Zingari

Diciamolo subito: gli zingari non godono di grande popolarità e anche in passato c’erano prevenzioni nei loro confronti. Anche in tempi in cui nessuno profumava di rose e santità erano considerati brutti, sporchi e cattivi. Per secoli sono stati “l’altro”.
A spiegare il motivo dell’avversione c’era una leggenda nera che voleva fosse stato uno di loro a forgiare i chiodi per la croce di Cristo. La stessa leggenda stava però a indicare che nelle società agricole c’era posto anche per loro.
Facevano infatti i fabbri e i calderai, allevavano cavalli e li commerciavano, indovinavano la “ventura”, erano suonatori ambulanti, ecc.
A riprova del fatto che erano comunque integrati, in alcuni dialetti – compreso il nostro – zingaro significa mediatore, persona intrigante, ecc. In molti casi diventarono stanziali senza fondersi del tutto con le comunità ospitanti. Ricordo che nella vicina Laterza c’era un gruppo di zingari ancora riconoscibili in quanto tali e non del tutto assimilati.
A causa della scarsa simpatia che li circonda, anche dei 500.000 zingari scomparsi nei campi di concentramento nazisti si parla poco. Non è vero che da morti si diventa uguali agli altri se non lo si è stati da vivi.

Oggi la loro diversità sta per essere fissata da una legge che imporrà di prendere le impronte digitali ai bambini rom.
Lo si farà, si dice, per il loro bene, per evitare che siano mandati a rubare e a mendicare dagli adulti senza che si possa stabilire, quando sono presi, di chi sono figli.
Sarà, si dice, una norma ispirata al buon senso e voluta dalla gente. Del buon senso della gente, della brava gente, si muore.
A proporre questa legge è il buon Maroni, sassofonista, baffo sornione, montatura giusta, voce suadente, poche cravatte verdi, il meno staraciano delle truppe cammellate di Bossi. Maroni sarà una brava persona, ma ciò che si ostina a voler fare non è giusto perchè introduce nella nostra legislazione un elemento di discriminazione.
Non abbiamo bisogno di dare fondamenta giuridiche a un’ineguaglianza già vigente nella pratica giudiziaria quotidiana.
Maroni si altera quando qualcuno lo critica ricordandogli che le grandi tragedie della storia sono cominciate sempre con le persecuzioni ai danni dei gruppi più deboli.
Uno che ha vissuto la normalità e la sensatezza delle discriminazioni del passato ha scritto una poesia, “Indifferenza”, che dice:

Prima di tutto vennero a prendere gli zingari e fui contento perchè rubacchiavano.
Poi vennero a prendere gli ebrei e stetti zitto perchè mi stavano antipatici.
Poi vennero a prendere gli omosessuali e fui sollevato perché mi erano fastidiosi.
Poi vennero a prendere i comunisti ed io non dissi niente perchè non ero comunista.
Un giorno vennero a prendere me e non c’era rimasto nessuno a protestare.

(Bertolt Brecht).

Un’altra tedesca, Hannah Arendt , filosofa ed ebrea, ha, durante il processo al criminale nazista Eichmann, studiato con implacabile occhio critico “La banalità del male”. Così infatti intitolerà il libro pubblicato nel 1964 che esamina la normalità di chi rese possibile l’orrore dei campi di concentramento. Il Male che Eichmann rappresenta è, a suo parere, “banale”, e perciò “tanto più terribile, perché i suoi servitori più o meno consapevoli non sono che piccoli, grigi burocrati. I macellai di questo secolo non hanno la “grandezza” dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano”.
E’ meglio non dimenticarle mai queste cose.

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Commenti da Facebook

7 Commenti

  1. ciffo

    Ma una legge così pensata non dovrebbe semplicemente essere incostituzionale?
    Se esiste ancora un sistema democratico (???) la legge , ammesso che passi, dovrebbe essere bocciata dalla consulta.
     
