La Marcia di Turenna dall’Epifania all’Arlesienne di George Bizet

La Marcia di Turenna

dall’Epifania
all’Arlesienne di George Bizet

Pietro Andrisani

e-mail: pandrisani@libero.it

Il sei gennaio il mondo cristiano di fede cattolica celebra l’anniversario del battesimo di Gesù con l’Epifania che, unitamente alla Pasqua, al Natale ed alle Pentecoste, viene ritenuta una delle ricorrenze più attese dell’anno[1]. Per gli uomini di osservanza o di sola obbedienenza cattolica l’Epifania è una festività composita, che contempla e celebra il battesimo di Cristo, il primo miracolo da lui compiuto con la conversione dell’acqua in vino e l’adorazione dei Re Magi davanti a Gesù Bambino visto nella sua natura di uomo e di Dio. Quest’atto devozionale viene inteso come unione o conversione dei Gentili al Giudaeismo ed interpreta l’evento festivo della regale potestà, dell’umana mortalità e della divina maestà del Messia.

La natura misterica di questi eventi va cercata nelle allegorie dell’oro, della mirra e dell’incenso, doni reali e mistici che due mila anni orsono i Re Magi Gaspare, Melchiorre e Baldassarre offrirono al Re Bambino nella grotta di Betlemme. L’oro venne considerato come tributo e regalità, la mirra umanità mortale, l’incenso sacrificio e divinità del Cristo. Fatti e doni eccezionali questi che nell’immenso e nebuloso medioevo ebbero notevole influenza sulla tradizione iconografica, drammaturgica e musicale recupletando, progressivamente, il rituale cristiano di nuove risorse artistiche e spettacoli attinenti a culti con particolari espressioni misteriosofiche e con palesi reminiscenze di riti pagani. La liturgia cattolica-cristiana cominciò ad essere sentita come simbolica ricostruzione della vita del Cristo, interpretazione congiunta al desiderio di divulgare la verità della fede in ogni possibile forma, ornando i testi connessi al temporale e al sanctoriale, con interpolazioni d’indole sacra non sempre morigerati e casti.

Tali interpolazioni vennero convertite in ludi o drammi liturgici (natalizi, pasquali e pentecostali) concepiti per espletarli in chiesa (in latino e su musiche gregoriane) e, in seguito, sul sagrato con sacre rappresentazioni (in volgare con canti prevalentemente profani) come l’Ordo stellae, l’Officium Trium Regum, il Versus ad Herode Faciendum, Le jeu dell’Epifania Le interpolazioni allora offrirono al dramma sacro la possibilità di arricchirsi spettacolarmente di innovazioni più originali come l’uso del praesepe, la strage degli innocenti, i dialoghi fra i Magi e le obstetrices e quelli fra i Magi e i pastori.

Dell’abbondante repertorio di canti sacri e para-liturgici medievali intonati, una volta, in chiesa prima e poi sul sagrato durante i vari momenti del fastoso rituale per l’Epifania, la Marcia di Turenna o dei Re Magi è uno dei pochi fortunati sopravvissuti all’usura dei secoli e alle opportune svolte politiche date da organizzazioni religiose.

È convinzione di alcuni studiosi che questo canto sia stato composto nella prima metà del tredicesimo secolo da un anonimo trovatore provenzale (Rambauto de Vaqueiras?) che dedicò a Guglielmo II duca d’Orange, rampollo della famiglia del Balzo che un’antica tradizione vuole discenda, appunto, da uno dei Re Magi, precisamente, Baldassarre, il portatore d’incenso[2].

A sua volta, il vescovo di Colonia, Giovanni da Hildesheim (prima metà del XIV sec.5 maggio 1375), nella sua Historia trium Regum (data incerta, tra il 1364 e il ‘79) indica il Re Mago Baldassarre[3] discendente dell’antica dinastia dei re di Saba di biblica memoria.

Consuetudine già confermata, tra l’altro, da Tertulliano (Cartagine, 155ca.-220 ca.), in Adversus Marcionem (210 ca.) che prendendo a riferimento alcuni versi del settantesimo salmo davidico, afferma che dinanzi a Lui si prostreranno gli Etiopi […]. I monarchi dell’Arabia e di Saba verranno ad offrirgli doni in testimonianza della loro fedeltà ed obbedienza al Re Bambino.

Uno scrittore relativamente più vicino a noi, Ferrante Della Marra, a p. 65 della sua ampia opera genealogica Discorsi delle famiglie estinte […] imparentate colla Casa Della Marra, (Napoli, O. Beltramo, 1641), riportandovi quanto appreso dall’Epitaffio di Raimondo [Del Balzo], conte di Solito esistente, allora, nel borgo di Casalnuovo [provincia di Napoli] e dalla Cronica del Duca di Monteleone (c. 10), ci informa che la Casa del Balzo discénd[ev]a da vno de’ tre Rè Maggi, che vennero ad adorare il Salvator nostro in Bettelem, quando nacque: e perciò dicono ch’ella prendesse per propria insegna la Stella, che à i Rè Maggi fu guida [4][…] In virtù di queste sacre origini, appunto, un trovatore dedicò ad un De Baucis la Marcia di Turenna che, forse, elaborò da un antico canto di rito gallicano.

La lunga vita de La Marcia di Turenna o de’ Re Magi passa per le fortunate elaborazioni orchestrali di Giambattista Lulli (Firenze, 1632-Parigi, 1687) e dei Noëlisti avignonesi della sua scuola che la inserirono nel dramma sacro La Legenda dei Re Magi; passa, inoltre, per orchestrazioni operate da Maestri di fanfare militari del Settecento napoletano.

