Vivere e lavorare al Sud: quale libertà?

Spesso si sentono una marea di luoghi comuni sul modo di vivere al sud. La mentalità è ristretta, la raccomandazione và per la maggiore, il livello culturale medio è basso, ed altre classiche affermazioni. Quanto di tutto ciò è vero? Quanti dei mali del sud dichiarati sono riscontrabili nelle esperienze di ogni giorno? Ovviamente non ho la presunzione di fare un’analisi esaustiva dell’annoso problema. Né tanto meno di proporre soluzioni. Il mio intento è solo quello di porre l’attenzione su di un elemento fondamentale che a mio parere ha influenzato il tessuto economico sociale del nostro sud. In particolar modo della nostra amata Lucania (il nome “Basilicata” non ci piace proprio). Sto parlando dell’intera classe politica e dirigente, e del modus vivendi che ha diffuso nella popolazione.
Ma prima di sparare a zero o fare illazioni, voglio partire da brevi esperienze di vita e dati facilmente riscontrabili. Credo che molti si ritroveranno nelle mie parole, e altrettanti spero siano d’accordo con la semplice conclusione a cui sono giunto.
Sono un giovane laureato, e sono reduce dalla estenuante e avvilente ricerca del tanto sospirato “primo lavoro”. Tale condizione mi ha fatto prendere coscienza (in maniera diretta e indiretta) del fatto che i famosi luoghi comuni sono tutta altro che infondati. Il muro contro cui ci si scontra è la mancanza imbarazzante di possibilità. Eppure la mia laurea tecnica (ingegneria elettronica) dovrebbe permettermi di lavorare quando e dove voglio. Figuratevi cosa succede per lauree in settori, diciamo, più saturi (ho molti amici laureati in materie umanistiche che, se è possibile, sono in situazioni ben peggiori). Tali considerazioni penso siano condivisibili, ma allo stesso tempo suonano assurde. Infatti se si ha un po’ di conoscenza del territorio è palese il fatto che in Lucania e dintorni c’è da fare tutto. A partire dalle infrastrutture, strade e servizi fondamentali, sino ad un ammodernamento delle reti di comunicazione tra aziende, enti e cittadini. Per non parlare della incapacità di sfruttare le risorse naturali. Parchi e riserve sono abbandonati a loro stessi, nella desolazione più completa. E cosa dire delle punte di diamante della nostra regione: petrolio ed acqua? Finite nelle mani di ottusi burocrati e svendute al solito “sciacallaggio” delle multinazionali.
Cosa rimane da fare per un giovane in cerca di lavoro? Le strade sono due: il pubblico e il privato. Purtroppo non c’è molta differenza tra i due ambiti, almeno nel risultato finale. Entrambi sono ormai corrotti da un clientelismo sfacciato dove sua maestà “RACCOMANDAZIONE” regna sovrana. E’ cosa risaputa e comprovata che la quasi totalità dei concorsi pubblici sono come il festival di Sanremo: si sa già chi vince. Una volta ciò poteva essere tollerato, visto che le cose andavano meglio. Oggi tale atteggiamento è insostenibile. Le aziende non danno meno delusioni: invischiate in clientelismi politici per accaparrarsi i più succulenti appalti pubblici. Se riesci ad entrarvi sei comunque sfruttato, sottopagato, ed hai possibilità di crescere pari a zero. Hanno piegato a loro vantaggio la formula dello stage aziendale: non per favorire l’inserimento, ma per campare di stagista in stagista a 300 euro mensili (quando va bene).
