Domenico Brancale, un giovane poeta lucano.

1
Nu mùzzie di terre
strinte nd’o pugne
Custe sìme
Avògghie tu di pinzà a ‘llu paravise
Non abbicitièje di nasci
ca nd’a nu lampe
ti ni scrìje
E ‘che jè
‘ng’i adda jèsse na ‘ngogne
a nd’o nu fiòre ‘ng’i spezzie
p’ tutte ll’anne.

Un mucchio di terra
stretto nel pugno
Questo siamo
Hai voglia tu di pensare al paradiso
hai fretta di nascere
che in un lampo
te ne vai
E che è
ci deve pur essere un angolo
dove un fiore ci si specchia
per tutto l’anno.

 
2
Se hai mai visto
Un gabbiano non volare
Se l’hai mai visto
Buttarsi a pioggia sulla terra
Come se fosse stato
Da un temporale di sguardi invidiosi
Abbattuto
Non c’è aria che possa sorreggerlo
Non vi nego
Che avrei desiderato
Alla follia essere quel gabbiano.

 
 

3
Nessuno mi contiene
Che sembro tanto quel fiume
Dei tredici anni
Che s’inghiottiva pietre
Ginestre e rami spezzati
E chissà dove andava a morire
Sempre a questo ho pensato.

 
 
4
Vorrei essere un animale
Un fiore
Un filo d’aria nei campi
Una sola goccia d’acqua
Ogni manifestazione priva di coscienza

          
 

Ha 28 anni,  la mia età , apparteniamo alla stessa generazione.
E’ lucano  , come me.
Perfettamente mi riconosco nel suo ‘sentire’. Magia della bella  poesia e dell’empatia.
Devo la sua fortunosa conoscenza ad un caro amico.
Di Domenico so che  vive a Bologna, che lavora e studia per conto suo.
So che ha collaborato con poeti del calibro di John Giorno e Tobias Eisermann, che ha pubblicato diverse opere, in Italia, in Francia, in  Germania.
Delle sue poesie mi ha colpito la  sincerità: è onesto Domenico. E primaditutto lo è con se stesso.  La semplicità del suo raccontarsi è la ragione della sua profonda originalità.
A tratti ingenui,  a tratti terribilmente adulti, i suoi pensieri raccontano di un talento che crescerà.

 
 
 
 
 


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