo Comi per Antonio Armandi, e Pietro Mazzoccoli per Carmelo Andriulli) hanno indicato le loro richieste di prova. Assieme a quella del figlioccio di Grieco (l’avvocato Nicola Raucci), che è sopravvissuto all’agguato scappando nei boschi e si è costituito come parte civile. Quindi l’udienza è stata rinviata al 22 settembre per l’esame dei primi testimoni.

In precedenza la Corte, presieduta da Rosario Baglioni, aveva rigettato, come previsto le richieste di rito abbreviato presentate dalle difese dei tre imputati, sulla scorta della recente riforma normativa (entrata definitivamente in vigore un mese prima del fattaccio, ad aprile 2019), per cui è precluso l’accesso al rito abbreviato per reati puniti con l’ergastolo. Come quelli contestati per questa vicenda (omicidio e tentato omicidio aggravati dal metodo mafioso, porto clandestino di armi, e ricettazione).

Stando a quanto ricostruito dai pm dietro i contrasti che hanno portato all’omicidio di Grieco, ci sarebbe stato il furto di «27.500 euro», ricavati con ogni probabilità di attività di spaccio.

Grieco ne avrebbe incolpato Armandi, che si sarebbe rivolto a D’Elia. Quest’ultimo quindi, appena uscito di galera dopo quasi 20 anni, prima avrebbe avallato le rivendicazioni di Grieco e poi avrebbe intavolato con lui la trattativa per i «4 mitragliatori». Invitandolo nel boschetto, dove li avrebbe aspettati Armandi con un fucile.


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