L’intera situazione economico sociale sembra regolata da un meccanismo ormai perverso e irreversibile. Un meccanismo che influenza qualsiasi sfera della vita sociale. Sopravvivono e si consolidano privilegi e vassallaggi di memoria feudale. Esistono “i pochi” che muovono le fila e una fitta rete di domini e caste chiuse, dove le regole per appartenere a tale mondo sono obbedienza e servilismo. Intendiamoci la mia critica non è di parte. Le colpe sono assolutamente trasversali a tutti gli schieramenti politici. La situazione in cui versa la nostra terra e tutto il mezzogiorno d’Italia dimostra che l’intera classe dirigente degli ultimi 40 anni ha fallito in pieno. Terra di conquista di uomini imposti dalle direzioni nazionali o venduta dai nostri stessi conterranei: questa è la triste sorte toccata alle nostre regioni. Le politiche adottate sono state fallimentari. Non si sono compresi i reali problemi o si era incapaci di dare soluzioni? Temo non sia né per uno né per l’altro. Temo che i problemi non si vogliano affatto risolvere. Temo che un popolo con forti problemi sociali ed economici sia più facile preda di promesse elettorali. Temo che un popolo che non ha lavoro sia facilmente vittima di clientelismi. Temo che la profonda crisi in cui versa il Sud faccia comodo a tanti politicanti e faccendieri.
E si perché altre spiegazioni sembrano non esserci. Perché non si capisce come si faccia sempre a sbagliare strada! Come si faccia a non prendere esempio da tante realtà sane che ci circondano in Italia e in Europa. Come si fa a non prendere esempio dall’Irlanda. Con le dovute proporzioni la situazione irlandese era molto simile a quella del mezzogiorno. Bassa densità di popolazione, economia basata su agricoltura e pastorizia, aziende allo stato embrionale, forte tasso di emigrazione. Erano anche loro nel famoso “obiettivo uno” dell’Europa, come molte zone del meridione. Oggi l’Irlanda ha una crescita spaventosa. Dublino è la nuova frontiera d’Europa. Le aziende di tutto il mondo fanno a gara per andare ad istallarsi nell’isola. Perché? Hanno per caso messo in piedi una marea dei nostri tanto amati corsi di formazione? Hanno sperperato i fondi CE in appalti per strutture inutili? Hanno costruito cattedrali nel deserto al solo scopo di allargare il consenso nella cabina elettorale? No. Non hanno fatto niente di tutto ciò. Il rilancio si è basato su tre punti fondamentali. Costruzione di infrastrutture strategiche. Azzeramento delle tasse per qualsiasi azienda che investiva per almeno dieci anni. Burocrazia snellita per imprenditori e dipendenti. E voilà il gioco è fatto! Sembra tanto difficile? Certo, molti potrebbero controbattermi che per esempio la Lucania, come altre zone, sono ormai fuori dall’obiettivo uno. Mi potrebbero portare dei resoconti di come è in rilancio la regione e tutto il sud Italia. Potrebbero seppellirmi di indici che mi dimostrino come si è avuto un netto miglioramento nell’ arco del proprio operato. Voglio vedere se sono in grado di affermare i loro finti risultati guardando negli occhi i nostri nonni. Uomini che sono emigrati per lavoro. Che hanno visto emigrare i loro figli per lo stesso motivo. E ora vedono emigrare i loro nipoti. Sembra non essere cambiato nulla. Si è solo passati dalla valigia di cartone al trolley. Cerchiamo di usare la testa e il buon senso. Non ci facciamo plagiare da spot propagandistici che annebbiano la mente. Non ci facciamo coinvolgere in ceche appartenenze di partito. Non ci immergiamo in una dimensione calcistica, dove il tifo ci fa negare l’evidenza. Tirando le somme la verità è una sola. Ogni anno vanno via dal Sud migliaia e migliaia di giovani. Sono dati inconfutabili che non ammettono “ma…” o “però…”. Sono dati che confermano e gridano a gran voce il malessere di un popolo. Dall’altre parte abbiamo politici, burocrati, amministratori e dirigenti (comunque la matrice è comune), che non se la passano per niente male. E’ di un anno fa circa un’inchiesta del Corriere (magari in futuro fornirò al giornale un indicazione per consultare l’articolo) che parlava degli stipendi d’oro dei dirigenti pubblici. Cari lettori in questa