Meridionali e resistenza

 

Il 16 giugno nel teatro Carignano di Torino si è tenuto un convegno intitolato “Meridionali e Resistenza” nel corso del quale si è, appunto, parlato del contributo dato dalle regioni del Sud alla lotta di Liberazione in Piemonte.

Sul piano strettamente storico il fatto era già noto, l’importanza dell’evento va quindi attribuita al rilievo che ne ha voluto dare la Regione Piemonte – principalmente ad opera del suo vicepresidente,  il lucano Roberto Placido- e tutte le regioni meridionali, isole comprese, che vi hanno partecipato con esponenti di primo piano.

Un caso di corretto uso politico della storia: un’occasione per riaffermare solennemente che anche il Sud fece la sua parte nella sconfitta del nazi fascismo anche se non si combattè nelle sue terre.

Infatti dei 91.847nominativi tra partigiani combattenti, patrioti, e benemeriti contenuti nella banca dati dell’Istituto Piemontese per la Storia della Resistenza (http://intranet.istoreto.it/partigianato/), ben 6.062 erano meridionali (cfr., a cura di C. Dellavalle, Meridionali e Resistenza. Il contributo del Sud alla lotta di Liberazione in Piemonte 1943-1945, 2013, Consiglio regionale del Piemonte).

Ufficiali alleati passano in rassegna le formazioni partigiane di Giustizia e Libertà 

 

In parte si trattava di persone nate al Sud, ma residenti in Piemonte da qualche tempo; gli altri erano invece soldati sbandati dall’esercito in seguito all’armistizio dell’8 settembre.

Se andiamo ad esaminare il dato numerico relativo ad ogni regione avremo la seguente situazione:

Basilicata   237;

Calabria     917;

Campania 1061;

Puglia       1264;

Sardegna    417;

Sicilia       2325.

Sfilata dei comandanti delle formazioni di Giustizia e Liberta nela zona di Ivrea

Sfilata dei comandanti partigiani di Giustizia e Libertà nella zona di Ivrea 

 

Si tratta di cifre significative; altrettanto importante fu il ruolo svolto da alcuni di quei combattenti.

Si ricorderanno qui solo alcuni nomi per i quali chi volesse può agevolmente trovare in rete altre informazioni: Pompeo Colaianni, i fratelli Di Dio, Dante Di Nanni, il rionerese Pasquale Preziuso.

Spulciando i nomi dei 237 lucani, si vedrà che i nati nel Materano erano 51, di cui 29 ancora là residenti, mentre 196 – di cui 99 ancora là residenti – erano del Potentino.

Partigiani montesi

Entrando ancora di più nel dettaglio della ricerca scopriremo infine che fra i lucani c’era anche un nostro compaesano, Francesco Bubbico.  

Questi dati si riferiscono esclusivamente a quanti combatterono in Piemonte. Qualora altre regioni del Nord dovessero avviare un’analoga ricognizione, indubbiamente il panorama dei resistenti meridionali si arricchirebbe. Per quanto riguarda il nostro paese, ad esempio, sappiamo di altri che rivendicheranno nel dopoguerra la qualifica di partigiani: Valentino Andriulli, Mauro Mianulli, Domenico Eletto e Amedeo Dimichino. Quest’ultimo risiedeva a Bengasi con la famiglia e quando la capitale libica fu liberata dagli inglesi si unì a un reparto di combattenti italiani da loro creato.

Ma torniamo a Bubbico. Nato a Montescaglioso nel febbraio del 1918, aveva compiuto gli studi ginnasiali e, in vista della chiamata alle armi, si era iscritto per la prima volta al fascio per godere dei benefici che ciò comportava. Era stato infatti ammesso a frequentare un corso per sotto ufficiali e poi destinato a funzioni amministrative con il grado di sergente

                                                            Agosto 1943. Francesco Bubbico in una foto ricordo per i genitori 

                                                                        (per gentile concessione del figlio Filippo)

Dal 28 dicembre 1943 al 5 agosto 1944 risulta aggregato a un reparto RSI (Repubblica Sociale Italiana), il Nono Deposito Misto.

Dal 17 agosto al 28 ottobre 1944 avrebbe invece fatto parte della 69 ° Brigata delle formazioni di Giustizia e Libertà con il nome di battaglia di Franco Tigre. Lo stesso nome che manterrà quando, il primo novembre dello stesso anno, passerà nella 79° Brigata Garibaldi alla quale risulterà aggregato fino all’otto maggio 1945.

Questi sono i dati burocratici riportati dalla scheda consultabile su http://intranet.istoreto.it/partigianato/.

In realtà le memorie famigliari ricordano che Franceschino, così era chiamato da parenti e amici, al momento dell’armistizio ( 8 settembre 1943) si trovava in Jugoslavia dove insieme a un altro montese, Vito Salluce, avrebbe combattuto nelle formazioni guidate da Josip Broz detto Tito. Non furono i soli a fare una tale scelta se è vero che “ L’armistizio del settembre 1943 vide accogliere nelle file dei partigiani iugoslavi interi battaglioni di italiani sbandati, il cui contributo in uomini, mezzi e materiali alla vittoria finale fu decisivo e riconosciuto apertamente dallo stesso Tito. (http://www.storiaxxisecolo.it/Resistenza/resistenzaeuro7.htm).

