Per la giornata contro l’omofobia. Storia di Elio

  1. La questura di Firenze si interesserà per la prima volta a Elio il 28 Ottobre del 1936 manifestando subito un certo accanimento nei suoi confronti. Soprattutto per costringerlo a fare rivelazioni su un personaggio della scena cittadina: “il noto pederasta M., col quale ha condotto vita in comune”.

All’epoca il giovane ha 21 anni e, nel corso di una perquisizione la polizia trova una lettera speditagli da Parigi da un certo Roger che contiene particolari sul loro rapporto e una banconota da cento lire.

Sottoposto a pesanti interrogatori e costretto a dire ciò che si vuole sapere da lui, il 28 dicembre, con procedura d’urgenza, sarà condannato a quattro anni di confino.

Confinato politico. La sua colpa è l’essere “diffamato dalla voce pubblica” quale psicopatico sessuale e quindi “moralmente pericoloso alla società ed alla sicurezza pubblica”.

Destinato in un primo momento a Seulo, in Sardegna, sarà poi trasferito ad Accettura, in Basilicata.

Circondata da boschi e abitata da pastori e carbonai, Accettura era fra i paesi più poveri e isolati di una regione povera e arretrata. Tanto da essere individuata come destinazione ideale per gli zingari, una categoria di confinati difficile da collocare altrove.

Poteva quindi andare bene anche per un soggetto come Elio.

Ma Accettura non si rivelò l’infernale Caienna cui le autorità pensavano di averlo destinato.

Elio è ceramista e il signorotto del luogo ne approfitta per fargli fare qualche lavoretto di  restauro nel suo palazzo, il più antico e bello del paese. Già questo rapporto lo colloca su un piano, per così dire, di rispetto nella comunità, ma è soprattutto la simpatia che incontra fra la gente a rendere il suo soggiorno meno penoso del previsto.   

I lucani accolsero in genere i confinati con umanità e calore. Non per astratta bontà, ma per solidarietà. Molti avevano conosciuto di persona l’esilio dell’emigrazione, tutti avevano qualche congiunto in qualche parte del mondo.

Fu così che in molti paesi di confino nacquero amori che si conclusero in qualche caso con il matrimonio. Più spesso si ebbero tresche, pettegolezzi, gelosie e qualche incidente.

Suscitavano interesse soprattutto gli esiliati – così infatti, racconta Levi, erano spesso chiamati – di città poiché rappresentavano la modernità, un’illusione di fuga dal cono d’ombra del campanile, il sogno di una vita altra.

Ed Elio incarnava tali sogni.

Non aveva nulla da invidiare ai più celebrati divi dell’epoca e del divo aveva l’aspetto curato e l’eleganza. “E’ il più elegante – annotano i carabinieri a qualche mese dal suo arrivo- : ha con sé tre abiti e non manca di fare sfoggio con l’indossarli a più riprese”. Ha acquistato un paio di scarpe spendendo 80 lire e “proprio ieri – aggiungono- si stava comprando una cinghia per pantaloni e che pattuiva, niente po’ po’ di meno per lire 40”. E ancora: “si permette il lusso di sorbire, come s’è avuto agio di constatare, due uova al mattino e la zuppa di latte la sera”.

La sua foto segnaletica ci mostra infatti, ad onta della circostanza in cui era stata fatta, un giovane dal sorriso aperto; probabilmente quella era la sua espressione naturale.

Buon carattere, prestanza, eleganza, un non so che di esotico, rendono questo fiorentino assai popolare nel paesino.

Troppo popolare per i due carabinieri della locale stazione che infatti scrivono: “dal giorno del suo arrivo non ha tenuto una spiccata buona condotta”.

Cosa ha fatto precisamente? “Lo si è visto spesso in giro per il paese in compagnia di giovinastri; lo si è visto finanche trattenersi in qualche esercizio pubblico”.

Tanto basta per una prima diffida.

“Da allora, prosegue il rapporto, mentre nel pubblico ha dimostrato buona condotta ha preferito accarezzare le sue abitudini nella propria abitazione dandosi convegno con i suddetti giovinastri e qualche volta consumando in compagnia di essi delle fugaci cenette”.

La cosa non può più essere tollerata e perciò appena sanno di un’altra sua cena, vanno ad arrestarlo. Per contravvenzione al sesto capoverso dell’art. 186 del testo unico di pubblica sicurezza che prescrive “di tenere buona condotta e di non dar luogo a sospetti”.

L’atto sembrerebbe formalmente ineccepibile poichè loro i sospetti li hanno.

Sottoposto a giudizio, Elio sarà però assolto poiché fra i suoi obblighi non c’è il divieto di cenare in compagnia; d’altra parte – recita la sentenza- “quel che si accingesse poi a fare si suppone, ma non si può dare forma alle supposizioni né punire per un delitto potenziale” .

Contro il verdetto interviene il questore chiedendone la riforma, ma il procuratore del re gli spiegherà che non si può produrre appello in materia di contravvenzioni.

Per i carabinieri di Accettura l’assoluzione sarebbe stata per Elio “un incitamento a ripetere gozzoviglie senza che l’Arma potesse fargli nulla”. Di questo si sarebbe vantato con gli amici e per festeggiare avrebbe organizzato quella sera stessa una cena.

Ciò gli costerà una nuova diffida, fatta, si tiene a precisare, “non certo con le buone” per avvertirlo che quella sentenza “non ostacolava per nulla quest’Arma a procedere nuovamente al suo arresto”.