    Art. 3
     
    Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
     
    È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

  2. Ape Maya

    La notizia delle impronte digitali ai bambini rom secondo me è una questione da analizzare con prudenza, senza cadere nella demagogia politica e nello strumentalismo ideologico. Si tratta di una problematica controversa su più aspetti: se da un lato la “violenza” del metodo utilizzato, le impronte digitali, possa sembrare discriminatorio, in quanto trattamento utilizzato per persone pericolose all’interno della società (e anche in riferimento alle vicende di cronaca riportate ultimamente sui giornali), dall’altro non bisogna negare la necessità di una regolarizzazione e di una identificazione delle persone presenti nel nostro territorio. Di rom in Italia ce ne sono, ma non siamo a conoscenza di un numero preciso, in virtù del fatto che molti di loro rifiutano di farsi registrare. Se le motivazioni poi che hanno condotto il ministro verso questa strada sono quelle buone intenzioni che vogliono la tutela di questi minori, che spesso vivono in condizioni disagiate o in stato di schiavitù, e il loro inserimento nel sistema-scuola, che prevede non solo istruzione ma anche socializzazione, allora la norma sembra essere ben giustificata. Però qualche dubbio rimane.

    Così l’altro pomeriggio ho prestato ascolto al Question Time parlamentare trasmesso in tv: qualche elemento di chiarificazione l’ha dato. Il ministro Maroni ha precisato innanzitutto che la legge “non sta per essere fissata”, come qui ho letto, ma è già in vigore dal 30 maggio 2008 (le polemiche recenti sarebbero frutto di strumentalizzazioni politiche). Risulta essere un passo iniziale verso l‘inserimento di questi bambini nella società italiana, nonché un tentativo di tutelarli, non di discriminarli. Infatti alla domanda se è previsto un piano scolastico che preveda un loro inserimento, ha dato una risposta affermativa, dicendo che è stato tutto incluso nella norma già entrata in vigore. Ha ulteriormente puntualizzato che la legge non è in contrasto con nessuna norma, con nessuno dei diritti umani o dell’infanzia. Alla base di essa non vi sono tentativi di discriminazione o tantomeno di persecuzione, ma solamente di regolarizzazione della posizione di questi bambini, di identificazione, per garantir loro un futuro migliore nella nostra società. Un discorso convincente. Fino alla replica dell’esponente dell’UDC, che ha incalzato con altre due argomentazioni: in primo luogo ha evidenziato come questo provvedimento sia stato bocciato da tutto il mondo dei pedagogisti, dal momento che le impronte digitali porterebbero il bambino a sentirsi “diverso” rispetto ai suoi coetanei. In secondo luogo, ha acutamente fatto notare una cosa: se ciò che giustifica la legge sono i buoni propositi di tutela di minori disagiati, perché le impronte digitali sono state previste solo per i rom e non per tutti gli altri bambini nomadi? In occasione delle domande poste da una parlamentare della maggioranza, sempre su questa legge, Maroni ha precisato che la norma infatti non riguarda solo i bambini rom, ma tutti i bambini nomadi.

    Detto ciò, sembra che la legge sia ben fatta, ma a un solo interrogativo non ho sentito risposta, ed è quello fondamentale: perché proprio le impronte digitali, così tanto condannate dai pedagogisti? Non esistevano altre metodologie di identificazione? L’unica risposta plausibile sarebbe quella di un’eccessiva resistenza dei rom alle registrazioni, che costringerebbe il governo a prendere posizioni più drastiche. Sarà così?

    In ogni caso credo che affiancare questo provvedimento alle persecuzioni razziali sia un tantino eccessivo. Circa Hannah Arendt, la banalità del male è soprattutto dovuta alla forte persuasione che ciò che si stesse attuando con i campi di concentramento fosse “normale”, previsto dal sistema, giustificato secondo ferree regole logiche che non prevedevano repliche, autonomia di pensiero, critica del sistema. Il fatto che qui se ne stia parlando e soprattutto si abbia la possibilità di interrogarsi su ciò che sta accadendo in Italia e di ribellarsi, è segno che quella “Immagine dell’inferno” non ci appartiene. Da noi non c’è quella banalità del male.

     

  3. Cristoforo Magistro

    No, dai noi non c’è “quella” banalità del male, non abbiamo il senso della gerarchia e dell’obbedienza dei tedeschi e della legge entrata in vigore già a fine maggio –come è stato precisato- si parla solo adesso che si cerca di applicarla. Qualche prefetto ha già dichiarato che si asterrà dal farlo.
    La banalità del male è nella superficialità con cui si fanno e si dicono le cose, nel non pensare alle loro conseguenze, nel non seguire il precetto di diritto naturale, prima che religioso, che dice di non fare agli altri ciò che non si vorrebbe fosse fatto a noi.
    Non credo che Maroni sia un nazista, ma che sia, banalmente, uno che per restare popolare a Bergamo alta e dintorni non pensa a quali scenari possono aprire certi provvedimenti.
    La politica vive di simboli, oggi più che mai. Prendere le impronte digitali ai bambini rom – e solo a loro – non serve a risolvere il problema del loro sfruttamento, ma a discriminarli.
    Oggi tocca a loro, domani non mancherebbero altri gruppi a cui estendere la misura. Sempre a fin di bene, s’intende.
    Ci sono altri sistemi, è stato giustamente detto, per identificare le persone, ma il nodo della questione rimane la discriminazione su base etnica che il provvedimento ha introdotto.