Così come è da anticipare alla primavera del 1944 la sua presenza a Genova e il suo impegno nella formazione Giustizia e Libertà, ispirata dal Partito d’Azione e che aveva fra i suoi massimi dirigenti Ferruccio Parri,  operante in provincia di Alessandria al confine con la Liguria.

Da quelle parti, fra il 7 e il 10 ottobre 1944, durante un attacco nazifascista, si ebbero 16 partigiani caduti in combattimento e 6 impiccati ad Olbicella; 9 caduti in combattimento a Piancastagna e 6 partigiani e 4 civili uccisi a Bandita di Cassinelle dove Bubbico si trovava. (http://www.anpi.it/eventi/in-ricordo-della-battaglia-di-bandita-di-cassinelle2011109/)-

                                                                   Funerali di partigiani caduti in combattimento

Scampato a questi tragici eventi, dopo essersi probabilmente tenuto nascosto per una ventina di giorni si unirà poi, come già detto, ai comunisti della 79° Brigata Garibaldi, notoriamente meglio organizzati e disciplinati, con i quali resterà fino alla Liberazione.

Non sappiamo come e quando giunse a Montescaglioso dove lo troviamo, nella prima segnalazione che lo riguarda, fra i partecipanti alla commemorazione della rivoluzione russa.

In una nota, del 12 novembre 1945, se ne parla come di un “certo Bubbico” e lo si indica come possibile successore del socialista Giudino Cifarelli che qualche giorno prima si era dimesso dalla carica di sindaco assunta per volontà popolare appena otto mesi prima. Ed effettivamente il Comitato Comunale di Liberazione Nazionale, formato già nei primi mesi del 1944 ad opera dei vecchi antifascisti dei quali l’amministrazione è espressione, si mostrerà inadeguato nel fronteggiare i tanti problemi che nel clima seguito alla Liberazione e con il graduale ritorno a casa dei soldati dai fronti sembrano venire al pettine tutti insieme.

                           Marzo 1945. I rappresentanti del Comitato Comunale di Liberazione chiedono la nomina a sindaco del socialista Cifarelli

Problemi economici come la disoccupazione, gli approvvigionamenti (manca tutto: dalle scarpe, allo spago, alla crema da barba), l’obbligo di consegnare agli ammassi i prodotti agricoli mentre imperversa il contrabbando, la secolare questione della terra ai contadini. E problemi politici: la formazione dei nuovi partiti, la guida delle amministrazioni, la defascistizzazione, la ricostruzione.

Anche a Montescaglioso c’è entusiasmo attorno ai partiti di sinistra, tanto che cerca di entrarvi anche qualche fascista e un ex tenente della Repubblica Sociale. D’altra parte c’è grande attesa di cambiamenti immediati e radicali e voglia di rivalsa verso chi nel corso del ventennio si è allineato al regime. “Taglieremo la testa anche a questi”, dice un bracciante fermo davanti alla camera del lavoro al passaggio di un frate  e, in un’altra circostanza, quando un gruppo di studenti materani dell’azione cattolica sfila per il corso cantando “Noi vogliam Dio” e urlando slogan contro i social comunisti succede un parapiglia che li costringe alla ritirata.

Benestare dell’Allied Military Governement alla nomina a sindaco di Giudino Cifarelli

La sede della sezione del fascio è stata requisita, mobili e radio compresa, dalla camera del lavoro dove si ascoltano le notizie e si fanno letture collettive dei giornali di sinistra.

L’inserviente, un vecchio pomaricano, si è fatta cucire una stella rossa sul berretto a visiera e non vuole saperne di toglierla.

Con ogni probabilità Bubbico è già in paese da qualche mese poiché a lui si può attribuire un articolo per l’edizione meridionale dell’Unità in cui si fa la cronaca delle prime grandi lotte per la terra del 1945 a Montescaglioso. In un punto lo scritto sembra riecheggiare il “Cristo si è fermato a Eboli” che Carlo Levi ha pubblicato da pochi mesi per Einaudi, quando si accenna allo scatenarsi sui contadini dell’ira della “potenza malefica” dello Stato rappresentata dai carabinieri e dai marò del Battaglione San Marco che nel settembre del 1945 aveva occupato e terrorizzato il paese. Si trattava di elementi che fino a pochi mesi prima avevano combattuto con i nazisti e che creeranno qualche problema anche ai loro ufficiali.

Saranno loro a far cessare l’occupazione della masseria dei Tre Confini che il tribunale aveva assegnato alla cooperativa Scoia e che le false perizie dell’ispettorato agrario riusciranno, malgrado i ripetuti interventi del ministro dell’agricoltura Gullo, a far riconsegnare ai fratelli Quinto.  