triste classifica i primi quattro posti erano riservati a Puglia, Campania, Basilicata e Calabria. Si parlava di migliaia di euro mensili per cariche spesso formali e sommate su poche persone. C’erano addirittura i nomi di una serie di personaggi che percepiscono stipendi da capogiro per commissioni, comitati e presidenze del tutto inutili. Ma chi sono questi individui, che competenze hanno? Con quali diritti godono di privilegi? Spesso è gente incompetente che ne sa quanto se non meno di noi. E’ la gente che ha passato anni nelle sezioni di partito ad imparare come funziona la giostra. E’ gente che ha sempre succhiato dalle fonti statali appena ne ha avuto l’opportunità. E purtroppo è la stessa gente che ci prende in giro nelle campagne elettorali. Che sale sui palchi e mobilita la popolazione dietro ideali di comodo. E’ la stessa gente che si riunisce nei consigli provinciali e regionali per aumentare, ovviamente all’unanimità, i propri stipendi. E’ la stessa gente che ha venduto la propria terra per gli interessi personali. Dobbiamo aprire gli occhi e capire che “la giostra” gira sempre per gli stessi. Dobbiamo realizzare che non vale più la pena affidarsi ad una classe politica e una schiera di bandiere che ci hanno tradito. I fatti parlano. Dobbiamo affrancarci dalla dipendenza verso queste persone. L’invito è rivolto soprattutto ai giovani, alle nuove generazioni. Non diventiamo le pedine di un gioco tristemente noto. Quel gioco in cui la nostra libertà è completamente annientata e subordinata all’arroganza di chi ha un briciolo di potere. Quel gioco in cui ci tengono a galla con piccoli contentini di modo da tornare sempre dal padrone ad elemosinare la prossima dose. Un patriota americano scrisse “Non chiedetevi ciò che il paese può fare per voi, ma ciò che voi potete fare per il vostro paese…..!”. Queste sono le parole da urlare ai nostri capi. Questo è il motto che deve animare le nostre azioni. Liberiamoci dal vassallaggio e dalla sudditanza. Noi giovani del sud abbiamo qualità da vendere. Se vogliamo possiamo realizzare qualsiasi cosa. Perché dobbiamo essere imbrigliati in giochi di potere? Perché dobbiamo essere limitati dalla militanza politica? Scrolliamoci di dosso questa eredità e ricordiamo una cosa fondamentale. Se le cose iniziano ad andare per il verso giusto non avremo più bisogno di loro. Di supplicare alle loro porte. Di aumentare la loro influenza. Di vedere assottigliarsi la nostra libertà di agire. So che la sfida è forte. So che gli equilibri da sovvertire sono pesanti. Ma dobbiamo provarci. Qualcuno ci ha già provato. E’ tristemente nota la vicenda del professore e filosofo calabrese Vattimo (cercherò di fornire notizie in futuro per chi non la conoscesse). Tornato nella sua terra ha voluto cambiare le cose. Ma si è scontrato contro il sistema, contro i cari e vecchi privilegi. E’ stato osteggiato e calunniato da gente della sua stessa aria politica, che vedeva in pericolo le proprie prerogative. Nonostante il fallimento di Vattimo, è questo l’esempio da seguire. Questi sono i nuovi eroi dietro i quali schierarsi per ridare dignità alla nostra gente. Liberiamoci dalle catene che ci legano a questi schemi e a certi falsi paladini. Ripartiamo dalle nostre reali capacità.
Dipende da noi.


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3 Commenti

  1. SpigaVacand

    …condivido il tuo intervento dalla prima parola all’ultima, ed inoltre questi sono concetti ke ripeto ad amici da tantissimo tempo senza però avere i risultati sperati…quì ci si accontenta di 3 mesi alla Cirio, 4 all’ospedale e 5 all’Aquedotto…e finchè continueremo ad accontentarci…camba cavallo che l’erba cresce !!!!!

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