    1. Ape Maya

      Sulle perplessità circa le metodologie di questa presunta “identificazione”, siamo d’accordo: pienamente legittime. Ma permettimi ancora di dissentire sul concetto arendtiano di banalità del male. Credo sia una forzatura intendere la banalità come superficialità, perché nel sistema nazista niente era fatto a caso, anzi: era tutto accuratamente e maniacalmente studiato. Per intendere nella completezza questo concetto consiglio la lettura delle “Origini del totalitarismo”, di Hannah Arendt ovviamente. Davvero esauriente e interessante.

  4. Cristoforo Magistro

    Per un aggiornamento sulla questione bambini rom, accludo di seguito un comunicato del presidente dell’Unicef Italia e un comunicato stampa congiunto del ministro dell’interno e dell’Unicef.

    Roma 26 giugno 2008 – «L’UNICEF Italia esprime stupore e grave preoccupazione per la proposta del Ministro degli Interni Roberto Maroni di avviare un censimento dei bambini presenti nei campi rom, mediante impronte digitali.

    Verrebbe da proporgli, per rispettare il diritto all’uguaglianza di tutti i bambini, di schedare allo stesso modo tutti i bambini italiani…

    Ci auguriamo che si tratti di una proposta provocatoria destinata a non avere seguito. Lettera a “La Stampa” (30 giugno) (59.84 KB)

    Articolo ospitato su “il Manifesto” (1° luglio) (16.12 KB)

    I bambini rom non sono diversi dagli altri bambini (tra l’altro molti di loro sono cittadini italiani a tutti gli effetti), ma soprattutto i bambini non possono e non devono essere trattati come gli adulti.

    Sono mesi ormai che l’attenzione delle istituzioni, nonché dell’opinione pubblica e dei mass media italiani si concentra sulle comunità rom presenti nel nostro territorio. Un’attenzione che, come UNICEF Italia, chiediamo non si trasformi in principi di discriminazione verso popolazioni e soprattutto bambini in condizioni di evidente vulnerabilità.

    Auspichiamo che il Governo italiano affronti le tematiche relative alla sicurezza senza trascurare i diritti dei bambini, tra cui quelli di essere tutelati e non essere discriminati, come ricorda la Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia, ratificata dall’Italia con legge n° 176 del 27 maggio 1991».

    Roma, 3 luglio 2008 – Il Presidente dell’UNICEF Italia Vincenzo Spadafora ha incontrato oggi pomeriggio presso il Viminale il Ministro dell’interno Roberto Maroni.

    L’incontro è nato dalla volontà espressa dall’UNICEF Italia di avviare un serio ed aperto confronto sulla questione dei bambini rom, dopo la discussa proposta da parte del Governo di censirli.

    «L’incontro è stato cordiale ed approfondito» ha detto il Presidente dell’UNICEF Italia Vincenzo Spadafora «e ci ha consentito di valutare con maggiore attenzione l’insieme dei provvedimenti che il Ministro ha inserito nell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri 30 maggio 2008, che in alcuni punti risponde alle priorità che l’UNICEF aveva sollecitato in questi giorni, in particolare per quanto concerne i programmi di integrazione e scolarizzazione dei minori.

    Il Ministro ha chiarito che si tratta di rilievi segnaletici che non sempre si traducono in rilievi di impronte digitali e soprattutto che tali rilevazioni non verranno estese in modo indiscriminato a tutti i bambini rom e che comunque tali operazioni verranno effettuate nel rispetto dei diritti dei bambini.

    Abbiamo invitato il Ministro Maroni ad un incontro – aperto anche ad altre Organizzazioni e operatori – per avviare un confronto su vari temi, in particolare sul ‘pacchetto sicurezza».

