San Rocco e il ritorno al futuro.

Era il 20 Agosto del 2014 e faceva caldo. Due del pomeriggio, seguivo dalle retrovie l’ultimissima parte della processione del Santo Patrono che lo accompagnava al punto di partenza come succede ogni anno. Ero in Corso Repubblica e in quel momento della giornata non c’è più tanta gente,  pochi irriducibili accompagnati da stanchi e sudati musicanti cercano di fare l’ultimo sforzo per completare il percorso e non abbandonare il Santo prima del ritorno in Chiesa. Per strada si sente puzza di escrementi di cavallo, lasciati generosamente in giro durante la mattinata, ma vi si sovrappone il gradevole odore del pranzo della festa che giunge a tratti dalle finestre spalancate. Sudato per la precedente salita, abbeverandomi alla bottiglietta d’acqua oramai tiepida, penso che quello strano miscuglio per me significa casa.

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Il pranzo del 20 Agosto è probabilmente il più importante dell’anno, anche di quello di Natale e ogni montese interpreta il tema a modo suo.

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Accanto a me si avvicina un uomo, credo avesse passato i 60, e inizia a conversare del più e del meno ma soprattutto della Festa e di quanto lui tenesse a questa giornata. “Sono 12 San Rocco che manco da Monte”, mi dice rammaricato, come se avesse commesso un peccato mortale a saltarne anche soltanto uno, affidando allo scandire dei ‘20 agosto’ una sorta di nuova unità temporale che equivale ad un anno solare. Io non lo conosco ma lui sembra conoscere me e la mia famiglia, mi racconta che vive in ‘America’ in New Jersey e indicando un ragazzo affianco a lui asserisce fieramente “i miei figli devono conoscere la festa di San Rocco e quello che significa per i montesi”.

La processione accelera negli ultimi metri, tutti iniziano ad avere fame e con così poca gente ancora in giro non ha tanto senso mantenere il contegno delle grandi occasioni. Il corteo imbuca l’ultima stradina che porta alle scale della chiesa, percorre una piccola discesa a passo sostenuto ma non appena l’effige del santo arriva sul sagrato avviene qualcosa di strano che ho difficoltà a descrivere. Mi sono mantenuto a metà della stretta stradina e dalla mia posizione vedo praticamente tutte le persone che sono arrivate sino a questo punto. La statua del Santo, pochi istanti prima di spalle, viene fatta girare verso la gente come in una forma di saluto. Il vociare e i rumori si interrompono, cala un silenzio quasi sovrannaturale e i pochi presenti fissano l’ingresso della chiesa che fa da contorno alla statua. Qualcuno comincia a piangere. L’uomo con cui avevo conversato poco prima è tra questi e abbraccia il ragazzo che con una stretta vigorosa cerca di consolarlo. Passano pochi secondi, in cui il tempo sembra essersi fermato, e il flusso del corteo riprende scomparendo nel buio della chiesa. Sono impressionato dalla commozione a cui ho assistito ma probabilmente non ne ho colto fin in fondo il significato. Percorrendo la strada a ritroso torno verso casa a passo svelto, mi si avvicina il ragazzo e senza che gli chiedessi nulla quasi a voler giustificare quanto successo mi dice “mancava da tanto tempo e non sa fra quanto potrà tornare di nuovo, crede che questa potrebbe essere l’ultima volta che vede San Rocco”.

Mi dirigo verso casa pensando a tante cose ma la mia mente si sgombra grazie al pensiero del pranzo che mi aspetta. Il pranzo del 20 Agosto è probabilmente il più importante dell’anno, anche di quello di Natale e ogni montese interpreta il tema a modo suo. Mia madre segue scrupolosamente la tradizione e ogni anno si muove settimane prima per avere la carne giusta che farcirà con un ripieno la cui ricetta è tramandata da mia nonna. Per lei la festa è anche questo, cucinare per noi tutti.

Parlando nel tempo con amici di Monte ho spesso raccolto diversi ricordi sulla Festa che mi hanno fatto sempre riflettere. C’è chi racconta che da piccolo aspettava quei giorni per scorrazzare tra le immancabili bancarelle e farsi comprare inutili oggetti che finivano puntualmente nel dimenticatoio. Per qualcuno la festa era questo. Altri mi hanno raccontato la gioia di ascoltare i fuochi bianchi del 1° agosto mattina, botti che annunciano l’apertura ufficiale del periodo della Festa. C’è anche chi è affezionato alla gara del ‘tiro al carro’, l’asta che si svolge al 31 luglio e assegna il diritto di condurre il carro trionfale che sfila nel paese la sera del 20. Non c’è molto di romantico in questo, una volta obiettai, mi fu risposto che ognuno ha i suoi ricordi e se li tiene ben stretti.

