venerdì 05 Dicembre 2025

L’Andrea ritrovato

A mio avviso celebrare la paesanità ricordando Andrea è stata una buona cosa. Ai giovani questo nome dice poco o niente, ma dal dopoguerra agli anni Ottanta bastava il nome.Di Andrea c’era quasi solo lui e anche per questo motivo il nome era poco gettonato dalle famiglie nella scelta del nome da dare ai figli: Chee? si diceva, Andrea lo spazzino?
Tuttavia, in un mondo non ancora globalizzato, ì paesi sono stati universi in attesa di chi sappia raccontarli. Quanti preziosi materiali, narrativi e antropologici, possano contenere lo aveva dimostrato, nel lontano 1969, Luigi Meneghello scrivendo del suo paese, Malo, nel romanzo intitolato appunto “Libera nos a Malo”. Un romanzo che mantiene la leggerezza e il divertimento evocati dal titolo. E che rende palese quanto sia inutile tentare di liberarsi dai legami con il luogo di nascita. In qualunque modo li si viva: «Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via» (C. Pavese).
L’incontro pubblico tenuto su questo tema in abbazia, nel cuore della montesità, credo che lo abbia confermato. L’importante è che simili iniziative siano anche l’occasione per ribadire che quei legami non diventino motivo di esclusione per i nati sotto altro cielo.
Non so se questo fosse il caso del nostro Andrea il cui cognome, Fasano, rimandava alla Puglia e a Montescaglioso non era, che io sappia, portato da altre famiglie. Nella nota di Mauro Bubbico si dice che Andrea «nacque», fu battezzato, a vent’anni e nel bellissimo racconto grafico scritto, in base a sue indicazioni, da Giovanni Colaneri leggo che «nacque sfortunato» perché a sedici anni ebbe dal padrone una scudisciata così forte che «la sua vita cambiò per sempre». Non so se questo fatto, e quello del calcio d’asino di cui fu vittima qualche anno dopo, sia realmente accaduto. Poco importa in un contesto narrativo del genere, ma, se così, fosse bisognerebbe ricordare un altro “sfortunato” episodio che lo riguardò.
Ne parla un documento d’archivio -purtroppo non conservato integralmente- che consente di ricostruire in modo dettagliato l’accaduto. In ciò che mi è rimasto manca l’indicazione dell’anno, ma siamo inequivocabilmente in tempi di legge e ordine e a colpire Andrea fu appunto il braccio, o come si vedrà, il piede violento della legge. Impersonata, la legge, da una guardia municipale che gli sferrò un calcio al sedere che procurerà un’ecchimosi larga un palmo. Guaribile, a dire del medico condotto, in quattro giorni.
Non sappiamo se un tale referto fosse stato per favorire la guardia o per ignoranza poiché la scienza medica classifica come ematomi le contusioni più grandi di due centimetri. In ogni caso non è questa la sola anomalia che presenta l’episodio. La guardia, infatti, chiamata a rispondere del fatto a seguito delle proteste della madre di Andrea- il padre, Emanuele, non compare nella vicenda- dichiarerà di aver dato solo «uno schiaffo e una leggera spinta col piede al Fasano». Per «ammonirlo» a non offendere la pubblica decenza toccando il sedere ad alcune tredicenni. E non «si era trattato di percosse ma di un semplice atto dimostrativo», tanto che lo spazzino, «senza dolersi del male», aveva continuato a lavorare. Questa la versione, confermata poi dal portinaio dell’abbazia, data dalla guardia.
Avrà avuto il piede asinino questo uomo di legge?
Fatto sta che nei giorni a venire Andrea avrà febbre e convulsioni e il 29 giugno, una ventina di giorni dopo il fatto, sarà mandato in manicomio a Miano, presso Napoli.
Non sappiamo quanto tempo ci resterà. Dati i tempi, sarà fortunato a uscirne. Sicuramente grazie alla famiglia, la madre in primis, che non l’abbandoneranno alla sua sorte. Vi avrà contribuito oltre all’affetto e ai buoni sentimenti, il fatto che garantiva alla famiglia una, per quanto misera, entrata sicura.
Io lo ricordo sempre sorridente, spesso in coppia con Salvatore, che fermava i passanti per chiedere se fosse lui il più bravo spazzino di Monte. Più che una domanda, la sua era un’affermazione che faceva sorridere da un orecchio all’altro il collega che benevolmente approvava. Un omino buono dall’aria di cane bastonato che con il suo lavoro manteneva la numerosa famiglia della sorella che altrimenti sarebbe morta di fame. Anche lui è da ricordare. Oltretutto, queste figure svolgevano di fatto un’altra funzione. Rassicuravano con la loro -come chiamarla?- dabbenaggine, facendo sentire tutti gli altri accorti e intelligenti.
Un dubbio: Andrea aveva già problemi di salute mentale o ne avrà a causa di questo episodio?
Quanto al motivo che aveva provocato l’intervento “correttivo”, non sappiamo fino a che punto si era spinto nelle molestie. Non bisogna comunque dimenticare che si era in tempi in cui il corteggiamento consisteva spesso nell’importunare le ragazze, anche con atti di bullismo. Questo significava l’espressione “fare l’asino alle ragazze”. Rozzezza, stupidità, mancanza di educazione affettiva, timidezze, aggressività e, in definitiva, incapacità al dialogo. Tutte caratteristiche figlie, anche, dei tempi. Averle presenti aiuta a capire che non significa giustificare.
Qualche volta, e fuori tempo massimo, le perseguitate erano risarcite con versi come i seguenti:
Tanta fu la paura dei miei baci/nella casa improvvisamente buia,
che rimanesti tutto il temporale/trasalendo alle vampe degli scoppi
sulla soglia, coi piedi nella pioggia.
Ritornando ventenne nel ricordo/ti dedico i coralli di quei fulmini (C. Govoni, 1884-1965).
Saranno bastati?

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