mercoledì 09 Ottobre 2024

GRAZIE

Fra’ Antonio ci scrive:

Cari compaesani,

vi scrivo questa breve lettera per rendervi partecipi della mia gioia.

Non so poi trovare parole adeguate per ringraziarvi della vostra generosità, che ha permesso a questi piccoli amici lontani di ricevere un soffice cuscino e di iniziare a vivere in una vera casa: la Casa Famiglia di Quelimane, inaugurata il giorno 8 Gennaio 2008!

In questa casa vivranno 119 orfani, di età tra i 6 e i 12 anni, che potranno ogni giorno alzarsi, fare colazione, andare a scuola, pranzare, fare i compiti, giocare, lavarsi,cenare e dormire….proprio come i vostri figli e nipoti.

Questo modo di vivere per voi normalissimo , per i bambini mozambicani , abituati a dormire su stuoie, in case di paglia e fango, a lavarsi con l’acqua del pozzo, a mangiare seduti sotto una palma…….questo è un sogno diventato realtà!

Spero, quindi, che vi giunga l’eco del nostro GRAZIEEEEEEEEEEE, per essere diventati nostri amici e averci regalato la possibilità di una vita migliore.

Vi ricorderemo sempre nelle nostre preghiere.

Pace e bene.

Fra Antonio Triggiante

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4 Commenti

  1. admin

    Vorrei condividere con gli utenti di monte.net il vero grosso problema di fra’ Antonio e delle persone che fanno tanto per il Mozambico: la paura che tutto quello che di buono è stato fatto finisca con il loro rientro in Italia, che la gente del posto non riesca davvero a camminare con le proprie gambe. Cosa si potrebbe davvero fare perchè ciò non accada? Allego una lettera della nipote di fra’ Antonio tornata qualche settimana fa dal Mozambico, una lettera che la dice lunga sulla mentalità e il modo di agire di quella povera gente:

    LENGA LENGA

    Questa parola mozambicana mi ha sempre affascinato ed è rimasta nella mia mente soprattutto al rientro da questo mio sesto viaggio in Mozambico.

    La prima volta che ho udito questo vocabolo è stato durante il mio primo soggiorno in Mozambico, nel luglio 2005, e mio zio Fra Antonio lo pronunciò per indicare una persona che procedeva lentamente sulla sua bicicletta nella nostra direzione e il suo andare incerto e indeciso non ci permetteva di capire se avremmo fatto in tempo, con la nostra jeep, ad attraversare l’incrocio o se lo avremmo investito.

    Da allora mi sono divertita , bonariamente, a sopranominare lenga lenga le persone lente, senza carattere né aspirazioni , che ho incontrato in Mozambico.

    Ora, però, ho capito che questo non è un termine dispregiativo, ma un tratto caratteristico di questo popolo. Un aspetto di cui bisogna tener conto nella stesura di un progetto volto a migliorare le loro condizioni di vita, nei rapporti interpersonali, nella quotidianità nuda e cruda che ci si trova ad affrontare.

    Se non si riesce a percepire, con consapevolezza, quest’elemento e non si trasmette a chi in Italia e nel resto del mondo vuole impegnarsi con i missionari in questo cammino di sviluppo, si creano dissapori, malcontenti e delusioni oppure si rischia di creare cattedrali nel deserto, destinate a cadere non appena viene a mancare la presenza , la supervisione e la collaborazione attiva dei”bianchi”.

    Per me, in prima persona, è stato difficile interiorizzare quest’idea.

    Noi italiani, occidentali, abituati a correre dietro alle lancette dell’orologio, costretti a rincorrere le offerte dei grandi magazzini, pronti a cambiamenti repentini,siamo allo stesso tempo meravigliati e spaventati da ciò che vediamo in Mozambico.

    Meravigliati dal vedere famiglie, formate da sette o otto persone, vivere felici in una palhotta( tipica casa in paglia e fango).

    Guardandoli , istintivamente pensi:” Io lì dentro non ci starei più di 2 minuti” e ti allontani in silenzio. Poi torni dopo un anno e li rivedi allegri, sempre lì, nella stessa condizione e con un figlio in più.

    La stessa meraviglia ti accompagna per la strada. Appena esci dal cancello della Casa Famiglia, osservando lo stato dell’asfalto ti ricordi che in Italia il comune deve risarcire i danni agli automobilisti la cui autovettura è stata danneggiata da un tombino infossato. Mentre a Quelimane, ti ritrovi a pregare tutti santi che conosci affinché non facciano fermare la tua auto nel mezzo di una delle tante voragini presenti sul manto stradale, che si allargano dopo ogni temporale.

    Ed intanto i mozambicani continuano ad andare, senza accorgersi di nulla, su quelle stesse strade, con le loro jeep sgangherate e stracariche di persone, animali, sacchi di carbone e cocco……

    Per non parlare dello stupore che provoca nel visitatore la voglia di apprendere e di studiare che caratterizza la nuova generazione mozambicana. Proprio il contrario dei nostri adolescenti, che stanno trasformando le scuole in luoghi di depravazione e maleducazione!

    Spaventa, invece, l’abbandono totale dei più poveri, la corruzione nelle istituzioni e l’incertezza che aleggia su tutto e tutti.

    Restano spaventati i singoli volontari che vanno in Mozambico per aiutare i frati, come anche le ONG e le associazioni che vorrebbero collaborare allo sviluppo di questo Paese ma sono frenati da questa mancanza di sicurezza, burocratica e sociale.