  5. Cristoforo Magistro

    Tutti sanno che la caratteristica del nazismo fu proprio l’applicazione di criteri scientifici nell’esecuzione di atti barbarici.
    Il punto è un altro: l’organizzazione su scala e con metodi industriali dello sterminio di milioni di individui aveva bisogno di esecutori deresponsabilizzati e “superficiali” nell’accezione che Hannah Arendt dà al termine. Un campione di tale superficialità fu senz’altro Otto Adolf Eichmann che nel corso del processo disse per difendersi che, in fondo, lui si era occupato “soltanto di trasporti”.
    Si ha qui una netta scissione fra azioni compiute e riflessione sui loro effetti. Per questo motivo “le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso”.
    Non ho sottomano i suoi testi, ma ho trovato su internet molte citazioni in tal senso.
    Ne riporto una scritta penosamente ma piuttosto chiara:

    “La percezione dell’autrice di Eichmann sembra essere quella di un uomo comune, caratterizzato dalla sua superficialità e mediocrità che la lasciarono stupita nel considerare il male commesso da lui, che consiste, nell’organizzare la deportazione di milioni di ebrei nei campi di concentramento. Ciò che la Arendt scorgeva in Eichmann non era neppure stupidità ma qualcosa di completamente negativo: l’incapacità di pensare. Eichmann ha sempre agito all’interno dei ristretti limiti permessi dalle leggi e dagli ordini. Questi atteggiamenti sono la componente fondamentale di quella che può essere vista come una cieca obbedienza. Egli non era l’unica persona che appariva normale mentre gli altri burocrati apparivano come mostri, ma vi era una massa compatta di uomini perfettamente “normali” i cui atti erano mostruosi. Dietro questa “terribile normalità” della massa burocratica, che era capace di commettere le più grandi atrocità che il mondo avesse mai visto, la Arendt rintraccia la questione della “banalità del male”. Questa “normalità” fa sì che alcuni atteggiamenti comunemente ripudiati dalla società – in questo caso i programmi della Germania nazista – trova luogo di manifestazione nel cittadino comune, che non riflette sul contenuto delle regole ma le applica incondizionatamente . Eichmann ha introdotto il pericolo estremo della irriflessività. Ma il guaio del caso Eichmann era che di uomini come lui ce n’erano tanti e che quei tanti non erano né perversi né sadici, bensì erano, e sono tuttora, terribilmente normali.

    In un trattato scritto per un dibattito su “Eichmann a Gerusalemme” nel Collegio Hofstra nel 1964, la Arendt ha affermato che banalità significa ‘senza radici’, non radicato nei ‘motivi cattivi’ o ‘impulso’ o forza di ‘tentazione’. La Arendt afferma inoltre: “la mia opinione è che il male non è mai ‘radicale’, ma soltanto estremo, e che non possegga né la profondità né una dimensione demoniaca. Esso può invadere e devastare tutto il mondo perché cresce in superficie come un fungo. Esso sfida come ho detto, il pensiero, perché il pensiero cerca di raggiungere la profondità, andare a radici, e nel momento in cui cerca il male, è frustrato perché non trova nulla. Questa è la sua “banalità”… solo il bene ha profondità e può essere integrale.”

    Tratto da: http://www.filosofico.net/are1njklasddt2.htm

    1. Ape Maya

      Esatto, è proprio a questo che mi riferivo nelle mie riflessioni. Il sistema nazista ha avuto modo di portare a compimento i suoi piani accuratamente studiati e logicamente giustificati perché contava sull’aiuto di chi era così “banale” (non per natura, ma perché reso tale) da eseguire i comandi senza chiedersi il perché e il come delle cose che succedevano purtroppo in quegli anni. La capacità di riflessione di chi era interno al sistema era stata completamente neutralizzata. Su queste basi ho affermato nel mio primo commento che non siamo per fortuna in un’epoca “banale”, proprio in virtù della nostra capacità di senso critico ancora attiva e della possibiltà ancora presente di dibattere sulle questioni quotidiane, politiche e non.

      L’obiezione sul nesso Maroni-superficialità si riferisce, invece, semplicemente al fatto che Maroni non è Eichmann, non è qualcuno che esegue un ordine, ma qualcuno che decide, che presenta una legge, che studia il contesto. E nel regime nazista chi decideva rifletteva anche troppo: tutto era fuorché “banale”. Tu stesso hai affermato l’effettività dell’ “applicazione di criteri scientifici nell’esecuzione di atti barbarici” a tal proposito. é su questa contrapposizione Chi decide/Chi esegue il fraintendimento. Spero di aver chiarito il mio punto di vista.

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