In ogni caso “Da quella sera quest’Arma non gli ha dato modo neanche di respirare, costringendolo con diverse visite, in diverse ore, anche di notte inoltrata, ad osservare scrupolosamente gli obblighi”.

Si può non credere a un carabiniere che parlando a nome dell’intera Arma dichiara con tanta franchezza al questore il proprio modo di operare?

E che, temendo che il destinatario di tanto zelo possa sfuggirgli, avverte: “Questa assidua vigilanza non tanto piace a …: egli presagendo un secondo arresto, non troppo lontano, o forse vedendosi vigilato in tal modo da non poter più abbandonarsi alle gozzoviglie, ha scelto la via, secondo lui, migliore: il trasferimento per motivi di salute.

A meno che il sanitario non gli riscontri mali interni, …gode ottima salute…

Il movente, secondo quest’Arma, va ricercato esclusivamente al fatto dell’assillante vigilanza da cui vorrebbe liberarsene (sic) trasferendosi altrove.”

Per una volta i sospetti si riveleranno fondati poiché, sottoposto a visita sanitaria, a Elio non sarà riscontrato nessun male.

Gozzoviglie, chiassose e intemperanti baldorie secondo i dizionari, è questo il termine ripetuto ossessivamente in relazione alle cene che Elio farebbe con qualche amico. Ma l’unico episodio di gozzoviglia scoperto era stata una cena a tre in cui si era consumato un litro di vino e un chilo di pasta.

Si è già visto che cenare in compagnia non era stato considerato una violazione degli obblighi imposti dalla carta di soggiorno. Ma, incuranti della legge e spalleggiati dal questore, i carabinieri continuano a perseguitarlo per lo stesso motivo: le presunte gozzoviglie.

Per farsi un’idea delle condizioni in cui i confinati si venivano a trovare, bisogna tener presente che, fatta eccezione per chi disponeva di buoni mezzi come il medico Carlo Levi e qualche mafioso di spicco, questi alloggiavano in stanze di un solo vano, spesso senza finestre e quindi avevano bisogno di stare, quando la stagione lo consentiva, fuori casa. Come d’altronde faceva la popolazione locale, ma questo non era loro consentito. Questi alloggi di fortuna spesso non avevano un focolare, ma i confinati non potevano trattenersi al calduccio in qualche cantina come gli uomini del posto. Erano obbligati a darsi a “stabile lavoro”, ma lavoro non ce n’era. 

Dalla lettura della documentazione si nota un particolare accanimento da parte di uno dei due militi della locale stazione. Non è il solo appartenente alla Benemerita a complicargli la vita in questi mesi: “Non capisco, Elio – gli scriveva un’amica in quei mesi, preoccupata per il suo silenzio-, forse l’amicizia con quel carabiniere che Eugenio mi scrisse. Mi raccomando Elio, come una tua sorella, anzi come la vera madre, sii buono e sappiti dominare.”

È noto che una delle cause dell’omofobia è la paura del “contagio” da parte di chi non è sicuro del proprio orientamento sessuale.

E fu il terrore del “contagio” che Elio poteva diffondere a sollevare dicerie e preoccupazioni sulla natura dei rapporti che questi aveva con i giovani del paese.

Dopo aver creato l’allarme è però la stessa arma locale ad escludere che sia accaduto alcunché di male: “Diverse e non una soltanto sono le relazioni amorose che ha tentato di coltivare anche con minorenni del luogo: ma invano. Diverse, per contro, sono anche le ragazze del luogo che gli corrono dietro per la sua prestanza fisica, il comportamento ed il lusso.

La sua presenza in Accettura, le sue mosse, il suo comportamento se pur non ha degenerato (sic) lagnanze da parte di padri di ragazze da lui pretese in fidanzamento, sta seccando un po’ troppo la pazienza di diversi.”

A conclusione di questa, già poco coerente, informativa si legge infine: “il suo debole è la donna, forse anche la pederastia: occorre senz’altro sia trasferito in altra sede per evitar un qualsiasi sicuro inconveniente.”

Il 19 luglio è il prefetto a chiederne il trasferimento. Andrà a Banzi, una località ancora più piccola di Accettura, dove, si dice, potrà essere meglio sorvegliato.

In questo centro famoso per le  tavolette in bronzo (le Tavole Bantine) che riportano in lingua osca e latina il principio secondo cui chi governa deve agire “per il bene pubblico e non per il favore o l’odio contro qualcuno”, Elio troverà un ambiente più sereno e, si presume, tutori dell’ordine più rispettosi della legalità e immuni dal veleno del pregiudizio.

Ci vivrà miseramente e dovrà ricorrere all’aiuto dei genitori per sopravvivere. Non riesce a trovare lavoro e, inoltre, non ha più da pensare solo a se stesso.

Ad ogni modo considerando la sua condotta, il locale brigadiere si dirà favorevole al condono del residuale periodo di confino.

Lascerà Banzi il 15 ottobre del 1939.

Lo accompagna la moglie, una ragazza del luogo di disagiate condizioni economiche.

Sarà stato il matrimonio a guadagnargli l’anticipata liberazione? E sarà stata felice quell’unione?

 

Nota: la presente ricostruzione è stata fatta sulla base della documentazione conservata presso l’Archivio di Stato di Matera nel fondo “Questura. Confinati”, busta 40, fascicolo 598.


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