Da “Con il fritto nei capelli”, romanzo inedito

Si presentano qui le pagine di apertura del romanzo inedito Con il fritto nei capelli con il quale Giovanna De Simone ha concorso alla prima edizione, tenutasi questo anno, del Premio letterario Matarazzo organizzato dalla Pro Loco di Montescaglioso.

Si tratta di una narrazione quasi esclusivamente al femminile poiché la scena è prepotentemente occupata dalla protagonista, Tina, e dalla di lei odiatissima, a parole, madre.

Una madre regina della cucina e detentrice di saperi culinari, senso pratico e pregiudizi da terrona che non ha nessuna voglia di integrarsi nella città del Nord dove vive da una trentina di anni e dalla quale la protagonista crede di volersi emancipare detestando tutto ciò che questa fa dice, pensa. Per lo meno fino a quando…

Un romanzo che  ben rappresenta la condizione, e le contraddizioni, della generazione tardo-adolescianziale dei trenta-quarantenni attuali e che si legge con piacere e divertimento.

Saranno graditi commenti e valutazioni. Anche critiche.

 

 

 

 

Odio mia madre.

 

Odio quella sua parlata meridionale anche se è trent’anni –

trent’anni cazzo – che abitiamo al Nord e lei è ancora lì che non si fa

capire al telefono, che inventa le parole, che pretende che solo la sua

sia la maniera giusta di parlare.

Odio il suo modo di vestire un po’ da mercato, un po’ al passo con

la moda ma presa in maniera sobria, odio i suoi twin-set coordinati a

pantaloni rigorosamente con zip laterale, odio le sue scarpe basse

Valleverde, le sue calze San Pellegrino colore Daino 4°misura, i suoi

foularini blu o a pallini bianchi e blu.

Odio l’oro, i collier, gli anelli a più strati sulle dita, l’orologio a

maglia fina, le collanine con medagliette di santi inutili, gli orecchini

a clips perché le si sono chiusi i buchi vent’anni fa e lei ha la pelle

così sensibile che tutto le fa infezione.

Odio le sue sopracciglia disegnate ad arco tutti i giorni con la

pinzetta, i fondotinta troppo scuri, il rossetto color mattone, le matite

per le labbra e mi viene la nausea a sentire solo l’odore di Chanel

numero 5.

Per fortuna il suo respiro affannoso che gira per le stanze non mi dà

più sui nervi, e se non avessi abbandonato casa alle prime avvisaglie,

penso che l’avrei già ammazzata.

Oggi proprio non la sopporto.

Sono passata da loro per ritirare i cappotti invernali che mio padre

aveva fatto lavare ieri al lavasecco, e lei mi si è parata davanti con

quella sua faccia da vittima, sperando di scatenare sensi di colpa che

io dovrei avere per qualcosa di arcano e misterioso che ho commesso

nei suoi confronti.

Ma che cazzo vuole da me? Che la ringrazi a vita per avermi messo

al mondo?

A volte riesce a farmi sentire in colpa anche se solo la guardo negli

occhi. Altre volte è talmente immedesimata nella parte di vittima che

finisce per crederci anche lei, e allora si convince di avere mal di

schiena che a fine giornata – forse per lo sforzo di fingere – le viene

mal di schiena sul serio.

Di solito quando arrivo a casa dei miei genitori, lei si aggira vestita

in tuta blu di felpa, oppure la trovo sempre di spalle, in cucina, a

friggere e a impanare anche se sono le tre del pomeriggio, oppure

staziona sulla poltrona sfondata del salotto a tentare di fare le parole

crociate.

A volte mi viene da pensare che tutto ciò sia molto squallido, poi

penso che sono sua figlia e non oso neanche immaginare alle

probabili eredità che porto dentro di me.

Il tempo farà il suo lavoro e io spero di difendermi bene, soprattutto

da lei.

– Ciao, – dico a voce alta entrando nello scuro ingresso

dell’appartamento dei miei genitori. La luce gialla e debole del

lampadario illumina il telefono sulla libreria-vetrinetta da cui spicca

“la sposa americana”, noto best seller degli anni ’70.

