Natale 196…

Natale 196…

 

Non chiedetemi l’anno, perché proprio non lo ricordo. D’altronde che importanza ha, gli anni sono tutti uguali, un po’ più belli, un po’ più brutti, dolorosi o felici. La differenza tra un anno e l’altro è che diventavo sempre più grande e vedevo le cose in modo diverso. Il Natale… oh! Sì che l’aspettavo, erano giorni importanti, diversi, magici, erano i giorni da trascorrere tutti insieme in famiglia senza il pensiero della scuola.

Non ci sono mai stati lunghi preparativi, né dolci speciali, ma c’è sempre stata una lunga attesa. I miei genitori ritornavano per 15 giorni a casa dalla Svizzera e, noi finalmente, ritornavamo tutti a casa nostra e non più dai nonni. le mie lunghe lettere scritte per far rientrare i miei, avevano un seguito.

Era quello il nostro regalo.

La nostra casa, a piano terra, era come quella di tutta l’altra gente semplice come noi. Due camere comunicanti, divise da un tramezzo non a tutta altezza, in modo da far passare luce e aria, un ingresso-cucina-pranzo la prima, una camera da letto per genitori e figli la seconda, oltre ad un piccolissimo wc.

La potevi percorrere mille volte al giorno, ogni angolo ti apparteneva e custodiva sempre un piccolo segreto.

Ci giocavamo anche a nascondiglio e, non so come, spesso non ci trovavamo.

La cosa che non mi piaceva del Natale, era cambiare letto. Sì perché mentre durante l’altro periodo dell’anno dormivamo nel lettone, sul quale mi piaceva saltare sempre più in alto, in quel periodo, ci dovevamo spostare in una branda ad una piazza e mezza, che allungavamo con una tavola da mettere ai piedi per poter dormire tutte e tre. La cosa bella di quella branda è che aveva il materasso fatto con le foglie di granturco e, ad ogni piccolo movimento, si sentiva sempre rumore.

Finalmente arrivava il giorno in cui si doveva andare a Bari a prendere i nostri genitori e, nonostante il mal d’auto, dopo una serie di capricci, riuscivo a salire all’ultimo momento in macchina, obbligandoli, poi, a fermarsi più volte durante il tragitto.

A casa, era tutto normale, un piccolo albero finto c’indicava l’arrivo del Natale.  Palline di vetro rosso, giallo, arancio e fili dorati lo ornavano, ma, all’arrivo dei miei avremmo appeso pupazzetti, babbo natale, pacchettini di cioccolata che, ogni mattina diminuivano, senza che mai nessuno sapesse qualcosa.

Il camino era acceso e mio padre ci raccontava del suo lavoro, dei suoi sacrifici e di quelli che avremmo dovuto fare noi, per riuscire a costruirci una casa più grande e poter andare tutte a scuola.

Ci raccomandava d’essere rispettosi con i nonni e di ubbidire, e di fare qualche piccola rinuncia. E, di rinunce ne abbiamo fatte tante, ma abbiamo fatto finta di non vederle.

Ora è tardi, tutti a dormire. Era davvero difficile dormire in quel letto con la paglia nel materasso e, io che ero la più piccola, al centro.  Allora via, alzavo le coperte con le gambe e poi le facevo ricadere, un vento gelido, nella casa già fredda, ci sfiorava tutte. Dopo alcune volte ci addormentavamo. Il freddo continuava e, rannicchiate, con le babbucce ai piedi che strofinavamo fra loro, sentiamo una voce che ci chiama. E’ nostra madre. E’ mattina. Si sente la puzza del braciere acceso. Vuole farci vedere qualcosa. Spalanca con difficoltà la porta e… di fronte a noi un muro tutto bianco. Era proprio quello che ci voleva. Ma come fare per uscire? Non si vedeva proprio nulla. La neve mi è sempre piaciuta. Mi sono sempre soffermata a guardarla quando cade lieve sulla terra, i suoi fiocchi piccoli, grandi, soffici, che svolazzano nell’aria per poi posarsi lentamente mi danno un senso di pace, di tranquillità. Mi fanno pensare ad un mondo diverso fatto d’amore e di mani tese verso gli altri. Il problema ora diventava davvero difficile, come fare per poter uscire e trovare le amiche vicino di casa? Semplice, ci armiamo di pale e palette e via tutti a spalare neve e realizzare strade di collegamento tra le varie case. Era proprio il nostro giorno. Un pupazzo di neve ci chiedeva di venir fuori. I guanti erano ormai bagnati, ed anche gli scarponcini, le gambe infreddolite, il naso rosso, le mani vicino alla bocca per riscaldarle con il fiato e continuare il nostro pupazzo. Alla fine lui era pronto e noi bagnate, ma la quiete e la spensieratezza della nostra età ci facevano passare in secondo piano tutto il resto. In fondo noi non abbiamo mai chiesto regali al Natale diversi da quelli che abbiamo avuto. Una famiglia che si riuniva insieme e la gioia di una tranquillità che forse noi bambini credevamo di avere, ma, era la nostra speranza, ci aiutava a credere e ad andare avanti. Non avevamo bisogno di pranzi speciali, di regali speciali, non ne conoscevamo l’esistenza; il nostro Natale, era la nostra famiglia.

