Università al sud: riscatto sociale o retaggio del passato!

Buon pomeriggio,

eccoci ancora qui a parlare di Università. Ma non voglio parlare di Atenei, corsi di laurea, insomma di tecnicismi…..vorrei fare con voi qualche riflessione sul significato sociale ovvero: cosa significa andare all’Università? Come è percepito il tutto nelle famiglie, nella società, fra i giovani?

Riflettevo su questi argomenti leggendo qualche giorno fa i commenti di chi diceva che da noi esiste ancora il famoso vanto del genitore che DEVE dire che il figlio frequenta un ottima Università, in una città del Nord (quindi implicitamente migliore), che si trova benissimo anche se studia tantissimo…e naturalmente è uno dei migliori (…..che fine hanno fatto i peggiori non si è capito..??!!!??).

Questo è ancora un retaggio diffuso al sud e nel nostro paesino?? 

Inoltre, ammesso che il genitore abbia questo modo di pensare, il figlio come si pone davanti a questo attegiamento??

Qualcuno dice che sono favole, che è un luogo comune, ma l’altro giorno ho letto un articolo che mi ha dato la certezza che non si tratta di uno scenario così lontano dalla realtà.

Accade a Siena, una ragazza della provincia di Matera come tante che frequentano gli atenei sparsi per l’Italia. Le cose forse non andavano al meglio con gli studi, così inizia a mentire ai genitori sulla sua carriera universitaria. La menzogna non dura in eterno e finisce in tragedia. Il padre e il fratello si trovano a Siena un bel giorno perchè la ragazza doveva laurearsi con il percorso dei tre anni. In realtà è tutto finto, e avviene il tragico epilogo.

Lei aveva sul libretto pochi esami e per la vergogna di confessarlo…….si impicca.

Scusate se ho riportato un episodio così macabro che può aver turbato chi legge, ma a mio avviso è un episodio forte che ci fa capire che ci sono ancora forti tensioni e meccanismi perversi nella società che portano le famiglie a essere schiave dei "modelli" presunti vincenti. Il genitore vuole PER FORZA che il figlio si laurei, il figlio non ha le capacità o la voglia e si innescano una serie di meccanismi fortemente negativi. Ma anche i figli possono a volte diventare vittime di se stessi, incapaci di "pesarsi" e capire il proprio valore, imbevuti di erronea competizione con l’amico c con chissà chi. D’altronde è costume italico-meridionale bardare portoni e bigliettini con titoli vari…..perchè se davanti al nome lasci un semplice Sig. non sei nessuno. Peccato che in molti ambienti che "contano" (in Europa e nel mondo) tutti si chiamano per nome e chi mostra il titolo è giudicato esibizionista o cafone. Se "da noi" non è così ci sarà un motivo, no??

Qui le riflessioni possono essere tante, sarebbe interessante ascoltare il parere di qualche genitore o di chi ha avuto esperienze particolari riguardanti la corsa alla tanto sospirata laurea. Daltronde ricordo di aver già sentito in giro la storia dello studente che mente sul proprio percorso di studi sino al giorno della finta laurea (…senza il tragico epilogo però), ma ero convinto si trattasse di leggende metropolitane.  

Nei vari paradossi di cui vive il sud sicuramente l’argomento "laurea" è uno di quelli che rapidamente si è radicato in schemi ancestrali, diventando emblema di successo e di rivalsa scatenando quindi tutti i conflitti tipici di una società come la nostra che non fa mai i conti con se stessa.

Leggevo qualche tempo fa che lo studente è la categoria mediamente più "stressata", anche più di manager di multinazionali. Perchè? Ci sarà un motivo.

Il modo di pensare che c’è dietro alla frase "mio figlio è Dottore!!!" influenza ancora il tessuto sociale?? Non credete sia ora di liberarsene??


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