    Per superare questa nuova paura, credo che la prima soluzione si trovi nel titolo di quest’articolo: lenga lenga.

    Bisogna partire dalla realtà locale, osservandola ed accettandola per come è.

    In Mozambico non si può diventare eroi: pensare di andare laggiù a cambiare la testa degli indigeni è folle!

    Non si può dimenticare il colonialismo, che ha depredato per secoli questa gente, la guerra civile, finita solo 15 anni fa, la malaria e l’AIDS che compromettono il futuro di migliaia di persone.

    E’ cosa buona e giusta, prima di partire per il Mozambico, scrollarsi di dosso gli usi e costumi italiani, i preconcetti, le informazioni turistiche o tecniche acquisite.

    E’ bene arrivare laggiù con occhi di bambino, pronti e aperti a conoscere prima che a giudicare, usando un linguaggio critico volto alla positività.

    Il primo pensiero di chi va in Mozambico dovrebbe essere quello di mettere a frutto le proprie capacità e talenti, potendo così , un giorno, dire:”Signore, mi hai consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnati atri cinque”( Mt 25,30) con la gioia nel cuore di aver anche donato ad altri la possibilità di essere felici.

    Tutto questo tenendo presente che ciò che si vuol fare segue la legge”lenga lenga”, cioè con tempi lenti, modi incerti e attrezzi inadeguati o obsoleti.

    E’ inutile, d’altro canto, invadere questi posti con tecnologie avanzate, progetti ad alto investimento e idee futuristiche.

    Sarebbe come inculcare nella mente di un bambino migliaia di informazioni, non lasciandogli il tempo per assimilarle e non fornendogli gli strumenti idonei ad affondare la vita nella sua pienezza.

    E’ opportuno un percorso di accompagnamento”lenga lenga”, che, partendo dalle tradizioni locali e tenendo presenti i problemi ambientali e climatici ,guidi questo popolo verso la consapevolezza dei propri limiti e delle proprie possibilità.

    Un affiancamento nella scuola come nel lavoro, nella famiglia come nella realtà cristiana locale, con coraggio, fede e speranza.

    Se non si tengono presenti questi punti, si rischia di restare delusi e di rovinare tutto bene fatto.

    L’esperienza che mi ha portato a queste riflessioni, è stata la visita alla machamba( campagna) di Nhafuba: un appezzamento di circa 200 ettari , su cui è stato avviato un progetto di agricoltura volto ad aiutare le vedove e il popolo che vive in quella località, a circa 70 km da Quelimane.

    Per questo progetto mi sto personalmente interessando per la ricerca di agronomi e volontari disposti a dare una mano.

    Non potete immaginare la sensazione provata durante questa visita!
    In questo terreno ero già stata in luglio e in questi mesi si parlava con gli addetti ai lavori mozambicani di come procedevano i lavori. Ritornando ai nostri usi e costumi, la mia aspettativa era quella di trovare decine di ettari coltivati: avevo già l’idea di una vecchia fazenda rimessa in vita….

    Invece…che delusione!Il terreno , grande come un campo di calcio era stato solo disboscato e pronto per la semina. La tentazione di scappare, abbandonare il progetto e dimenticare tutto è stata immediata. Ma poi mi sono fermata un attimo, ho fatto un bel sospiro, mi sono seduta con i miei giovani collaboratori mozambicani a chiacchierare e ho capito……

    Ho capito la fatica che avevano fatto in quei mesi per pulire la strada che portava alla machamba, delimitare il terreno e tagliare a mano decine di alberi secolari, il tutto con 40 gradi di calore e, a volte, piogge interminabili.

    Ho capito che se loro ce l’avevano messa tutta, in quelle condizioni, io potevo e dovevo continuare ad aiutarli.

    Come?????
    Innanzitutto raccontando a voi questa storia e facendovi , così, partecipi delle mie riflessioni, in modo che volendo offrire tempo e denaro non vi ritroviate tristi e delusi per non aver visto il risultato tanto atteso, in un tempo che voi pensavate fosse più che abbondante.

    In secondo luogo ritengo sia giusto continuare a sostenere e aiutare mio zio Fra Antonio e i membri della Cooperativa Promover o Homem in questo e negli altri progetti che stanno portando avanti.

    L’unione fa la forza e lì, più che altrove, ci si rende conto che senza collaborazione e costanza nulla è possibile.

    Basta sempre ricordare quello che dice Gesù nel Vangelo di Luca:”Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto , la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza”(Lc 8,15)

    Sono certa che lenga lenga si può andare avanti, lenga lenga si avranno risultati visibili, lenga lenga i mozambicani prenderanno consapevolezza della propria vita e potranno affrontarla con energia e Amore.

    Nell’immediato non resta che gustarsi il sorriso dei bambini della Nuova Casa Famiglia, inaugurata il giorno 8 gennaio 2008, o il saluto di uno dei 250 disabili che quotidianamente pranzano alla Mensa San Francesco o la promozione scolastica degli oltre 3500 alunni che frequentano la Scuola dei Martiri di Inhassunge o la Scuola Arti e Mestieri.

    E ringraziare il Signore per aver permesso che lenga lenga questi sogni si siano realizzati!

    Triggiante Luciana

     

  2. anycamy

    cara luciana grazie per la tua dedizione e per il tuo racconto dove per la prima volta si racconta di quanto un certo tipo di lentezza sia una virtù da tenere stretta e da non lasciare scappare ma stranamente noi “occidentali dabbiamo fare infretta affinchè la parola “Lenga Lenga” continui a essere una speranza

    Ancora grazie di cuore

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