Scritture popolari: Terra matta, di Vincenzo Rabito

Sarà capitato a parecchi di ascoltare da qualche anziano storie su storie e magari di sentirgli dire che la sua vita era stata un romanzo e che sarebbe stata da scrivere.
Un bracciante siciliano semianalfabeta nato nel 1899, l’ha raccontata lui la propria vita tempestando sui tasti di una vecchia Olivetti per sette anni, dal 1968 al 1975.
Ne sono venute fuori più di mille pagine che puristi e mezzecalzette avrebbero massacrato con correzioni a matita blu. Non senza ragione quanto allo forma. Il racconto attacca così:

“Questa è la bella vita che ho fatto il sotto scritto Rabito Vincenzo […]
La sua vita fu molto maletratata e molto travagliata e molto desprezata. Il padre morì a 40 anne e mia madre restò vedova a 38 anne, e restò vedova con 7 figlie, 4 maschele e 3 femmine, e senza penzare più alla bella vita che avesse fatto una donna con il marito, solo penzava che aveva li 7 figlie da campare e per darece ammanciare.
Il più crante di queste figlie si chiamava Ciovanni, ma Ciovanni di questa nomirosa famiglia non ni voleva sentire per niente; se antava allovorare quelle poche solde che quadagnava non bastavino neanche per lui, e quinte quella povera di mia matre era completamente abilita.”

A dispetto di ogni regola di bello scrivere, la narrazione di Rabito va avanti come un fiume in piena alimentato da una vitalità e una voglia di raccontare straordinarie. Un raccontare per il raccontare, l’autore non aveva neanche provato a cercare un editore.
Dopo la sua morte, sarà un figlio ad inviare all’Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano (http://www.archiviodiari.it/), una stesura riveduta e corretta del lavoro. Gli verrà chiesto di presentarlo com’era. L’opera riceverà il Premio Pieve nel 2000.
Nel 2007 Einaudi ne pubblicherà una scelta tratta dalle 1027 pagine dell’originale con il titolo “Terra matta”.

Mi permetto di consigliarne la lettura non solo a chi ha particolari interessi per questo genere di letteratura. Chi conosce bene il nostro dialetto non dovrebbe avere difficoltà a capire il siciliano di Rabito, per i termini più difficili c’è una nota di spiegazione.
A modo suo è anche un’opera divertente. Nel suo genere è un capolavoro assoluto e, direi, un modello. Il racconto copre oltre cinquant’anni di avvenimenti ma Rabito racconta tutto come se le cose gli fossero successe cinque minuti prima e l’incazzatura non gli fosse ancora passata.

Credo che molti anziani montesi avrebbero storie simili e diverse – come è diversa la vita di ogni uomo – da raccontare, ma non trovano orecchie che le raccolgano. Non tutti hanno l’ostinata pazienza e determinazione che aveva portato Rabito a mettersi alla macchina da scrivere, ma non costa nulla registrare le storie dei nonni.
Pensiamoci.


Commenti da Facebook

1 Commmento

  1. EzumValgemom

    La cultura che esprime “Vincenzo Rabito” è, in realtà, il luogo ove per millenni si sono tramandati saperi e valori.

    Ma questo immenso universo culturale, che oggi superficialmente si tende a definire “letteratura folklorica” o “minore”, è ancora parte della nostra civiltà, anzi, è la componente più sana e genuina, e tutelarla vuol dire tutelare i diritti culturali di tutti noi.

    Così come andrebbero tutelati i racconti dei nostri Anziani, che, invece, troppo spesso, sono lasciati ad abbrutirsi davanti agli schermi blu, perché non più “produttivi”.

    In alternativa potremmo sempre leggerci un bel librone megasponsorizzato da una multinazionale dell’editoria e pubblicizzato in tutti i programmi televisivi trash di questa nostra italietta.

     

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