– Sono di qua, – dice mia madre dall’ultima parete del retro-cucina

con uno strofinaccio da cucina che le cinge la testa. Sta friggendo,

maledetta, e io che ero appena stata dal parrucchiere.

– Sono passata a prendere i cappotti che papà ha ritirato dalla

lavanderia

– Ah, ecco perché ti sei fatta vedere, mi sembrava strano che eri

passata di qua solo per venire a vedere come stiamo

Ma vaffanculo, sibilo tra i denti mentre mi accascio già scoraggiata

sulla sedia scrostata di bianco della cucina.

– Che cosa hai detto?

– No, niente, ho guardato l’ora e ho pensato che non faccio in tempo

a passare dalla ferramenta…

– Ah, mi sembrava che mi avessi mandato affanculo…comunque tuo

padre è uscito ed è da oggi che non si ritira. Sta incazzato

– E con chi?

Silenzio interminabile in cui si sente lo schioppettare mostruoso

dell’olio a 200 °C che sta aspettando a fauci aperte le sue prede. Mia

madre getta sprezzante le povere melanzane al loro patibolo.

– Con te

Lo sapevo che stavolta toccava a me. Afferro un crostino di pane

nel mio taillerino lilla e una valanga di sensi di colpa mi crolla

addosso insieme ai fumi fritti della cucina.

Dio, che cosa ho fatto questa volta? Cosa ho sbagliato? Dove mi

hanno scoperto? Forse hanno saputo da qualche alta dirigenza terrona

della Questura che mi è scaduta la patente un anno fa e della palla

enorme che mi sono inventata per poterla rinnovare. Forse pensano

che abbia una condotta disdicevole perché con-vivo, vivo con, e non

sono sposata. Forse hanno scoperto che mi sono fumata una

canna….no, troppo sorda la cucina alle probabili urla di mia madre

“HO UNA FIGLIA DROGATA”, non può essere per quello. E

comunque sia, visto che i motivi delle sue arrabbiature verso me e

mio fratello variano dalle più stupide (“ce l’ho con te perché non

puoi andare in giro vestita così!) alle più serie, smetto di pensarci e

aspetto.

– E’ stufo di andare avanti e indietro dalla lavanderia per te

Sospiro. – Ma se si è proposto lui di farmi questo favore! E io

gliel’ho chiesto perché me l’hai detto tu, perché hai detto che senza

niente da fare in casa lui non riesce a stare!

Già, da quando mi padre è andato in pensione, sette mesi fa per la

precisione, la nostra vita è diventata un incubo. Per mia madre di più,

visto che è costretta a vederselo tutti i giorni ciondolare in casa preso

dalla sua smania di essere attivo. Alle sette e mezzo lo si trova vestito

di tutto punto, a volte persino con giacca e cravatta, che si prende il

secondo caffé e guarda l’orologio. E uno si chiede, cosa cazzo guarda

l’orologio che non ha niente da fare tutto il giorno e guarda

l’orologio. A volte va a svegliare mio fratello, ma generalmente fa

così tanto casino che tutti in casa si svegliano da soli.

“A quest’ora già stai in piedi?” Dice tutte le mattine mia mamma in

vestaglia di felpa scaccata. “E dove te ne devi andare?” Mio padre

soppesa il nervosismo con il fumo e si accende una sigaretta e non

risponde. Allora succede che mia madre, stranamente impietosita,

gli trova qualche commissione, oppure mi telefona, alle sette e mezzo di

mattina, per ricordarmi degli impegni e delle commissioni che devo

dare a mio padre.

