Biodiversità a tavola

La storia e la qualità del territorio si esprimono con alcuni elementi fondamentali: le produzioni agricole e la gastronomia. In tal senso è possibile applicare anche in questo ambito il concetto di biodiversità. Quanto più è ricca l’offerta, tanto più risulterà ricca l’identità del territorio. In questa pagina, il CEA presenta un elenco di ” abitudini ” o prelibatezze gastronomiche, strettamente legate alle produzioni locali ed ai cicli stagionali. E’una cucina povera, poco elaborata, sviluppata generalmente nelle famiglie contadine e rimasta immutata per secoli. Colpisce l’uso dei prodotti della terra immediatamente disponibili, compresi quelli raccolti al di fuori dei coltivi, lampagioni, erbe, molluschi oppure la costanza nel non sprecare alcunchè. Anche dagli avanzi e dal non consumato i nostri avi riuscivano a cavare qualcosa secondo il principio, ovviamente nella società moderna completamente disatteso, che nulla si butta. Questa cucina oggi torna nuovamente ad essere apprezzata per i sapori forti e genuini che propone in contrasto con le micidiali elaborazioni del mangiar veloci e della industria alimentare. Può e deve trovare spazio anche nella offerta turistica, nei ristoranti e nei locali tipici, i quali se non fossero in grado, ed oggi a Montescaglioso non lo sono del tutto, di offrire al visitatore un prodotto di qualità, sono destinati a non competere.

Le proposte sono state raccolte interrogando tante persone. Quando possibile si cita la fonte ed l’autore della ricerca. Gli utenti, sono invitati a collaborare proponendo nuove specialità o indicando varianti su quelle già pubblicate.

Pasta ” cattschat’ “. Tipico piatto invernale, anzi realizzato per le giornate più fredde. Pasta fresca, ” gnuttl “, rigorosamente nera, cioè integrale. Intanto che arriva a cottura (al dente duro), si prepara un po’ d’olio bollente avendo a portata di mano della farina. Pronta la pasta, rimessa in pentola ancora sgocciolante (è importante mantenerla non del tutto asciugata  e con una leggera scolatura) si aggiunge l’olio mantenuto bollente e la farina (nuda e cruda) e si mescola il tutto. Si serve immediatamente e bollente. Il nome deriva dallo sfrigolio dell’olio bollente a contatto della pasta ancora umida. Si possono aggiungere a seconda dei gusti personali: aglio, all’olio, ma verso la fine della bollitura, diversamente si brucia; peperoncino, crudo direttamente sulla pasta o all’ultimo momento nell’olio; pomodori secchi o peperoni cruschi sfrigolati intanto che si rimescola; vivamente consigliata per i palati forti un’abbondante spruzzata di rafano.

Polpette di uova e mollica. Esempio di riuso degli avanzi del desco familiare. Il pane secco, non consumato, è riutilizzato, mollica e crosta, con un impasto fatto con uova (bianco e rosso insieme) e un pò di formaggio, ovviamente  e preferibilmente percorino o vaccino locali. Il parmigiano aggiungerebbe un retrogusto ammorbidito. Vivamente sconsigliato il grattugiato di pane secco in vendita nei supermercati. Nell’impasto si aggiunge un pò di prezzemolo e possibilmente piccoli pezzettini di aglio o lo stesso triturato sulla punta della forchetta. La polpetta prende la forma nel palmo della mano, diversamente si usa un cucchiaio. Si frigge a fuoco lento. L’aggiunta di mozzarella o prosciutto cotto è cosa recente. Si consuma semplicemente fritto oppure con un leggero intingolo ottenuto con pomodoro fresco, senza salsa di pomodoro e con poco olio. Infatti la polpetta rilascerà nel sughetto, (cottura per circa 20 minuti), un pò dell’olio assorbito in padella. 

Riso, patate e cozze. Piatto di origine taratina. Riso bollito al dente, patate lesse e tagliate a fette, mitili ( le cozze di Taranto e non le spagnole o le filippine), passate in tegame con un pò d’olio e acqua. Il tutto riamalgamato compreso le cozze non sgusciate, in una terrina da passare al forno. Da non dimenticare l’aggiunta prima del passaggio in forno di alcune foglie di alloro e di  spicchi d’aglio. 

Cozze alla mollica. Rigorosamente le cozze tarantine o almeno di produzione italiana. Accuratamente pulite e non sgusciate, collocate in tegame con un pò d’olio e acqua e spicchi d’aglio. Il guscio (solo quello a cui è attaccato il mollusco) va riposto con il dorso sul fondo del tegame. Il mollusco va coperto con mollica di pane. Pochi minuti sul fuoco a fiamma non molto alta. Importante anche una fogliolina di prezzemolo sul mollusco e giusto una foglia d’alloro nel tegame. 

Pane ” rosso “. Sobria prelibatezza dei tempi andati. Si usava ” tostare ” il pane sul treppiede esposto alla brace della carbonella. Momento importante nel controllo della qualità dell’olio appena spremuto nel frantoio, era proprio l’assaggio con il pane tostato nel camino che non doveva mai mancare nel ” trappeto “. La buona o pessima qualità dell’olio risultavano enfatizate proprio dal pane caldo appena tostato. Lo si prepara usando preferibilmente pane vecchio di uno o due giorni. A seconda della tostatura il pane può diventare più o meno duro. Su ambedue i versi delle fette tostate, ancora calde, un filo d’olio e un pizzico di sale. Questa la versione base. Alcune varianti prevedono la spremitura anche di un pomodoro o la sfregatura di uno spicchio d’aglio, ovviamente prima dell’intingolo nell’olio ma la più tradizionale prevede, specie se la tostatura è stata particolarmete lunga, di bagnare la fetta di pane con un pò d’acqua, prima di vesare l’olio. Cautela nell’uso dell’acqua: il pane, infatti, deve mantenersi in ogni caso almeno tiepido.      

 


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