Il legame dei montesi con la Festa del Santo Patrono ha origini molto differenti da persona a persona ed è facile comprendere che la religione centra solo in parte, anche per chi è credente e praticante. Gli eventi e i momenti che ognuno ricorda dipendono fortemente dalle esperienze personali, dal vissuto familiare e dalle proprie inclinazioni caratteriali. Tutti hanno stampato nella propria mente un particolare che lo connette in maniera viscerale al paese e contribuisce a creare un patrimonio comune che in qualche maniera forma una appartenenza. Qualcosa che supplisce a tutto quello che non è mai stato fatto per creare una identità, che sia culturale o sociale, religiosa o laica. La festa di San Rocco è forse l’unica cosa che accomuna i montesi, perché va al di là di tutto. Per questo motivo sono fermamente convinto che sia qualcosa da preservare e custodire, affinché fra cento anni sia ancora presente e mantenga la sua funzione. Questo non solo non è scontato avvenga ma, al contrario, c’è da impegnarsi seriamente per ottenerlo.

Il Comitato Feste patronali nel corso del tempo ha svolto il suo ruolo di organizzatore e grazie all’impegno disinteressato dei cittadini che lo hanno composto ha da sempre rappresentato un punto di riferimento. Per molti questo vuol dire automaticamente essere custode della tradizione e preservarla nel tempo, ma non è necessariamente così. Tutto dipende da come lo si fa e dagli obiettivi che ci si pone.

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La prassi e le consuetudini su cui la Festa Patronale si poggia sono ereditati da una società profondamente diversa, con un ordine di valori che ne garantivano il funzionamento.

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Il mondo è cambiato alla velocità della luce e solo gli ingenui possono pensare che non serva attrezzarsi adeguatamente per non lasciarsi travolgere da esso. La prassi e le consuetudini su cui la Festa Patronale si poggia sono ereditati da una società profondamente diversa, con un ordine di valori che ne garantivano il funzionamento. Alcune cose non c’era il bisogno di dirsele e le celebrazioni in onore di San Rocco erano perfettamente in linea con la vita di tutti i giorni. Nel 2019 statue, processioni, cavalli, confraternite, sono una eco della storia, un richiamo del passato e non si innescano automaticamente nelle nostre vite. Tutto ciò va orchestrato sempre meglio e preservato in maniera opportuna per evitare che la modernità spazzi tutto via. Tutto ciò è compito della comunità montese e il Comitato ha la missione di guardare lontano e non fermarsi a scegliere la banda o il cantante del 21 agosto. Bisogna rivedere profondamente lo statuto del Comitato Feste, la festa patronale appartiene al popolo montese e a nessun altro. Le istituzioni civili e religiose devono dare il loro supporto nelle loro rispettive prerogative, ma non possono più essere i decisori né coloro che hanno il compito di guardare al futuro. Non è nelle loro corde né nei loro obiettivi.

Il 20 agosto 2018 è avvenuto qualcosa che mi ha fatto riflettere e credo dimostri come sia urgente difendere la Festa patronale. Era tarda sera e il corteo del carro trionfale stava percorrendo gli ultimi tratti, era in Piazza del Popolo e si accingeva a fare la curva per tornare verso piazza Roma. Il clima era festoso e l’umore era alto, la gente era rapita dal momento e tutti erano su di giri. Il carro trionfale affronta l’ultima curva, quella adiacente direttamente alla porta Sant’Angelo. La manovra è leggermente più ampia e uno dei cavalli va a finire in mezzo alla folla. Un ragazzo molto giovane riceve un pestone dallo zoccolo del cavallo e grazie al cielo tutto finisce solo con una gran paura e una medicazione da parte della solerte Anpas. Non ci sono state ripercussioni successive. Ma se le cose fossero andate diversamente? Il sospetto che davanti ad un episodio importante il sistema andrebbe in crisi è molto forte. Nel dopo guerra nessuno si sarebbe mai sognato di contraddire il prete, il dottore e il farmacista. Quella società non c’è più e i riti in onore di San Rocco vanno tutelati in un ottica moderna. Bisogna essere lungimiranti e capire come portare la Festa Patronale nel futuro. Serve valutare la sostenibilità della Festa, servono programmi a 5/10 anni, contratti più favorevoli, trasparenza di gestione, formule che salvaguardino il territorio, pensare ad una fondazione, digitalizzare le informazioni per permettere pianificazione. In poche parole serve una gestione.

Sono certo che i componenti del comitato sono animati dalle migliori intenzioni e si impegnano tanto affinché noi tutti possiamo godere della festa ogni anno. Temo però che non ci sia consapevolezza delle sfide che devono affrontare né degli strumenti che serve mettere in campo. E’ compito dei giovani darsi da fare e caricarsi di questo impegno, dei meno giovani di salvaguardare le tradizioni e tramandarle.

Se andiamo avanti in questa maniera, navigando a vista, è molto probabile che San Rocco 2030 non sarà festeggiato e il 20 Agosto del 2050 davanti alla Chiesa Madre ci sarà un uomo che racconterà a suo figlio la storia di una festa Patronale che non c’è più.


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