Mica l’ha diminuita con l’età questa frenesia, mica è scemata con la

stanchezza dei trentacinque anni di lavoro in giro per l’Italia. Nooo,

noi speravamo si acquietasse, che coltivasse finalmente quegli hobby

da quasi anziani che ha agognato per una vita. Buoni libri da leggere,

tutte le compilation di canzoni napoletane da ascoltare, le piante. Uno

sguardo più sereno sulle cose, la bellezza di assaporarsi i piccoli

momenti. Nooo, adesso forte della sua esperienza di Direttore

Commerciale costruita negli anni, si aggira in tutti i supermercati di

città e provincia ad ispezionare scaffali e date di scadenza, ad infilare

bigliettini di consigli commerciali altamente specializzati nelle

buchette di cartone degli Ipermercati, destinate ai suggerimenti dei

clienti. Due volte l’hanno pure chiamato, i Direttori dei supermercati,

per farsi spiegare meglio cosa dovevano fare. E lui si è pavoneggiato

due giorni, noi gli abbiamo anche suggerito di proporsi come

Consulente Esterno di qualche catena alimentare, sul serio dicevamo,

mica per prenderlo in giro. Così avrebbe trovato una sua pace interna

e sarebbe sfuggito alla classica depressione da pensionato.

Non so neanche se ci abbia provato, fatto sta che adesso si è deciso

a mettersi dalla parte dei Clienti del supermercato, per la prima volta

in trentacinque anni sta con loro contro l’azienda, così adesso va per

esempio all’Ipercoop e prende gli yogurt a più lunga scadenza dal

fondo del banco frigo e li mette in cima. “Ci stanno i vecchietti o i

cretini come a te che non sanno fare la spesa, che prendono la prima

confezione che gli sta davanti e non leggono che scade tra tre giorni.

Così devono buttare metà della roba. Quando non mi vede nessuno

io comincio a sostituire la merce”.

Forse lo abbiamo anche considerato un po’ pazzo in questa fase

della sua vita, ma capivamo bene che qualsiasi cosa era meglio pur di

non stare in quella casa ove regnava lei, regina e tiranna di ogni

soprammobile, quadro, persona o parola che si trovava

accidentalmente a vorticare nelle sue vicinanze, lei, mia madre.

– Ma lo sai a che ora va al supermercato? – Continua lei con la

padella in mano come uno scettro, – alle 9, appena apre. Si sveglia

alle 7 e dopo due ore che sta in casa si sente murì, si è già preso due

macchinette di caffè e si è già fumato non so quante sigarette. Se non

esce muore

– E allora perché ce l’ha con me?

– Oggi è storto perché ce l’ha con me

E’ strano come nella mia famiglia tutte le volte che siamo arrabbiati

tra di noi lo siamo sempre per causa di qualcun altro, sempre stretto

membro, cosicchè mai nessuno di noi quattro può stare fuori da una

discussione avvenuta tra gli altri due. Una simbiosi infernale, e penso

che il merito del chiudersi sempre perfetto di questo cerchio sia di

mia madre, è lei l’unica che riesce ad avere in tempo breve contatti

separati con noi tre, io mio padre e mio fratello, perché è sempre in

casa. O meglio, in cucina.

– Ce l’ha con me perché oggi non sto bene. Stamattina appena mi

sono svegliata tuo padre era già pronto e organizzato per andare da

Combipell a vedere i giacconi insieme a me, a me è venuto il solito

giramento di testa che ho alla mattina verso le 10.30, sai la carenza di

zuccheri che ho? Devo sedermi, prendermi un caffè, mangiare un po’

di pane e qualche cosa…tuo padre si è scocciato di aspettare e si è

incazzato.

E io gli ho detto “se tieni così fretta, vai, esci” e l’ho mandato

affanculo. E lui se n’è andato ed è tornato per ora di pranzo. E allora

giustamente io mi sono incazzata. Se te ne vuoi andare, vai! Ma non

tornare a pranzo a pretendere il piatto di pasta pronto sulla tavola!

– E tu cosa hai cucinato oggi a pranzo?

– C’erano gli spaghetti con gli scampi, seppie in padella con le patate

e melanzane a funghetti

– Allora hai cucinato!