Settembre 1945. Un articolo dell’Unità sul clima creato a Montescaglioso dai marò del battaglione San Marco

Le lotte per la terra

Comincia in questo clima teso e confuso da stato nascente per l’ex partigiano Bubbico una lunga, complessa e tormentata militanza che lo vedrà amministratore del comune dal marzo del 1946 al maggio del 1948, poi funzionario della federazione provinciale comunista e dal 1951 consigliere provinciale per lo stesso partito. Una tendenziosa informativa dei carabinieri, del 1954, ne parla come di persona  molto intelligente ed astuta e gli attribuisce il ruolo di regista nella linea tenuta dal partito comunista nel corso di tutte le amministrazioni di sinistra succedutesi alla guida del comune fra la fine degli anni quaranta e i primi anni cinquanta. Lo stesso è definito pericoloso per l’ordinamento democratico dello Stato e l’ordine pubblico ed artefice di tutti i disordini verificatisi a Montescaglioso dal 1945 in poi.

Naturalmente è iscritto al casellario politico centrale  e, in quanto tale, costantemente vigilato dagli organi di polizia.

Non è l’unico a subire tali attenzioni poichè lo stesso trattamento è riservato ad altri militanti ed amministratori comunisti e socialisti. Fra questi Ciro Candido, ma anche figure quasi dimenticate nelle poche e superficiali rievocazioni relative a quegli anni: Marianna Menzano, Isaia Martiello e Vito Tangorra. E militanti come Leonardo Mianulli e Michele Miraglia dei quali si occupò invece la locale questura aprendo un fascicolo sul loro conto. Su altri ancora (Liborio Abate, Anna Avena, Vincenza Castria, Giudino Cifarelli, Leonardo Cicorella, Rocco Fiataruolo, Giambattista Garbellano, Giuseppe Locantore, Rocco Nobile, Rocchino Potenza, Nunzia Suglia) l’attenzione delle forze dell’ordine era altrettanto costante, ma, per così dire, più informale.

I loro nomi oggi dicono poco, ma saranno loro e tanti altri ancora a rendere Montescaglioso uno dei centri politicamente più vivaci dell’Italia meridionale nel secondo dopoguerra. 

Questi dossier  non sono stati  ancora resi consultabili. Sono così imbarazzanti le notizie che contengono? E per chi?

Ciò che qui si può affermare in tutta serenità è che la grande colpa dei personaggi prima citati fu quella di aver partecipato attivamente, insieme a centinaia di contadini di tutti i partiti, al movimento di occupazione delle terre che per circa un decennio agitò i sonni di agrari e autorità.

Fu quella la loro lunga e grigia guerra di resistenza contro un nemico più insidioso dei nazi fascisti: gli interessi degli agrari e la loro difesa da parte di apparati dello stato che il passaggio dalla dittatura alla democrazia aveva lasciato immutati.

Nel nostro strano paese sembra che oggi tutti plaudano a quelle lotte considerandole quasi un passaggio necessario, un doloroso battesimo, alla piena partecipazione delle masse contadine alla vita dello stato. All’epoca i partiti di sinistra che le guidavano furono messi ai limiti della legalità e accusati di aver portato “a spasso i contadini per i campi dell’illegalità e verso la morte. I responsabili porteranno sempre nell’animo questi delitti”.

Questo ebbe a dire proprio a Montescaglioso il sottosegretario  Emilio Colombo, cui pure va riconosciuto il merito di aver voluto, insieme al ministro dell’agricoltura Antonio Segni, la riforma agraria contro una parte della stessa Democrazia Cristiana. Si era nel novembre del 1951 e non erano passati neanche due anni dall’uccisione di Giuseppe Novello, il giovane siciliano portato dalle peripezie della guerra a dare realizzazione a quanto detto nell’autunno del 1944 dai primi occupatori di terra ai carabinieri che li sollecitavano a desistere: Se non siamo morti in guerra, moriremo nel nostro paese e almeno il nostro sacrificio servirà a qualcosa.

E fu ciò che accadde a Melissa in Calabria, a Torremaggiore in Puglia e, appunto, a Montescaglioso.

Ai giorni nostri quei fatti vanno riconsiderati inquadrandoli nel clima di guerra fredda che all’epoca divideva il nostro paese e il resto del mondo. Di quel clima il giudizio storico e politico non può fare a meno di tener conto, ma il nostro non può continuare ad essere, come ebbe a dire Leonardo Sciascia, un paese senza memoria e senza verità.


Commenti da Facebook

1 Commmento

  1. pierod.58

    Ottimamente, come sempre, documentati e commentati i fatti storici che ci riguardano. Su una cosa, però, permettemi di fare un breve commento, sulla riconoscenza che il maresciallo Tito ebbe modo di manifestare agli italiani per l’aiuto ricevuto; una riconoscenza espressa in  una forma del tutto “personale”, come sappiamo.

    Piero Didio.

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