L’indomani, avrei messo la letterina sotto il piatto e, la sorpresa sul volto di mia madre e l’incredulità di mio padre nell’alzare il piatto, mi avrebbero ripagata di tutti quei giorni trascorsi senza di loro. Buon Natale 196.,  Ai miei genitori. Cominciava così la letterina nella quale promettevo di essere più buona, più brava, più studiosa, di non far arrabbiare né la mamma, né il papà e né i nonni. Promesse, auspici … la vostra affezionatissima figlia. Era l’ora di avere qualche meritato soldino, che avrei consumato per acquistare subito delle caramelle o cioccolatini.

Sono ricordi di un’infanzia vissuta nella semplicità di una vita se pur difficile e piena d’ostacoli, che custodisco gelosamente nel mio cuore e nella mia mente. E, tornando indietro, mi sento colma di tutto l’affetto che quei giorni e quelle persone mi hanno trasmesso con la loro vita di stenti e sacrifici.   

  

    

 


Commenti da Facebook

6 Commenti

  1. Cristoforo Magistro

    Cara Pebaf,
    ho letto solo adesso il tuo racconto di Natale e mi è piaciuto moltissimo.
    Dovremmo essere più o meno coetanei e conosco un po’ anche io le situazioni legate all’attesa di un genitore emigrato, l’atmosfera delle case piccole e fredde, il peso psicologico che gravava sui giovani che sapevano che i loro studi erano pagati dalle fatiche e dalle umiliazioni di un padre o, come nel tuo caso, di entrambi i genitori emigrati.
    Anche per questo sono stato felice di verificare attraverso la limpidità formale e di contenuto del tuo racconto che certe sensazioni e stati d’animo che erano per qualche aspetto il rumore e il colore di fondo degli anni sessanta non sono il frutto della mia fantasia.
    Vivissimi complimenti quindi e … scrivi ancora.
    Per quello che può valere sappi che ti leggerò sempre con piacere.

  2. nemesi

    davvero bello…

    leggere queste righe trasmette un senso di calore…affetto…semplicità!

    con la speranza che queste componenti possano appartenere anche al Natale 200……mi complimento con te pebaf!

    1. falco

      Caspita!

      Sicuramente sarai una mia coetanea e con questo tuo racconto realmente accaduto in tante e tante famiglie, anche se non mi è capitato direttamente mi hai fatto rivivere le situazioni di miei amici e compagni di scuola.

      Genitori emigrati all’estero che approfittando del rientro venivano a scuola a parlare col maestro per sapere del proprio figlio.

      Che tempi ragazzi!!

  3. pebaf

    Sono davvero contenta delle vostre parole e vi ringrazio. In particolare voglio ringraziare Cristoforo, perchè un complimento fatto da lui mi riempie di immensa gioia. E’ stato solo un piccolo momento in cui ho avuto l’irrefrenibile voglia di scrivere qualcosa, nella mia semplicità,  tralasciando i miei lavori in cucina, stavo lavando i piatti. Mi avrebbe fatto piacere che qualcun altro avesse accolto l’invito di raccontare il suo natale per capire cosa stava succedendo negli anni ma, penso,  si possa sempre continuare a raccontarci i nostri momenti. Ringrazio sinceramente tutti coloro che fanno parte di questa comunità perchè il loro è un modo, diverso,  di tener vivo il nostro paese con la speranza di riuscire insieme a costruire qualcosa di positivo.

    P.S. aspetto la maglietta perchè la voglio indossare.

    Grazie pebaf

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