– E cosa dovevo fa’? Buttare via tutto quel pesce! Se stasera venivate

qui a mangiare tu e Davide, a pranzo non cucinavo proprio

L’ha fatto ancora, è incredibile. Ogni pretesto è buono per fare

ricadere le conseguenze delle sue azioni sugli altri. Ha cucinato

perché io e Davide non andavamo a mangiare lì. Sparge a pioggia

come farina piccole polveri di sensi di colpa che ti entrano nei pori e

con il tempo si accumulano si accumulano e si cementano in lacci e

corde che rendono sempre più improbabile la tua fuga. Le molliche

di pane mi si bloccano ad un certo punto a metà gola, e non riescono

ad andare giù perché c’è un sasso pesantissimo che mi blocca la

saliva e mi ferma il respiro. Bevo con finta disinvoltura acqua

direttamente a collo dalla bottiglia. Tanto non mi vede.

– Ma tu lo sai dov’è andato papà adesso?

– Sarà come al solito al campo sportivo con quei quattro suoi amici

cretini com’a lui a dire stronzate

– E se non torna?

– Torna, torna, sto facendo la parmigiana di melanzane

 

Io odio cucinare.

Ho sempre sbandierato davanti a tutti che odio cucinare, detto anche

con civetteria, con battutine e sottintesi che lasciavano presupporre

che io sapessi fare chissà quali altre cose.

Mi sono sempre detta in intimità che odio mia madre e tutto quello

che la rappresenta, e se odio cucinare è solo un passo in più per

distanziarmi da lei, e quando con rabbia da miei fornelli sono uscite

solo cose immangiabili, ho velato la mia invidia con l’orgoglio, per

non essere come lei.

Ma che cazzo vuole da me? Che sia come lei? Non è colpa mia se i

tempi sono cambiati, se oggi quasi tutte le donne lavorano o

studiano, non è colpa mia se lei ha fatto una vita da casalinga come

tutte le sue ave, non è colpa mia se i suoi genitori non l’hanno mai

fatta studiare per tenerla “dietro nù bancone di una pizzeria a fornà

e’pizze”. Adesso non è più così, io posso scegliere di non volere una

vita che forse non voleva neanche lei, per questo mi odia. E ora cosa

pretende? Che le dica “brava, ti sei sacrificata tutta la vita e come

ringraziamento mi piego come tu ti sei piegata ai tuoi genitori”? Io lo

so che lei si aspetta questo. Anche se razionalmente non lo

ammetterebbe mai, sono sicura che lei vorrebbe questo da me e mio

fratello, soprattutto da me, in quanto femmina.

Io la odio mia madre.

Se lei si veste elegante, io mi scelgo i cappottini nei mercatini

Caritas, e ora che lavoro e guadagno, spendo stipendi al negozio

“Vintage, usato di valore” sotto casa. Se lei si è conservata illibata al

matrimonio, io ho messo come dote per la mia convivenza uomini di

cui mi vanto orgogliosa sulle dita delle mani. Se lei sta in casa io

lavoro, se lei cucina io vado al ristorante, se lei ingrassa io dimagrisco,

se lei mi odia io la odio.

Le rivali si fronteggiano con colpi bassi, tipo la pizza di patate che

io disprezzo ma mangio avida, o come le scarpe che mi compro e lei

prova così per curiosità, perché comunque le fanno schifo. Dove è

possibile affondare la lama loro la affondano, e feriscono, per poi

raccogliere pietose il moribondo e sentirsi così ancora più vittoriose.

Noi due non litighiamo mai per interposta persona come quei due

imbecilli di mio padre e di mio fratello, noi due non abbiamo bisogno

di aiutanti e gente che patteggi per noi.

Nella nostra guerra ci affrontiamo sempre da sole, in cucina.

– Che, venite a mangiare qua tu e Davide domani stasera?

– Mah, non so -, e vorrei dirgli di no che non ho voglia, che ho

impegni più interessanti, che non ho voglia di vederla, che non ho

voglia di puzzare di fritto per tutta la notte, ma non ce la faccio a

rifiutare perché lei si siede sulle sedie bianche impagliate della

cucina e mi guarda, con quel misto di rimprovero e supplica, e io

abbasso lo sguardo e mi ritengo fortunata, più fortunata di lei, e

dall’alto della mia superiorità accetto.

– Ok, veniamo -,dico, ma riesco a cogliere, mentre gira l’angolo del

retro-cucina con agilità, che si è appena tolta la maschera e ha vinto

lei.


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