Storia nera

Una delle scene iniziali del film Nuovomondo (Emanuele Crialese, 2006) mostra tre giovani contadini siciliani che cedono una capra, un’asina e il suo piccolo in cambio di scarpe e abiti e nel provarli li annusano. Scarpe e abiti firmati in quanto già appartenuti a persone benestanti del paese.
“Tutte cose da barone mi stai dando” dice infatti con gratitudine il maggiore dei tre al venditore che risponde “Eh, certo, mica ti posso mandare in America come uno straccione”.
Sono andato a rivedermi il film dopo aver letto sul Corriere delle Puglie, l’antenato della Gazzetta del Mezzogiorno, quanto accaduto a Montescaglioso nel giugno del 1888 e mi sono detto che sicuramente qualche scena simile si era avuta anche da noi e in tanti paesi come il nostro.
Ecco l’inizio dell’articolo intitolato “Il commercio di due becchini”
“A Montescaglioso certi Palladino Emanuele e Borgia Innocenti, entrambi spazzini municipali e addetti al trasporto dei cadaveri, facevano bottino degli abiti dei poveri morti vendendoli come cenci o come abiti e biancheria usata”.
La narrazione prosegue spiegando che “una grande quantità di abiti e biancheria in buonissimo stato” era stata depositata presso le autorità e, che saputosi il fatto, “il popolino voleva fare dei bricconi giustizia sommaria”.
Sarà stato tutto vero, ma non si può fare a meno di pensare che i due si erano dati a quella nefanda attività perché c’era chi comprava le loro merci e quindi il numero dei responsabili, sia pure in ruoli diversi, di quelle spoliazioni si dovrebbe moltiplicare per x. D’altra parte, cosa era più moralmente giusto, ad esempio per dei genitori: ricoprire i figli con una camiciola appartenuta in vita a qualcun altro o vederli morire di freddo? E non si creda che la cosa non accadesse: i nostri registri parrocchiali riportano casi di morti assiderati.
Ma sono tante le questioni imbarazzanti e gli scandali posti dalla miseria. A cominciare dalla scomparsa o dall’assenza dei sentimenti di umana pietà che non avevano cittadinanza in un mondo sempre alla prese con la lotta per la vita. Questo si leggeva in un libro del 1961, I dannati della terra, di Frantz Fanon. E a un universo da dannati si riferiva – a mio avviso- un canto popolare riproposto da Matteo Salvatore: Facimm ci campa campa, ci mor mor mora. O un giochino infantile in cui si diceva: A la lampa, a la lampa, ci mor e ci camp. Perdonate l’approssimativa trascrizione.
Tornando alla storia iniziale: certo sarebbe stato più, diciamo, eroico che i becchini e i loro clienti spogliassero da vivi i responsabili della loro miseria. Una simile aspettativa sarebbe però anacronistica e, in ogni caso, in Italia sono sempre stati i ricchi a spogliare i poveri.


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