Ma la vita più intensa e prestigiosa, La Marchia di Turenna la sta trascorrendo tra le musiche di scena per il dramma L’Arlesienne (Parigi, teatro Vaudeville, 1° ottobre, 1872) di Alphonse Daudet (Nîmes, 1840-Parigi, 1897) composte da George Bizet (Parigi, 1838-Bougival, 1875), il noto autore della Carmen.

L’Arlesienne è il dramma di una famiglia di contadini intensamente vissuto nei campi della Francia mediterranea. Più che dai particolari dell’intreccio la sua efficacia declamatoria deriva dai veementi accenti lirici e dalla raffigurazione dell’ambiente provenzale.

L’Arlesienne, è il soprannome che in questo lavoro teatrale viene dato ad una ragazza di Arles, visibilmente assente dalla scena dell’opera ma protagonista di nome e di fatto perché ne è la causa occulta di tutta la vicenda drammaturgica. Vicenda che s’intreccia con la storia del commovente dramma di due fratelli contadini provenzali: Frédéri, di capacità mentali normali, Janet, detto l’Innocente, scemo dalla nascita.

Frédéri sospetta che la sua Arlesienne, di cui è perdutamente innamorato, sia l’amante di Metifio, un guardiano di cavalli, poco di buono. Questo dubbio gli fa quasi uscire di senno. Su consiglio di Rosa, sua madre, egli si fidanza con la bella Vivette, una ragazza del paese, da molto tempo innamorata segretamente di lui. Ma durante i preparativi della vigilia del matrimonio, in un casuale incontro con Metifio si risveglia impetuosa la sua macerante passione per la ragazza di Arles e, non sapendo resistervi al disperato dolore, né frenare i suoi impulsi autolesivi, sale sul fienile della sua casa colonica e si getta nel vuoto.

L’Innocente che ha confusamente intuito il dramma del fratello ritrova il senno; e la sciagura che ha strappato alla madre un figlio normale ne ridona l’altro.

Alphonse Daudet forse in ricordo del santo Re, portatore d’incenso, dà il nome Baldassarre al vecchio pastore che predice il ridestarsi ad una piena maturità mentale di Janet, l’Innocente.

George Bizet per rendere la scena dell’opera più vera, più naturelle compone per L’Arlesienne musiche di colore e lirismo provenzaleggiante e ne adotta, trasfigurandoli, altri tre brani fortemente evocatori del paesaggio di deciso colore occitanico che attinge al repertorio di canti e danze tradizionali del tambourin Vidal di Aix. I tre brani, sono la Danse dei Chivau-Frus che diventa la Farandola nel terzo atto, Er dou Guet convertita nel delicato e finemente misterioso Canto dell’Innocente con il quale Janet intonandolo, tenta di alleviare le pene d’amore di Frédéri e, finalmente, la duttile Marcho dei Rei [Magi] sulla quale elabora la prima parte del Preludio, due cori del primo atto e, modulandola nella tonalità di re maggiore ed in forma di canone, nello sviluppo della Farandola.


[1] Per i fedeli delle Chiese di rito Ortodosso la festa dell’Epifania è la commemorazione del battesimo di Gesù nel Giordano e l’inizio della sua missione divina rivelata col primo miracolo avvenuto alle nozze di Cana.

[2] Un biografo provenzale racconta che Rambaldo di Vaqueiras operò per lungo tempo in Orange, alla corte di Gulielmo del Balzo (+1266): Et estet longa saison cum le princeps d’Aurenga Guillelm dal Baus. Guglielmo – padre di Bertrando I (+1309) e nonno paterno di Bertrando II (+1350), conte di Montescaglioso – aveva sposato la trovatrice Tiburga, sorella di Rambaldo. A tittolo di cronaca e per ricordare a quella gente che ipocritamente oggi parla di uguaglianza e fratellanza che presso quei trovatori blasonati, per la prima volta nella storia, vengono abolite le barriere dei ceti sociali nel senso che i figli della lavandaia, dello sguattero o dell’arciere potevano avere una sedia e una scodella alla mensa del proprio padrone a patto, però, che quei giovani servi sapessero poetare, cantare, scrivere, dipingere, che amassero coltivarsi

[3] Un Baldassarre della famiglia del Balzo nel 1441 lo troviamo Protonotario Apostolico dell’Abbazia San Michele Arcangelo di Montescaglioso: era figlio del duca Francesco II del Balzo, conte di Montescaglioso e di Sancia di Chiaromonte, contessa di Copertino, sorella della regina Isabella moglie di Ferrante I d’Aragona. Altri figli di Francesco e di Sancia furono Caterina, maritata al duca di Sora di casa Cantelmo; Jacopo (+ 1469), signore di Mottola e Sanvito; Aghilberto, signore di Galatola e Carpignano, conte di Tricase e duca (1483) di Nardò, sposò Maria Conquista Orsini, primogenita di Giov. Antonio principe di Taranto; Pirro che impalmò Maria Donata Orsini ed ereditò dal padre, tra l’altro, la contea di Montescaglioso.

[4] L’arma della famiglia del Balzo: Stella d’argento (quella che guidò i Magi a Bettlemme) in campo vermiglio con due cornetti, insegna degli Orange, paese del quale allora i del Balzo erano duchi.

Il figlio di Antonia del Balzo, vescovo di Mantova, venne ordinato cardinale da papa Alessandro VI

allegato1

Incipit musicale della Marcia di Turenna con la quale George Bizet compone le Prélude delle Musiche di scena dell’Arlesienne
allegato2
Il medesimo tema sviluppato nella Farandole della stessa opera

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